domenica 29 ottobre 2023

Jon Fosse, “Mattino e sera” ed. 2019

                                                                             vento del Nord

        premio Nobel 2023

Jon Fosse, “Mattino e sera”

Ed. La Nave di Teseo, trad. Margherita Podestà Heir, pagg. 160, Euro 16,00

        Da quanto è vecchio il mondo, da sempre, la mattina e la sera, il sorgere e il tramontare del sole, sono l’immagine dell’inizio e della fine della vita.

Il breve romanzo di Jon Fosse, breve come un respiro, come la vita stessa, inizia con un bambino che viene al mondo. Si chiamerà Johannes. Come il nonno. Farà il pescatore. Come il nonno.

    È il nonno Johannes il protagonista, nel suo ultimo giorno su questa terra o forse quando è già nell’aldilà o forse quando è sulla soglia dell’altro mondo.

Si sveglia, Johannes. Si sveglia? O è già nel grande sonno dove sogna di svegliarsi? Pensa che adesso farà le solite cose, una tazza di caffè e una sigaretta, come sempre. Quando- è ormai sera- la figlia minore arriva in casa del padre, preoccupata perché le hanno fatto sapere che Johannes non si è visto per tutto il giorno, le sigarette sono lì sul tavolo, il caffè non è stato fatto.


   Seguiamo Johannes nell’arco della giornata- la sua ultima, uguale a tutte le altre. E veniamo a sapere tutto o quasi di lui, del primo amore con la ragazza così bella messa incinta da un altro, dell’incontro con quella che sarebbe poi diventata sua moglie, dei figli, della barca e delle uscite quotidiane in mare, dell’amico Peter che lo aveva salvato ripescandolo con un arpione la volta che lui, Johannes, era caduto in acqua e stava per annegare. Incontra anche Peter, in questo giorno, e a tratti gli pare naturale- non è tutto come al solito?- a tratti, invece, si stupisce- non è morto, Peter? Appare come una sorta di figura evanescente, un fantasma, Peter, con i capelli lungi e radi perché è da un po’ che Johannes non glieli taglia. È come se Peter entrasse e uscisse da un sogno, come se attraversasse un sipario trasparente. Lo stesso fa la moglie molto amata, che gli viene incontro mentre lui rientra- perché lo ha lasciato solo, andandosene prima di lui? E la figlia, che si affretta verso la sua casa, e non lo vede? Farà finta di non vederlo?

   Johannes è stato un brav’uomo, non è stato facile provvedere alla famiglia facendo il pescatore, eppure ce l’ha fatta.


In questo romanzo che ha un contenuto non originale, la bravura di Jon Fosse è nella poeticità della scelta delle situazioni e della lingua, nel creare l’impressione del crepuscolo della vita tra rimpianto per quanto è passato e soddisfazione del conchiudere la propria esistenza in pace con tutto e con tutti. Lo stile narrativo si fa notare, come in “Settologia” per la punteggiatura- ci sono le virgole ma non i punti. Eppure la mancanza dei punti non ha importanza, il lettore è obbligato a fare una pausa nella lettura ogni volta che lo scrittore va a capo. Un vezzo stilistico, dunque?

  


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venerdì 27 ottobre 2023

Malin Stehn, “La notte più buia dell’anno” ed. 2023

                                                                  vento del Nord

                                               cento sfumature di giallo

Malin Stehn, “La notte più buia dell’anno”

Ed. Rizzoli, trad. Laura Cangemi, pagg. 416, Euro 20,00

 

   La notte dell’ultimo dell’anno è già di per sé molto buia a Malmö, rischiarata solo dai fuochi d’artificio. Ma quanto più buia può ancora essere se termina con una morte? E non svelo nulla, perché è chiaro fin dall’inizio che una ragazza che scompare la notte di Capodanno non può aver fatto altro che una brutta fine.

    È la notte di Capodanno, dunque. Nina e il marito Fredrik (entrambi insegnanti), con i due figli maschi (uno ancora un bambino e l’altro sulla soglia dell’adolescenza) stanno andando ad una festa a casa degli amici di sempre, Lollo e Max. Lui lavora nel campo immobiliare, lei ha un negozio di oggetti d’arredamento, sono decisamente più ricchi di Nina e Fredrik, ma Lollo era compagna di scuola di Nina, come un’altra invitata alla festa, separata dal marito, con un fidanzato sempre nuovo e un figlio che ha un paio di anni più di quello di Nina. Per completare il quadro dei personaggi ci sono ancora la figlia di Nina e Fredrick e quella di Lollo e Max, entrambe diciassette anni, molto diverse di carattere. A Nina non è mai piaciuta Jennifer, la figlia di Lollo- troppo fuori dalle righe, insubordinata, sfrontata. E comunque i quattro genitori hanno dato il permesso alle due ragazze di organizzare una festa con i compagni di scuola, con mille raccomandazioni- massimo venti invitati, niente alcol, niente droghe. Nina era contraria, mentre gli altri sostenevano che bisognasse dare ai giovani libertà con responsabilità.


