Voci da mondi diversi. Asia
il libro ritrovato
Tash Aw, “La vera storia di Johnny Lim”
Ed. Fazi, trad. Giuseppe Marano,
pagg. 349, Euro 16,00
Chi è Johnny Lim? Un povero
cinese immigrato in Malesia che ha fatto fortuna con mezzi dubbi, un comunista
capace di fare proseliti, un informatore dei giapponesi, un marito
inconsolabile per la morte della moglie o un uomo che si è sposato per
opportunismo? Tre persone ricostruiscono l’identità di Johnny Lim: il figlio
Jasper, la moglie Snow e l’amico inglese Peter. Ma il figlio non sa un segreto
contenuto nel diario di sua madre e di cui solo Peter è al corrente: al lettore
scoprirlo, alla fine.
INTERVISTA A TASH AW, autore de “La vera storia di Johnny Lim”
Abbiamo imparato a diffidare, quando
apprendiamo che ci accingiamo a leggere la “vera” storia di qualcuno. Il solo
fatto che si specifichi che sia “vera” implica che ci sono anche storie false
in circolazione, e quale garanzia abbiamo che quella che ci viene raccontata
sia l’unica vera? Nel caso di Johnny Lim i narratori della vera storia sono tre
e l’abilità dello scrittore malese Tash Aw sta nel riuscire quasi a convincerci, dopo ogni nuova
versione delle vicende, che quella che abbiamo appena letto è la più credibile.
Quasi, però. E proseguiamo nella
lettura, coinvolti e affascinati dal personaggio di Johnny Lim, e alla fine restiamo
ancora dubbiosi e con delle domande, come è giusto che sia quando la figura di
un uomo è entrata nella leggenda.
Perché certamente sono leggenda sia la
nascita di Johnny Lim (persino la data è incerta) sia la sua morte, con la
folla di persone che si presenta per rendergli l’ultimo omaggio e la scena
grandiosa degli oggetti di carta raffiguranti i simboli del suo successo a cui
viene dato fuoco. La prima voce che ascoltiamo è quella dell’unico figlio di
Johnny Lim, Jasper, una voce che non riesce a celare la furia, il rancore,
l’odio represso verso un padre a cui non ha mai sentito di assomigliare e che
ha rifiutato quando è venuto a conoscenza del suo passato. Perché Johnny Lim ha
calpestato cadaveri nella sua via verso il successo. La storia che Jasper ci
racconta non è di prima mano, naturalmente, soprattutto la parte che riguarda
il passato- il giovane Johnny che causa la morte dell’inglese che lo ha
selvaggiamente maltrattato nelle miniere, Johnny che lavora nel negozio del
mercante di stoffe e lo uccide, Johnny che organizza la lotta comunista contro
i giapponesi ma che diventa poi un collaborazionista tradendo i suoi compagni,
Johnny che sposa per interesse la bellissima Snow che muore dando alla luce
Jasper. Johnny Lim con un volto impassibile che non lascia trasparire i
sentimenti, non toccato dalla morte di nessuno, lui stesso portatore di morte.
Quando siamo convinti che il fascino che Johnny esercita anche su di noi sia
quello del male, iniziamo a leggere il diario di Snow- parte di quello che
scrive si riferisce ad episodi della vita di Johnny che abbiamo già appreso da
Jasper, ma visti in un’altra luce. Leggiamo quello che Johnny ha detto a lei
della sua vita, o quello che lei stessa ha vissuto insieme a lui, il giovane
timido e complessato che non osava corteggiarla, sopraffatto dall’educazione e
dalla cultura della famiglia di Snow, acutamente conscio della sua rozzezza e
delle sue manchevolezze.
Ma il culmine del diario, e anche il nodo
di svolta narrativo del libro che diventa un romanzo conradiano di avventura
nei mari tropicali, è nelle pagine della strana luna di miele a cinque, su
un’imbarcazione diretta alle isole delle Sette Fanciulle. E’ più quello che
Snow non dice che quello che dice nelle pagine del diario, nel timore che
qualcuno le legga: dice molto dell’avaria al motore, della bellezza del mare e
poi della vegetazione nelle isole, della tempesta e del duplice salvataggio,
suo e di Johnny, caduti in mare. Poco delle correnti fortissime di amore, di
gelosia soffocata, di pulsioni sessuali, di frustrazione e di impotenza, tra
quel mal combinato equipaggio formato da lei e il marito, dal giapponese che
dice di essere un accademico ma è il capo della polizia segreta, e da due
inglesi.
E infine ascoltiamo la voce di Peter, l’amico di Johnny che arriva in
sedia a rotelle al funerale e che era uno dei due inglesi sulla barca. E
scopriamo che c’era ancora molto che non sapevamo di Johnny Lim. E di Snow. E’
a lui che dobbiamo credere?
Stilos ha intervistato Tash Aw, nato a Taipei nel 1971 e residente a
Londra da qualche anno, in occasione della presentazione del suo romanzo al
British Council di Roma.
