martedì 27 gennaio 2015

Steve Sem-Sandberg, "Gli spodestati" intervista del 2012

                                                      seconda guerra mondiale
                                                       Shoah


INTERVISTA A STEVE SEM-SANDBERG, autore de “Gli spodestati”

L’evento con la presenza di Steve Sem-Sandberg, al festival della letteratura di Mantova, è stato molto interessante: il suo libro, “Gli spodestati”, è un libro così importante e necessario da spiegare il numero dei presenti e le molte domande che sono state fatte allo scrittore. Ho voluto incontrarlo perché desideravo chiedergli altre cose e non mi era stato possibile farlo sul luogo dell’evento- il tempo era scaduto.

Ho letto sempre molto sulla seconda guerra mondiale e sul nazismo. Eppure, prima di quest’anno, non mi ero mai imbattuta nel personaggio di Rumkowski.  Rumkowski è, in un certo senso, il personaggio centrale del suo libro “Gli spodestati” e l’ho trovato anche nel libro di Lucille Eichengreen, “Le donne e l’Olocausto”. Mi sono chiesta se ci sia una ragione, se in passato sia stato necessario esplorare il male più grande- dalla parte del nazismo- prima di affrontare dei comportamenti discutibili da parte degli ebrei.
      Prima di tutto devo dire che non penso che si possano biasimare gli ebrei per alcuna cosa: gli ebrei sono stati perseguitati, messi in situazione da dover cercare di sopravvivere in una qualche maniera. Il fatto è che la storia evolve e vengono fuori fatti di cui prima non si sapeva. Solo nel 2007 sono apparse le cronache del ghetto di Łodz che ci hanno permesso di conoscere dettagli fino ad ora sconosciuti.

Ho riletto di recente il romanzo di Leon Uris “Mila 18” sulla rivolta nel ghetto di Varsavia. C’è una grande differenza tra “Mila 18” e “Gli spodestati”. “Mila 18” è del 1961. Ha avuto un valore enorme nel diffondere, anche se in versione romanzata, la storia del ghetto di Varsavia. Mi sono chiesta tuttavia se sarebbe stato possibile scrivere negli anni ‘60 un libro come “Gli spodestati”- romanzo, storia, saggio- un libro che ha ben altre basi che “Mila 18”.
     Leon Uris è uno scrittore fondamentalmente diverso da me. Leon Uris ha scritto letteratura popolare sull’eredità ebraica. Fa degli eroi dei suoi personaggi che combattono una battaglia persa. E’ una storia da intrattenimento. E comunque no, non sarebbe stato possibile, negli anni ‘60, avere a disposizione il materiale storico di cui ho fatto uso nel mio libro. La letteratura dell’Olocausto negli anni ‘60, ‘70, ‘80, viene in genere dai sopravvissuti, oppure sono storie dette da qualcuno che riprende le parole dei sopravvissuti, i loro racconti. A questo segue un altro processo: la seconda e la terza generazione hanno potuto rielaborare- come ho fatto io- quanto è accaduto e lo sguardo sull’Olocausto è totalmente diverso. E’ uno sguardo con meno preconcetti. Anche le conclusioni sono diverse, non sono più libri sul sopravvivere. Il mio libro è proprio l’opposto: è sul NON sopravvivere all’Olocausto.


Durante l’incontro del festival è stato fatto un paragone tra il ghetto di Łodz e quello di Varsavia. Ma: si può fare un paragone? E’ stato detto che la rivolta del ghetto di Varsavia è stata possibile perché la rete fognaria di Varsavia aveva permesso di portare delle armi dentro il ghetto, il che non si era potuto fare a Łodz per la mancanza dei canali sotterranei delle fogne. La rivolta del ghetto di Varsavia non era forse una rivolta dettata dalla disperazione perché il suo destino era già segnato? Mentre la presenza delle fabbriche di Łodz spingeva a cercare di resistere in altra maniera, cedendo alle richieste dei nazisti.
    Il sistema fognario di Varsavia è la spiegazione razionale per la possibilità della rivolta. Ma c’erano altre differenze: il ghetto di Łodz era molto più povero e consisteva di un altro tipo di persone. Gli ebrei di Łodz erano lavoratori e, una volta che il ghetto fu sigillato, non ci fu più alcuna comunicazione possibile con l’esterno. A differenza di Varsavia, dove non c’era un potere unico come quello di Rumkowski che mise a tacere ogni dissenso. A Varsavia c’erano uno o due centri di potere, c’era una specie di sistema mafioso che regolava il contrabbando e il mercato nero. Quanto a Czerniakow, l’anziano del ghetto che si suicidò per non cedere alle richieste dei nazisti- si parla spesso di lui come una figura da contrapporre a Rumkowski, come si è detto durante l’incontro con il pubblico del festival. Con la sua morte cade l’ultimo muro tra gli ebrei e i nazisti, e molti pensano che il suo sia stato un atto di vigliaccheria e non di coraggio. Fu un compromesso, quello di Rumkowski? Il compromesso non inizia con queste scelte- di cedere in parte alle richieste dei nazisti- ma dall’inizio, quando fu stabilito il ghetto di  Łodz. Era necessario farsi avanti altrimenti l’intero ghetto sarebbe stato evacuato. Rumkowski fece qualcosa per salvare la situazione e i tedeschi accettarono. La sua fu un’azione obbligata: ha fatto qualcosa perché la situazione era disperata, non era un compromesso. Sottolineo che è facile giudicare adesso, ma non si può giudicare se non c’è una distanza temporale.


C’è un altro personaggio importante e ambiguo ne “Gli spodestati”: David Gertler. Vorrei saperne di più: faceva il lavoro sporco per Rumkowski? Era il suo doppio?
David Gertler
    David Gertler era una spia al soldo dei tedeschi. I tedeschi non erano presenti nel ghetto e Gertler doveva riferire loro se Rumkowski faceva qualcosa in contrasto con gli accordi o se si stava formando un gruppo di resistenza. Gertler fondò un Sonderkommando, un corpo speciale di polizia, per fronteggiare la corruzione nel ghetto. Gertler diventò il più corrotto di tutti, costituì una specie di stato nello stato. Tuttavia nel processo del 1961 in cui fu chiamato a testimoniare e in cui descrisse la fine del ghetto, David Ghertler dichiarò di aver salvato molte persone.

Poco prima di leggere “Gli spodestati” ho letto lo splendido romanzo “I fratelli Ashkenazi” di Israel Singer ambientato in una ricca e fiorente Łodz ottocentesca. E’ questo uno dei motivi per cui il ghetto di Łodz fu sfruttato per le necessità belliche? La presenza dell’industria? E Łodz oggi, com’è Łodz oggi? Quanto è rimasto della Łodz ebraica?

    Quando il ghetto fu fondato, nel 1940, c’erano solo tre fabbriche, ma i nazisti capirono le possibilità insite nella città che era sempre stata una città tessile. Quanto alla Łodz di oggi, sì, c’è una fiorente comunità ebraica che mantiene viva l’eredità. A Łodz c’è anche il più grande cimitero ebraico e prosegue tuttora lo sforzo per identificare i morti. Il ghetto non è stato bombardato, come è successo a Varsavia, e puoi ancora camminare per le sue strade e riconoscere le case di un tempo. Però c’è un forte degrado, un’aria di squallore e povertà che cotrasta con l’aria che si respira nel centro della città

l'intervista è stata pubblicata su www.wuz.it




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