    Poi si sa come vanno le cose quando si festeggia la fine dell’anno vecchio e l’inizio di quello nuovo, si finisce per bere troppo (tranne Fredrik che deve guidare per riportare la famiglia a casa) e il giorno dopo non si ricorda niente. Però, quando si riacquista un poco di lucidità, ci si rende conto se qualcosa non va: Jennifer non è tornata a casa. No, non è rimasta a dormire dall’amica. Smilla dice che avevano litigato e che Jennifer se n’era andata verso le 11,30. Scomparsa.

   Tre voci narranti si alternano- quella di Nina, quella di Lollo e quella di Fredrik- e si alternano anche gli stati d’animo, di blanda preoccupazione all’inizio, di ansia sempre crescente, di speranza sempre più irragionevole, di sensi di colpa, di domande senza risposta, di paura, di incredulità e di disperazione. Qualche flashback ci riporta a piccoli ma significativi episodi precedenti della vita degli uni e degli altri, mentre passano i giorni, le ricerche di Jennifer non portano a nessun risultato, ognuno dei personaggi che narrano la storia si auto esamina, ricorda, si chiede che cosa avrebbe potuto fare di diverso. E naturalmente Jennifer assente è sempre presente.


   Che cosa sappiamo di chi ci sta accanto, sia esso un amico o un’amica, un marito o una moglie? O un figlio o una figlia? Ognuno di loro (ognuno di noi) nasconde dei segreti, ognuno rimpiange cose non dette, tempo non dedicato ai figli, l’aver sempre rimandato per sapere di più, l’aver dato la precedenza alla ‘nostra’ vita, all’accumulare soldi, aver lasciato che i figli si chiudessero nella loro stanza in compagnia dei computer, senza sapere che cosa stessero facendo. Eppure non si fa che parlare dei pericoli della rete.

   La scrittrice è abilissima, ci ricorda Agatha Christie con la sua capacità di seminare false tracce, di indurci a credere di aver capito tutto e poi a farci ricredere e poi a farci dubitare, per sorprenderci con il finale. Anzi per sorprenderci doppiamente con il finale.

   Un ‘giallo’ che si legge di un fiato per i problemi che affronta- quelli all’interno della coppia e tra genitori e figli- e che sentiamo potrebbero essere i nostri, augurandoci di non trovarci mai in una simile situazione (e tuttavia se lo auguravano anche Nina e Fredrik, Lollo e Max, e pure l’altra loro amica, quella dai tanti fidanzati).



 

martedì 24 ottobre 2023

Tsering Yangzom Lama, “Quando la nostra terra toccava il cielo. Una saga tibetana.” ed. 2023

                                                 Voci da mondi diversi. Tibet

            saga

 
Tsering Yangzom Lama, “Quando la nostra terra toccava il cielo. Una saga tibetana.

Ed. Einaudi, trad. Federica Oddera, pagg. 512, Euro 20,00

 

     Nel 1950 la Cina invase il Tibet. Il 10 marzo 1959, dopo un decennio di resistenza contro la Cina comunista, 300.000 tibetani si riunirono per protestare davanti al Potala, la residenza del Dalai Lama. Di lì a poco il Dalai Lama si rifugiò in esilio in India dove vive tuttora.

La Storia viene sempre narrata dai vincitori e la versione cinese degli eventi è sempre stata che l’esercito non era intervenuto in Tibet per conquistarlo ma per liberarlo da un sistema feudale. E l’espulsione del Dalai Lama nonché il ripudio del governo tibetano significavano l’inizio di una nuova era di modernità e democrazia.

L’altro punto di vista (quello di cui leggeremo nel romanzo epico di Tsering Yangzom Lama) è che la posizione strategica del Tibet, con il lungo confine che lo separava dall’India, e la sua ricchezza di risorse naturali facevano gola alla Cina. L’esilio forzato del Dalai Lama, inoltre, non era la liberazione da un tiranno ma segnava la perdita di un leader spirituale, tuttora rispettato dalle nuove generazioni che non hanno mai messo piede in Tibet.


