lunedì 12 gennaio 2015

Yannick Grannec, “La dea delle piccole vittorie” ed. 2014

Voci da mondi diversi. Francia
biografia romanzata
FRESCO DI LETTURA


Yannick Grannec, “La dea delle piccole vittorie”
Ed. Longanesi, trad. Di Lella e Vanorio, pagg. 396, Euro 14,96, e-book 11,99


    Kurt Gödel, il genio della matematica. Nato a Brno nel 1906 è stato un matematico, un logico e filosofo austriaco che prese la cittadinanza statunitense nel 1948. Per immaginare la sua grandezza è sufficiente dire che è stato messo sullo stesso piano di Aristotele. Eppure, nella biografia romanzata della sua vita scritta da Yannick Grannec, “La dea delle piccole vittorie”, il personaggio veramente ‘grande’ non è lui ma la moglie Adéle, la ballerina di sei anni più vecchia di lui, un divorzio alle spalle, che Kurt aveva conosciuto frequentando il locale di Vienna dove lei si esibiva oltre a fare la guardarobiera. Adèle che era stata la sua compagna per dieci anni prima che Kurt la sposasse, a cui la suocera si rivolgeva in modo sprezzante (se si degnava di parlarle), che gli era stata sempre a fianco, rinunciando alla maternità per curare un uomo che era rimasto un bambino, incapace di fare alcunché non fosse pura speculazione.

        Kurt Gödel morì a Princeton nel 1978. Il libro prende l’avvio nel 1980 quando Adéle, anziana e ricoverata in una casa di cura, riceve le visite di Anna, una giovane studiosa inviata dall’università di Princeton perché cerchi di convincerla ad affidare loro tutte le carte dell’archivio del marito. L’inizio è burrascoso, Adèle non ne vuole sapere di incontrare Anna, è vecchia e di salute inferma ma ancora battagliera e piena di spirito. Poi in lei scatta qualcosa- forse la incuriosisce che Anna abbia imparato il tedesco da una nonna, forse sente una qualche affinità per diversità con questa ragazza che, figlia di professori universitari, ha avuto poca attenzione dai genitori, che potrebbe essere la figlia che lei non ha avuto. E acconsente a vederla, si sorprende ad attendere le sue visite, le piace chiacchierare con lei, le racconta la sua vita con Kurt.
    A volte sembra che Adèle stessa non sappia perché amasse Kurt Gödel. L’aveva conquistata, quando lo aveva conosciuto, con la sua aria timida, il viso da bravo ragazzino, gli occhiali dalla montatura nera, la testa sempre tra le nuvole. Aveva forse provato un istinto di protezione verso un uomo che pareva sprovveduto. E infatti lo aveva protetto tutta la vita, anche quando la faceva infuriare con le sue paranoie, le sue psicosi. Perché Kurt Gödel era un uomo fragile, un ipocondriaco, pieno di manie e ossessioni. Soprattutto da quando si erano stabiliti in America, temeva di essere spiato, addirittura aveva paura che cercassero di avvelenarlo.
Quando Adèle descrive la sua vita quotidiana con il ‘genio’, proviamo compassione per lei. Ammiriamo lo sforzo continuo per farlo mangiare, per dissipare le sue ombre, per garantirgli la quiete di cui lui ha bisogno per i suoi studi. La ammiriamo per come ha saputo- lei, ex-ballerina- inserirsi nell’ambiente dei grandi studiosi del tempo: Albert Einstein era un amico intimo di Kurt, Oppenheimer e Morgenstern frequentavano regolarmente la loro casa. Adèle non pretendeva mai di essere quella che non era. Anche adesso, nelle ore che passa con Anna, non si atteggia a vedova di un personaggio famoso. E’ rimasta la ballerina che dà consigli ad Anna sull’abbigliamento, sulla pettinatura, su come trattare gli uomini. E’ vivace e frizzante, si capisce come abbia saputo accattivarsi gli illustri amici del marito. Anna, al confronto, è una pallida figura, l’opposto di Adèle: Anna non si sacrificherebbe mai per un uomo. Ed infatti è sola.

   Kurt Gödel è morto di inedia. Si è lasciato morire di fame, vittima delle sue paranoie. Era arrivato ad un punto in cui (i suoi migliori amici erano morti, Adèle era ammalata) nessuno poteva fare più niente per lui. Il racconto di Adèle, però, non ci restituisce solo la vita di un uomo. Dalle pagine di Yannick Grannec balza fuori la storia d’Europa dagli anni immediatamente precedenti al nazismo fino al dopoguerra e, interessantissima, l’atmosfera da caccia alle streghe in America (quella che portò all’esecuzione dei coniugi Rosenberg), nonché la frequentazione e le discussioni del gruppo di scienziati emigrati in massa in fuga da Hitler.
Alla fine del romanzo ho pensato che Adèle Gödel, nata Porkert, si aggiunge alla lunga fila di donne che sono ‘grandi’ perché hanno reso possibile ai loro mariti di essere ‘grandi’, come Ruth, moglie di George Mallory (“Ti scriverò dai confini del cielo” di Tanis Rideout), oppure Anne, moglie di Charles Lindbergh (“La moglie dell’aviatore”, Melanie Benjamin).

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it





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