Voci da mondi diversi. Francia
biografia romanzata
FRESCO DI LETTURA
Yannick Grannec, “La dea delle piccole vittorie”
Ed. Longanesi, trad. Di Lella e
Vanorio, pagg. 396, Euro 14,96, e-book 11,99
Kurt Gödel, il genio della matematica. Nato a Brno nel 1906 è stato un matematico,
un logico e filosofo austriaco che prese la cittadinanza statunitense nel 1948.
Per immaginare la sua grandezza è sufficiente dire che è stato messo sullo
stesso piano di Aristotele. Eppure, nella biografia romanzata della sua vita
scritta da Yannick Grannec, “La dea delle piccole vittorie”, il personaggio
veramente ‘grande’ non è lui ma la
moglie Adéle, la ballerina di
sei anni più vecchia di lui, un divorzio alle spalle, che Kurt aveva conosciuto
frequentando il locale di Vienna dove lei si esibiva oltre a fare la
guardarobiera. Adèle che era stata la sua compagna per dieci anni prima che
Kurt la sposasse, a cui la suocera si rivolgeva in modo sprezzante (se si
degnava di parlarle), che gli era stata sempre a fianco, rinunciando alla
maternità per curare un uomo che era rimasto un bambino, incapace di fare
alcunché non fosse pura speculazione.
Kurt Gödel morì a Princeton nel 1978. Il
libro prende l’avvio nel 1980 quando
Adéle, anziana e ricoverata in una casa di cura, riceve le visite di Anna, una
giovane studiosa inviata dall’università di Princeton perché cerchi di convincerla
ad affidare loro tutte le carte dell’archivio
del marito. L’inizio è burrascoso, Adèle non ne vuole sapere di incontrare
Anna, è vecchia e di salute inferma ma ancora battagliera e piena di spirito. Poi in lei scatta qualcosa- forse
la incuriosisce che Anna abbia imparato il tedesco da una nonna, forse sente
una qualche affinità per diversità con questa ragazza che, figlia di professori
universitari, ha avuto poca attenzione dai genitori, che potrebbe essere la
figlia che lei non ha avuto. E acconsente a vederla, si sorprende ad attendere
le sue visite, le piace chiacchierare con lei, le racconta la sua vita con Kurt.
A volte sembra che Adèle stessa non sappia
perché amasse Kurt Gödel. L’aveva conquistata, quando lo aveva conosciuto, con
la sua aria timida, il viso da bravo ragazzino, gli occhiali dalla montatura
nera, la testa sempre tra le nuvole. Aveva forse provato un istinto di
protezione verso un uomo che pareva sprovveduto. E infatti lo aveva protetto tutta la vita, anche quando la faceva infuriare
con le sue paranoie, le sue psicosi. Perché Kurt Gödel era un uomo fragile, un ipocondriaco, pieno di manie e
ossessioni. Soprattutto da quando si erano stabiliti in America, temeva di
essere spiato, addirittura aveva paura che cercassero di avvelenarlo.
Quando
Adèle descrive la sua vita quotidiana con il ‘genio’, proviamo compassione per
lei. Ammiriamo lo sforzo continuo per farlo mangiare, per dissipare le sue
ombre, per garantirgli la quiete di cui lui ha bisogno per i suoi studi. La
ammiriamo per come ha saputo- lei, ex-ballerina- inserirsi nell’ambiente dei
grandi studiosi del tempo: Albert
Einstein era un amico intimo di Kurt, Oppenheimer e Morgenstern frequentavano
regolarmente la loro casa. Adèle non pretendeva mai di essere quella che non
era. Anche adesso, nelle ore che passa con Anna, non si atteggia a vedova di un
personaggio famoso. E’ rimasta la ballerina che dà consigli ad Anna
sull’abbigliamento, sulla pettinatura, su come trattare gli uomini. E’ vivace e
frizzante, si capisce come abbia saputo accattivarsi gli illustri amici del
marito. Anna, al confronto, è una pallida figura, l’opposto di Adèle: Anna non
si sacrificherebbe mai per un uomo. Ed infatti è sola.
Kurt Gödel
è morto di inedia. Si è lasciato morire di fame, vittima delle sue
paranoie. Era arrivato ad un punto in cui (i suoi migliori amici erano morti,
Adèle era ammalata) nessuno poteva fare più niente per lui. Il racconto di
Adèle, però, non ci restituisce solo la vita di un uomo. Dalle pagine di Yannick
Grannec balza fuori la storia d’Europa
dagli anni immediatamente precedenti al nazismo fino al dopoguerra e,
interessantissima, l’atmosfera da caccia
alle streghe in America (quella che portò all’esecuzione dei coniugi
Rosenberg), nonché la frequentazione e le
discussioni del gruppo di scienziati emigrati in massa in fuga da Hitler.
Alla fine del romanzo ho
pensato che Adèle Gödel, nata Porkert, si aggiunge alla lunga fila di donne che sono ‘grandi’ perché hanno reso
possibile ai loro mariti di essere ‘grandi’, come Ruth, moglie di George
Mallory (“Ti scriverò dai confini del cielo” di Tanis Rideout), oppure Anne,
moglie di Charles Lindbergh (“La moglie dell’aviatore”, Melanie Benjamin).
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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