    Il romanzo, in parte autobiografico, inizia nella primavera del 1960 quando le due sorelline, Lhamo e Thenkyi, iniziano con i genitori il cammino che, attraverso la catena dell’Himalaya, li porterà, insieme ad altri profughi, in Nepal. È un percorso lungo e arduo, bisogna combattere contro la fame, la stanchezza, il freddo, oltre all’angoscia che attanaglia i cuori- la sensazione di perdita, di lacerazione, l’incertezza del futuro, il rimpianto cocente. Tanti muoiono per strada, nessuna erba medica, nessuna ‘magia’ da parte della madre delle bambine (riconosciuta da tutti come un oracolo dotato di una visione ultraterrena e di poteri straordinari) riesce a fermare la cancrena che sale dai piedi congelati alle gambe del marito. Riusciranno infine ad arrivare in Nepal e, anche se non tutti ce l’hanno fatta, il senso di comunità è molto forte, è quello che li aiuta a sopravvivere nel campo profughi di Pokhara.


E poi sono riusciti a portare con loro una ku, una statuetta di un santo senza nome di cui si dice che appaia e scompaia secondo il bisogno. Sarà proprio così, la ku sarà una sorta di leit motiv, nel corso della narrazione. Messa in salvo e nascosta da Lhamo, sarà rubata, ricomparirà in maniera stupefacente in Canada, luogo dell’esilio finale di Tenkyi e della nipote Dolma. Venduta da un mercante senza scrupoli, da venerato oggetto di culto la statuetta era diventata un oggetto senza anima, un articolo il cui valore era espresso in dollari.

    Il tempo della narrazione si sposta avanti e indietro, tra gli anni del campo che doveva essere una dimora temporanea ed invece era diventata definitiva, e il 2012 a Toronto dove Dolma, figlia di Lhamo, si specializza in studi tibetani all’Università. In mezzo ci sono storie d’amore, storie di brevi felicità e tanta infelicità, la frustrazione di un soggiorno in India di Tenkyi, la più brillante delle sorelle, il dolore costante di aver perso le proprie radici, la lotta continua per preservare la propria cultura e per difenderla da una società che non può capire, che neppure si sforza di capire.


    Il libro che era iniziato con un viaggio che portava una famiglia e la sua gente lontano dalle loro terre, termina con un altro viaggio che chiude un cerchio. È un altro viaggio tristissimo per altri motivi, è un viaggio di ritorno per Dolma che ha solo sentito parlare del Tibet e che porta con sé le ceneri della madre, un viaggio di ritorno anche per l’uomo che la accompagna, che era un bambino all’epoca dell’esilio. Potranno solo avvicinarsi al confine con il Tibet, difeso da sentinelle armate, e le ceneri di Lhamo potranno solo essere portate via dal vento che soffia dalla loro terra perduta. Niente come questa scena finale dà l’idea della perdita- perdita della patria che è anche perdita della propria identità, della propria cultura e della propria lingua.

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credit Paige Critcher


lunedì 23 ottobre 2023

Natasha Solomons, “Romeo e Rosalina” ed. 2023

                     Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda

                love story

Natasha Solomons, “Romeo e Rosalina”

Ed. Neri Pozza, trad. A. Zabini, pagg. 336, Euro 19,00

 

      Passa inosservata, Rosalina, in quella che è, forse, la più conosciuta tragedia di Shakespeare, perché i suoi protagonisti, Romeo e Giulietta, sono diventati i rappresentanti dell’amore giovanile, dell’amore romantico, dell’amore infelice perché osteggiato dagli adulti. Nell’immaginario collettivo Romeo e Giulietta saranno felici per sempre perché la monotonia del quotidiano non intaccherà mai il loro amore. E il lettore, trascinato da quell’amore colpo di fulmine, dai versi O Romeo, Romeo! Perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre; e rifiuta il tuo nome…, si dimentica che, all’inizio del dramma, Romeo è, sì, innamorato, ma di Rosalina e non di sua cugina Giulietta, che Romeo si intrufola fra gli invitati alla festa in casa Capuleti per vedere Rosalina (e il fatto che anche Rosalina sia una Capuleti non viene mai citato come un ostacolo al loro amore). D’altronde, oltre a quell’aggettivo riferito a lei, ‘fair Rosaline’, niente altro viene mai detto- Rosaline è bella, ma non sappiamo nulla di lei.


    Rosalina diventa il personaggio principale del romanzo di Natasha Solomons che capovolge l’intera storia che ruota intorno a Romeo e Giulietta, distruggendo l’idea che ci siamo fatta di lui. Tutto inizia con un colpo di fulmine, ma è di Rosalina che Romeo si innamora all’istante, è sul balcone di Rosalina che Romeo si arrampica di notte per entrare nella sua stanza e per sedurla. Rosalina è pronta ad amare Romeo, forse sarebbe pronta ad amare chiunque pur di gustare l’amore prima di entrare in convento secondo la volontà del padre. Rosalina è l’adolescente che farebbe qualunque cosa per l’uomo che ama, crede a quello che lui le dice, soffocando ogni dubbio, ruba per lui, per la loro futura vita insieme, i soldi che il padre le ha destinato come dote per una vita più agiata fra le suore, gli perdona il suo, di furto, dello smeraldo che era di sua madre. L’amore è cieco e non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.