Gli occidentali pensano alla Malesia e agli altri paesi orientali come
ad una sorta di paradiso terrestre: perché ha lasciato la Malesia per l’Inghilterra?
Proprio perché non è un paradiso e l’apparenza è molto lontana dalla
realtà. Il paradiso è il clima, lo stile di vita, il paesaggio, ma in termini
di cose importanti, come la libertà di parola, l’uguaglianza, l’accesso
all’università, la giustizia- nessuna di queste cose è al livello a cui
dovrebbe essere. Ecco perché vivere nel mondo occidentale è preferibile per me,
per la mia attività di scrittore. E così, paradossalmente, vivo a Londra, una
delle città in cui è più difficile vivere ma anche una delle città in cui ci si
sente più liberi.
Ad uno scrittore giovane che ha appena pubblicato il suo primo romanzo,
si è soliti chiedere se abbia sempre desiderato scrivere e quando ha iniziato.
Ho sempre voluto scrivere, ho iniziato a
scrivere storie quando ero bambino e ho imparato a tenere la penna in mano,
anche se non ho mai creduto che sarei diventato uno scrittore, perché c’è
differenza tra amare le parole e metterle insieme per costruire una storia.
Avevo più o meno vent’anni quando ho deciso di iniziare a scrivere sul serio.
Adesso ne ho 34 e solo negli ultimi tre anni ho acquistato abbastanza sicurezza
di me da dire che sono uno scrittore.
C’è qualcuno dei personaggi o qualcuna delle storie raccontate nel
romanzo che siano stati ispirati da persone o storie vere?
Solo dei piccoli frammenti delle storie
che racconto sono veri. Ad esempio il tradimento dei comunisti è basato su un
vero tradimento famoso nella storia malese, avvenuto durante l’occupazione
giapponese.
Mi piace inventare- all’inizio del romanzo ci sono delle citazioni
da un testo, Rural Villages of Lowland
Malaya, e tutti hanno pensato che fosse un libro vero e invece l’ho
inventato io. Anche le isole delle Sette Fanciulle sono una creazione della mia
immaginazione.
1942 Giapponesi in Malesia |
Il successo del metodo che impiega nel suo libro, quello dei diversi
narratori, è provato dal fatto che noi lettori crediamo sempre a chi sta
parlando nella parte che stiamo leggendo. Dato che il punto di vista di Peter è
messo per ultimo, dobbiamo pensare che sia la sua versione della storia quella vera? Ed è importante al
proposito, il fatto che Peter sia inglese?
No, non è detto che si debba credere
all’ultima versione della storia. Anzi, Peter è il meno affidabile proprio
perché è il più convincente. Forse perché racconta alla fine della sua vita, ha
avuto più tempo per immergersi nella storia
e per convincersi che la sua visione degli avvenimenti sia quella vera.
E’ impossibile che, dopo tanti anni, ricordi tutto e ricordi con esattezza. Ci
sono stati dei critici che hanno osservato che Peter è affidabile perché è
inglese. Io vorrei che il lettore capisse che ognuno racconta una parte della
storia, che tutti hanno ragione ma ognuno capisce solo una parte di Johnny Lim.
La mia intenzione era proprio di essere ambiguo perché la vita è ambigua. Per l’edizione americana del
mio libro volevano che cambiassi la fine, ma naturalmente non l’ho fatto. Il
romanzo è ambiguo perché il periodo storico di cui parlo è stato molto
difficile per la Malesia ,
era difficile capire che cosa stesse succedendo. Se si scrive una fine ben
chiara e definita, significa che si dà un giudizio sui personaggi e io volevo
che i personaggi fossero ben equilibrati e potessero essere giudicati in
maniera equa, senza pregiudizi o influenza alcuna.
Delle tre voci, quella di Jasper potrebbe essere la più simile alla
sua, perché le altre due sono di una donna e di un inglese. Come è riuscito a
farle risuonare così diverse l’una dall’altra?
La difficoltà di cercare la voce
giusta per ogni personaggio spiega perché ci abbia messo cinque anni a scrivere
il romanzo. Ed è buffo, ma la parte di Jasper è stata la più difficile per me,
proprio perché ho tante cose in comune con lui. Gli altri due personaggi sono
così diversi che potevo usare la mia immaginazione e crearli interamente. Ma
Jasper è più vicino a me e dovevo farlo diverso. Jasper era l’unico che non era
vivo quando si svolsero gli eventi del romanzo e la sua voce doveva comunicare
al lettore la tragedia di quello che è successo, e inoltre la sua stessa vita
era stata influenzata in maniera determinante da quello di cui raccontava: per
questo è stato difficile trovare il tono giusto.
Di Snow leggiamo il diario: le ha “fatto” scrivere il diario per
incorrere in meno “errori” nel suo tono di voce?