   La scrittrice ha detto, nella postfazione, di essersi ispirata, per Rosalina, agli altri personaggi dei drammi scespiriani con un nome simile o una variante di Rosalina. Quanto a Romeo, ecco, il Romeo di Natasha Solomons è del tutto diverso, è la distruzione di un mito.


Del Romeo di Shakespeare questo Romeo mantiene la bellezza e il linguaggio incantatore, ma, se è pur vero che non viene mai detta la sua età nella storia che conosciamo da sempre, è anche vero che tutto ci lascia pensare che abbia solo qualche anno in più della sua Giulietta non ancora quattordicenne. Romeo di Natasha Solomons è più vecchio, più esperto, più cinico- è un seduttore seriale che fa collezione di ragazzette di cui si stanca dopo averle deflorate, ingannandole tutte con la promessa di un matrimonio a Mantova. E, insieme a lui, scoprirete un’accolita di vecchi sporcaccioni libidinosi…

    Leggiamo con piacere questa diversa interpretazione di una storia d’amore nota, così come salutiamo divertiti l’affacciarsi sulla scena di un vendicativo personaggio femminile, godiamo nel ritrovare i bei versi di Shakespeare inseriti nella nuova trama, tuttavia affiora in noi anche un poco di delusione, perché i personaggi ci paiono piatti, senza spessore, le loro parole sembrano vuote e non riusciamo ad amare Rosalina come abbiamo amato Giulietta che qui appare molto infantile, suscitando la nostra compassione.




venerdì 20 ottobre 2023

Maria Judite de Carvalho, “Gli armadi vuoti” ed. 2023

                                   Voci da mondi diversi. Penisola iberica

           love story

Maria Judite de Carvalho, “Gli armadi vuoti”

Ed. Sellerio, trad. Vincenzo Barca, pagg. 178, Euro 14,00

 

    Donne, tutte donne nel romanzo della scrittrice portoghese Maria Judite de Carvalho, nata a Lisbona nel 1921 e morta nel 1998. Gli uomini ci sono, ma o scompaiono presto dalla scena (uno è anziano e confinato a letto, uno muore giovane) oppure sono pieni di sé nella sicurezza della loro ricchezza, ma sono vuoti dentro (l’uomo che, dopo aver corteggiato la protagonista, ne sposerà la figlia).

   Ana, Dora Rosàrio, la zia Julia, Lisa. Ana è la suocera, una donna dal carattere deciso e volitivo, Dora è una figuretta che sembra abbia paura della propria ombra, la zia Julia ha periodicamente delle crisi in cui parla con il suo vecchio innamorato, Lisa, figlia di Dora, diciassette anni, ha le idee ben precise su quello che vuole. E quello che vuole è non assomigliare alla madre.

   Dora Rosàrio ha sposato Duarte quando era molto giovane, non ha mai avuto occhi altro che per lui, è vissuta in sua adorazione giustificando la sua indolenza e la sua mancanza di ambizione. Alla sua morte improvvisa Dora si è ritrovata con una figlia piccola, senza soldi, senza un lavoro. Soprattutto si è ritrovata vuota, in mancanza del marito intorno a cui ha sempre fatto ruotare la sua vita. Dora esisteva per lui, non per se stessa, non per la figlia. E Dora continua a esistere per lui, nel suo ricordo. Dora non vuole essere consolata, le va bene vivere con un fantasma.


     Poi succedono due cose, a distanza di tempo. Trova lavoro in un negozio di antiquariato- lei non sa niente di mobili, non sa niente di nulla, ma un’amica la incoraggia, imparerà, ha o non ha bisogno di soldi? E poi la suocera, nel giorno in cui Lisa compie diciassette anni, le svela qualcosa che riguarda Duarte, qualcosa di sconvolgente che metterà fine al suo lutto prolungato.

    Dora era, per sua figlia, ‘senza speranza e senza età’. Non sarà più così, è il momento di cambiare. Dora riprende possesso della sua vita, riacquista la giovinezza non ancora scomparsa, forse anche l’interesse per un uomo…


   La storia di queste donne, di Dora prima di tutto, viene raccontata da una osservatrice esterna di cui non conosceremo l’identità fino quasi alla fine, quando saranno successe altre cose ancora. Solo un punto di vista esterno può essere obiettivo, può cercare di dare una distaccata interpretazione psicologica delle persone coinvolte. E la fine sorprende lei per prima, un’altra donna che dipende da un uomo, ma che, forse, riesce a recuperare la sua libertà. Cosa che non fa Lisa. Perché Lisa, nonostante non voglia assomigliare a Dora, finisce nella vecchia trappola. Ci finisce ad occhi aperti, non per amore ma per soldi. È diverso?

   La narrativa è veloce, il tono è leggero, la problematica sempre valida- cambierà mai la condizione femminile di sudditanza all’uomo?



martedì 17 ottobre 2023

Pina Ligas, “Anime sperse” ed. 2023

                                                                    Casa Nostra. Qui Italia


Pina Ligas, “Anime sperse”

Ed. Iacobelli, pagg. 244, Euro 18,50

 

   1860. L’Italia si avvia verso l’unità sotto la guida del Re di Savoia. È un periodo difficile, di transizione.

   Un giardino in Liguria risuona delle voci di bambini che giocano. Una di loro è presa di mira dai loro scherzi e dalle loro parole: è Costanza, la sorellina sfortunata, nata con una gambetta più corta dell’altra. Zoppica e non è veloce come i fratelli nel gioco di nascondino. Come se non bastasse, è anche lenta nell’apprendere e ha ‘il mal caduco’. Non dovrebbe essere un peso per una famiglia che ha molti mezzi come quella del conte De Blanchard, ministro del governo sabaudo. Eppure c’è il peso della vergogna per quella ‘macchia’ sulla perfezione della famiglia che deve apparire ricca e felice. La madre della bambina è una persona debole e sottomessa al marito, la contessa madre è un’arpia- è lei che spinge il figlio, il conte De Blanchard, a prendere la decisione di far internare la bimba in un Istituto di Suore a Torino.

    Il denaro e il prestigio sociale comprano tutto, anche la resistenza della Madre Badessa che cerca di respingere la richiesta perché l’Istituto che dirige è sorto per dare un alloggio a ragazzine deviate, a volte delinquenti. E il caso di Costanza non presenta i requisiti richiesti. Tuttavia la Madre Badessa finisce per cedere, a patto che sia per un periodo al massimo di sei mesi.


Costanza diventerà una giovane donna nell’Istituto di Torino, senza più vedere nessuno della sua famiglia. E, tra mille sofferenze, questa sarà la sua fortuna.

    Questo è il prologo del romanzo “Anime sperse”. La parte centrale della trama si fa interessante perché si svolge su un doppio binario, con due vicende speculari, della figlia e del padre, tutti e due rinchiusi in quella che è per entrambi una prigione. Perché non è forse una carceriera quella suora che dovrebbe avere la funzione di istitutrice per Costanza? in un certo senso Costanza è in un carcere dorato perché suo padre si è premurato che la sua stanza fosse confortevole, non come quella delle altre internate. Ben diverso è il carcere di sicurezza su un’isola in cui è stato internato il conte De Blanchard-  leggerete perché un ministro sia finito in prigione e vi sia stato dimenticato. Sia il padre sia la figlia sono, però, due prigionieri innocenti.


   Non tutto il male vien per nuocere- come si suol dire. Se fosse rimasta con la famiglia, Costanza sarebbe stata discriminata per sempre. Invece il destino, o la Provvidenza, arriva nell’Istituto torinese nelle vesti di una suora che non per niente si chiama Angelica. Suor Angelica opera una sorta di risveglio in Costanza, le fa acquistare fiducia nelle sue capacità dimenticando la zoppia con un paio di calzature adeguate, dando ali alla sua voce di soprano.

   C’è un forte interesse sociale in questo romanzo in cui veniamo a conoscenza di crimini spesso indotti dall’indigenza, contrapposti ad altri, forse ancora più gravi, causati da ambizione, egoismo, arrivismo e culto delle apparenze. Per contro riscontriamo sentimenti come la generosità e l’amore disinteressato da parte di chi, pur appartenendo a una classe sociale inferiore, pur subendo una discriminazione uguale seppure diversa da quella di Costanza, non dimentica la legge morale superiore.

   A tratti il romanzo sfiora il feuilleton quando si addentra in torbide storie che sembrano riecheggiare la Monaca di Monza, a volte i dialoghi non suonano convincenti, poi, però, quando si avvia alla fine e ci aspetteremmo uno ‘happy ending’, ci presenta un quesito disturbante- dimenticare significa anche perdonare? Perdonare significa procedere nella vita come se niente fosse successo?