No, il motivo per cui ho scelto di far
parlare Snow attraverso le pagine del diario è diverso: in tutto il romanzo ho
cercato di offrire al lettore qualcosa che non si aspetta, ho cercato di sfidare
le sue aspettative. Volevo che il lettore sentisse di sapere che cosa avrebbe
letto per poi presentargli qualcosa di diverso e inaspettato. Quando i lettori
iniziano a leggere la parte di Snow, vedono che è un diario scritto da una
donna cinese nel 1941 e si aspettano qualcosa di intimistico, di sentimentale.
E invece io do loro qualcosa di molto mascolino, un thriller psicologico che è
raccontato come una storia di avventure- in genere sono gli uomini che
raccontano così. I lettori si aspettano qualcosa e hanno qualcosa di
interamente differente. E’ una peculiarità di questo romanzo, quella di non
dire. Per me il romanzo è costruito su silenzi: dove ci aspettiamo delle
risposte troviamo dei silenzi. Il silenzio è più potente di una risposta
diretta. Quando “percepiamo” qualcosa, la nostra percezione ha più forza di
quello che sappiamo con certezza.
Nel romanzo ci viene spiegato perché molti, all’epoca, cambiassero il
proprio nome con quello di attori: ad esempio, Johnny aveva preso il nome dell’attore
che impersonava Tarzan. Perché Snow?
Il nome di Snow fa pensare alla purezza,
alla freddezza di carattere. Di fatto Snow è una donna appassionata e non così
pura. Ancora una volta volevo disattendere le aspettative: l’immagine della
donna asiatica è quella di una donna pura, virginale, distaccata e invece Snow
è piena di desideri e di passioni. Mi piaceva questo contrasto.
Peter e Johnny sono due amici improbabili: che cosa vedono l’uno
nell’altro?
Ognuno dei due rappresenta per l’altro lo
stereotipo di quello che ognuno cerca nell’altro: Johnny è lo stereotipo
dell’esotismo dell’Est e Peter quello del gentiluomo inglese. Alla fine si
scopre che uno non è tanto “selvaggio” e l’altro non è tanto gentiluomo. Volevo
che ognuno fosse deluso dall’altro e volevo anche ingannare i lettori oltre
agli stessi personaggi nella ricerca reciproca di conoscenza. Volevo esplorare
come l’atteggiamento verso la razza e la discendenza influenzi il nostro
approccio agli altri.
Da dove viene l’amore di Peter per i giardini?
Penso che il giardinaggio sia qualcosa di istintivo e di profondo. I
persiani pensavano che fosse il riflesso terrestre del paradiso. Peter ha avuto
un’educazione cattolica e il giardino dell’Eden è essenziale nel Cristianesimo,
il peccato originale ha luogo nel giardino dell’Eden e lo sforzo del cristiano
è teso a ritornare nel giardino. Così Peter passa la vita progettando giardini
per ritornare nel “suo” giardino dell’Eden. Vuole ricreare uno stato precedente
al peccato originale, prima che la sua vita fosse corrotta, prima di diventare
responsabile di molta distruzione: il giardino è per lui la possibilità di
salvezza, di riscatto.
Gli altri personaggi inglesi nel romanzo sono odiosi: quali erano o
quali sono i sentimenti dei malesi nei confronti dei loro colonizzatori?
Non odiamo i britannici come gli indiani.
Cerchiamo di dimenticare il passato e questo però è male perché quello che è
stato è stato e noi dovremmo confrontare e accettare la nostra storia.
Ci si stupisce sempre un poco nel rendersi conto che l’inglese- la
lingua degli invasori- sia diventata la lingua letteraria di tutti i paesi
dell’ex Impero: è una cosa positiva o no?
Ci sono due scuole di pensiero- per una di
queste le colonie sono ancora tali e sono in posizione di inferiorità e noi non
abbiamo la nostra voce individuale. Io preferisco la scuola che sostiene invece
che c’è stata un’appropriazione della lingua dei vecchi padroni, che l’inglese
non è una proprietà specifica di nessun paese. Il mio inglese non è quello
degli inglesi, è un inglese modificato e la stessa cosa è vera anche per gli
indiani che scrivono in inglese.
Questo suo primo romanzo è fermamente radicato in Malesia. Avverte come
un problema per lei come scrittore il fatto di vivere così lontano dal suo
paese e dalle sue radici?
No, penso sia vero l’opposto. Vivere
lontano dalla Malesia mi dà più obiettività, mi permette di vedere quello che
c’è di buono e quello che c’è di cattivo in Malesia, come non potrei fare se
vivessi là. Quando si vive in un luogo, ci sono tante cose che si danno per
scontate: la politica è molto corrotta in Malesia, non c’è uguaglianza, c’è
restrizione della libertà, ma chi ci vive non se ne rende conto. Chi ci vive si
accontenta di non criticare il primo ministro, per esempio, altrimenti si
finisce in prigione- quando sei lì, ti adatti per sopravvivere. Quando ti
allontani, riesci a vedere tutto da una prospettiva migliore.
recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos
Nessun commento:
Posta un commento