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sabato 14 ottobre 2023

Jon Fosse, “Io è un altro. Settologia (Vol. 3-5)

                                                                            vento del Nord

           Premio Nobel 2023

Jon Fosse, “Io è un altro. Settologia (Vol. 3-5)

Ed. La Nave di Teseo, trad. Margherita Podestà Heir, pagg. 304, Euro 22,00

    È successo tutto come al solito. Dopo le mille speculazioni, dopo le liste di possibili vincitori tra cui alcuni nomi ricorrono da anni in questa rincorsa al premio Nobel, il 5 di ottobre è stato annunciato che il premio è stato conferito al norvegese Jon Fosse- come al solito da un po’ di anni a questa parte, uno sconosciuto per la maggior parte dei lettori italiani nonostante due sue opere siano nel catalogo della Nave di Teseo (una terza è appena stata pubblicata il 10 di ottobre) e il libro del suo Teatro sia stato pubblicato nel 2006 dalla casa editrice Editoria e Spettacolo. Eppure in Norvegia è talmente noto che gli è stato concesso dal Re di risiedere, per meriti letterari, nella residenza onoraria di Grotten, e il Daily Telegraph lo considera uno dei 100 geni viventi. Sessantaquattrenne, sposato con sei figli, alcolizzato fino a un decennio di anni fa, si è convertito al cattolicesimo nel 2012.

   “Io è un altro. Settologia 3-5” è il seguito di “Settologia I-II. L’altro nome”, pubblicato nel 2019. L’inizio contiene la cifra stilistica del romanzo- E mi vedo mentre osservo il dipinto con le due linee, una viola e una marrone che si intersecano al centro, e penso che il soggiorno è così freddo e che, a prescindere dall’ora è troppo presto per alzarsi, allora perché mi sono alzato?....scrutando nel buio vedo Asle in cortile, è seduto sull’altalena, ma non si dondola…

residenza di Grotten

    L’io narrante è l’anziano pittore Asle che aggiungerà a poco a poco dettagli che ci aiutano ad immaginarlo- capelli grigi raccolti in una coda per compensare l’inizio di calvizie, giacca di velluto nero, borsa di cuoio che è la stessa che si era comprato da ragazzo, quando era andato a studiare lontano da casa. Il secondo Asle che il pittore vede in cortile è se stesso da bambino che deve affrontare la mamma (sempre citata come ‘Madre’, accanto a ‘Padre’, ‘Nonno’ e ‘Nonna’, ‘Sorella’, ‘Medico’, ‘Panettiere’ e così via) che gli chiede furibonda dove abbia preso le tre corone che erano nelle tasche dei suoi pantaloni. Il presente confluisce senza stacco nel passato per tornare nel presente. Asle pittore con il quadro delle due linee che vuole tenere per sé invece di regalarlo all’amico pescatore Åsleik (uno dei pochissimi nomi che appaiono nel romanzo, insieme a quello della moglie morta, Ales- tutti riconducibili al nome del protagonista) si alterna ad Asle bambino e poi ragazzino che eccelle in una sola materia a scuola, il disegno, e che a quindici anni va a vivere da solo ad Aga per frequentare il Liceo e poi l’Accademia. La narrativa poi ritorna al presente con Asle che porta i suoi quadri alla galleria che li esporrà (quando il racconto scivola nel passato troviamo la storia di come Asle sia arrivato ad acquistare la fama con questi quadri di pittura astratta che non piacevano a nessuno delle sue conoscenze), e, se nel passato Asle giovane andava a trovare al ricovero la Nonna a cui era molto affezionato, nel presente cerca di essere ammesso all’ospedale dove un altro Asle, pittore anche lui e chiamato Omonimo nelle pagine del passato, sta morendo. Era stato proprio lui, Asle il protagonista, a trovarlo ubriaco, forse in coma etilico, sul bordo della strada, nella neve. Da subito, quando Asle giovane aveva fatto conoscenza di Omonimo, abbiamo capito che questi è il suo doppio, che la sua discesa nell’alcolismo è quella che si annuncia al narratore nel momento stesso che accetta che un amico alteri la sua data di nascita sulla carta di identità per poter comperare la birra.


    Tra presente e passato, tra bevute e smemoratezze, c’è tutta la vita di Asle in queste pagine, la passione dominante per la pittura e quella per la moglie che ha avuto su di lui una così grande influenza da indurlo a convertirsi al cattolicesimo, ci sono le sue riflessioni sulla religione, l’importanza e il significato della  fede, la recita delle preghiere in latino, e lo sguardo fisso sulla sedia vuota della moglie su cui non permette a nessuno di sedersi.

    Il flusso di coscienza usato da Fosse ricorda Joyce, così come il breve tempo della narrazione ricorda quell’unico giorno di “Ulisse”, mentre le riflessioni sul finir della vita e il gioco di nomi uguali o simili a quello del protagonista richiamano alla mente “Malone muore” di Samuel Becket. L’uso della punteggiatura è personale in questo romanzo che finisce per essere un poco claustrofobico. Per una strana alchimia, per l’indubbia bravura dello scrittore nel creare pause, non sentiamo la mancanza di virgole e punti- non c’è un punto, un full stop neppure alla fine del libro. Indica che tutto continua? Magari in un’altra vita?

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martedì 10 ottobre 2023

Edith Joyce, “Riot” ed. 2023

                                                                 Casa Nostra. Qui Italia

    romanzo di formazione
   guerriglia nell'Irlanda del Nord

Edith Joyce, “Riot”

Ed. Magazzini Salani, pagg. 332, Euro 16,90

   Sono stati chiamati, con un eufemismo, “the Troubles”, “i guai”, quelli che Edith Joyce nel suo libro chiama “Riot”, ‘rivolta’, ribellione, intitolando così il libro. Furono trent’anni di rivolta, quelli tra la fine dei ‘60 e la fine dei ‘90, nell’Irlanda del Nord facente parte del Regno Unito. I repubblicani cattolici non potevano accettare questa divisione dell’Isola di Smeraldo, l’Irlanda doveva essere tutt’una- per che cosa aveva lottato Michael Collins mezzo secolo prima? Nelle città di Belfast e di Derry gli scontri erano continui- da una parte l’Irish Republican Army (IRA), dall’altra l’Ulster Volunteer Force e i soldati dell’esercito britannico. La pace era un sogno lontano.

   Il romanzo di Edith Joyce inizia a Belfast nel 1978 e siamo proiettati subito nel cuore del conflitto dalle parole di Saoirse (un nome che significa ‘libertà’ in gaelico), la voce narrante. La mattina studiavo, la notte sparavo contro gli inglesi…Quando uccisi un soldato per la prima volta, avevo appena dato il primo esame.

   Per comprendere che cosa abbia portato Saoirse al coinvolgimento attivo, ad arruolarsi nell’IRA, dobbiamo riavvolgere il tempo al 1964. Saoirse è ancora una bambina, vive insieme alla madre (il padre è morto e molto più tardi sapremo come e perché) a Derry. Derry dai due nomi, Derry che è Londonderry per ‘gli altri’. Per i protestanti, per i lealisti. Derry che è divisa in due parti dal fiume Foyle, Derry in cui il Bogside è come una città dentro la città, è la zona povera in cui abitano i cattolici, dove ci sono barricate nelle strade, dove ai bambini viene ordinato di non stare alla finestra, dove gli adulti troppo spesso si ubriacano per dimenticare la mancanza cronica di soldi, la disoccupazione, la guerriglia, il peso della vita, dove la morte ti aspetta all’angolo della strada con un fucile in mano.


    Quattro amici diventano grandi a Bogside in questo insolito, tragico, crudamente bello, romanzo di formazione. Saoirse, Orla, Cillian, Aidan. Aidan ha qualche anno in più degli altri tre ed è sempre stato protettivo nei loro confronti, così come verso tutti i bambini del quartiere. All’inizio del libro il più grande desiderio di Saoirse è di avere una bambola, Orla sfida Aidan a giocare a biglie in strada, Cillian corre a chiedere aiuto alla mamma di Saoirse perché sua madre non riesce svegliarsi. I bambini sono abituati al pericolo, sono stati educati a rifiutare qualunque cosa gli venga offerto dagli inglesi, la strada è il loro campo di giochi. Finché…accade qualcosa che per loro è incomprensibile e inaccettabile, perché la morte di un bambino è inaccettabile, lo è sempre, lo è ancora di più quando è arbitraria e violenta. È questo momento il punto di svolta, passerà ancora del tempo ma Aidan ha già deciso che si arruolerà nell’IRA. Saoirse prenderà la stessa decisione, un po’ per amore di Aidan e molto per un’altra morte che la tocca da vicino- si può morire mentre si mangia un gelato?


    Gli anni passano, si litiga, ci si innamora, c’è la terribile giornata del 30 gennaio 1972 che verrà ricordata come Bloody Sunday, sulle mura delle case di Derry appaiono i murales che mantengono vivi i ricordi di chi è morto per la libertà dell’Irlanda, compare la scritta You are now entering free Derry, compare anche la droga purtroppo. I militanti dell’IRA riservavano la morte agli spacciatori, gambizzando invece chi faceva uso di droga- neppure questo, però, scoraggerà uno degli amici dal cercare rifugio nel paradiso artificiale.

   Edith Joyce (sotto questo pseudonimo tutto irlandese si nasconde una giovane scrittrice italiana) ci racconta una storia di amore e di lotta- amore per il proprio paese, amore per un ideale, amore per un ragazzo o una ragazza, e lotta per il paese che si ama, per un’ideale di libertà, per il diritto di non morire in una strada quando si è ancora un bambino, per vivere in pace.

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domenica 8 ottobre 2023

Bernard Grandjean, “La scomparsa del manoscritto tibetano” ed. 2023

                                               Voci da mondi diversi. Francia

        cento sfumature di giallo

Bernard Grandjean, “La scomparsa del manoscritto tibetano”

Ed. ObarraO, trad. Augusta Scacchi, pagg. 176, Euro 14,00

    Bernard Grandjean ha studiato a Strasburgo (possiamo immaginarlo nella stessa biblioteca dove la sua protagonista Betty Bloch sta consultando dei libri), appassionato della cultura himalayana ha viaggiato e soggiornato a lungo in Mongolia, in Nepal e in Butan. È il fascino dell’Oriente che lo ha portato ad ambientare i suoi romanzi nei paesi asiatici. “La scomparsa del manoscritto tibetano” è il primo della serie con Betty Bloch che si svolge in Tibet.

     Una regione travagliata, ‘il tetto del mondo’ con un’altitudine media di 4900 metri su cui torreggia l’Everest, la montagna più alta del pianeta. Da sempre ha fatto gola ai cinesi- dopo la rivolta del 1959, soffocata nel sangue, dal 1964 il Tibet è Regione Autonoma, una provincia della Cina a statuto speciale. Il Dalai Lama, capo spirituale del paese, fuggito in India nel 1959, non è più tornato sull’altopiano. E più di 6000 monasteri e edifici culturali sono stati distrutti dai cinesi.


    Bernard Grandjean ci immerge in questa atmosfera in cui la ricerca dell’antico manoscritto ha più di una valenza, considerando il contesto storico. La giovane etnologa francese Betty Bloch era stata colpita dall’aspetto esotico di un ragazzo che consultava dei testi nella biblioteca di Strasburgo, seduto ad un tavolo vicino a lei.  E poi si era accorta che il ragazzo che sembrava cinese stava copiando un manoscritto tibetano. E lei che era convinta di essere l’unica studentessa dell’università a studiare il tibetano! Il ragazzo, comunque, non si presenterà più in biblioteca, non ha più bisogno di consultare niente perché ha rubato il manoscritto restituendo una copia falsa.


Perché lo aveva rubato? Era un manoscritto raro? Aveva un valore commerciale? È impossibile parlare con il ragazzo, l’unica cosa che Betty è riuscita a sapere è che è partito per Katmandu.

   Betty raccoglie al volo lo spunto per un’avventura. È giovane, carina, ricca, non ha nessuna intenzione di chiudersi nel matrimonio combinato che sua madre sta architettando. E parte per Katmandu, sui due piedi, con una gonnellina corta di cotone e un paio di collant neri che poi cambierà con un paio arancione che la renderanno ancora più ‘diversa’ dalle donne tibetane. Il viaggio però non termina a Katmandu, prosegue per Gangpong dove il mistero del manoscritto scomparso e rubato una seconda volta si infittisce e assume un risvolto politico.

    All’attraente ragazzo sulle cui tracce Betty è arrivata in Tibet, e che si rivela essere un monaco buddista, si aggiungono altri personaggi- un ingegnere indiano, un professore universitario in pensione e poi altri, un po’ stravaganti, un po’ pericolosi. Che si sia ad una svolta pericolosa è chiaro quando l’ingegnere subisce un attentato- si trattava di un avvertimento o lo si voleva togliere di mezzo? Perché l’ingegnere sta costruendo una strada di grande importanza per facilitare le comunicazioni, tuttavia questa opera ingegneristica comporterà la distruzione di un antico monastero.


    E il manoscritto, in tutto questo? Per chi sa leggerlo bene il manoscritto contiene delle formule che possono cambiare tutto…Dipende però da chi le usa- riuscite ad immaginare le alture sacre del Tibet trasformate in campi da sci, città chiuse in un globo come fossero delle bocce di neve, complessi alberghieri pullulanti di turisti? Viene un brivido a pensarci. Ma si sa, sono i soldi a far girare il mondo.

   La trama è esile e scorre leggera. L’esotismo dell’ambientazione non può non attrarre il lettore e il sottile umorismo che pervade la narrazione rende la lettura molto gradevole. 

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