Casa Nostra. Qui Italia
il libro ritrovato
INTERVISTA
Alberto Beonio-Brocchieri, “Il mistero della
donna scomparsa”
Ed. Marsilio, pagg. 280, Euro
13,50
Un primo romanzo che si inserisce
in maniera del tutto originale nel filone della distopia, quello di Alberto
Beonio-Brocchieri pubblicato da Marsilio. Il futuro rappresentato ne “Il
mistero della donna scomparsa” non è molto lontano dal nostro presente e la
storia raccontata sembra essere un’anticipazione illuminante di quanto potrebbe
accadere in Italia. Siamo a Roma, una città sempre eterna ma trasformata. Nessun
riferimento all’Urbe dal passato glorioso; a Monte Mario, di fronte a San
Pietro, si innalza un’enorme Moschea;
c’è una Città Alta in cui regna un ordine
assoluto- non ci sono più barboni, niente cartacce, niente vetri dei lampioni
infranti, silenzio di notte, perché
Come ogni volta che ci troviamo davanti ad un primo romanzo di uno scrittore
che ha dietro di sé altre esperienze di lavoro, ci domandiamo che cosa l’abbia
spinta a scrivere, che cosa le ha dato lo spunto per questo romanzo.
Mi sono sempre occupato
di comunicazione, fino al 1995 sono stato il responsabile della comunicazione
interna nelle aziende e dopo ho fatto il consulente in strategia della
comunicazione, lavorando in proprio. “Il mistero della donna scomparsa” è il
mio primo romanzo ad essere pubblicato, non il primo che ho scritto, perché la
scrittura è sempre stata la mia compagna, in maniera discreta, personale,
riservata. Ci sono state una serie di coincidenze che mi hanno spinto a
scrivere il romanzo. Da una parte mi sono trovato a poter disporre maggiormente
del mio tempo e dall’altra parte ci sono stati degli stimoli ben precisi: ho
passato quattro anni per lavoro a Roma, ho adorato Roma e ne ho subito il
fascino. Devo dire che la prima idea per il romanzo risale a quasi dieci anni
fa. Mi sembrava di incominciare a sentire che questo destino di incontro delle
due grandi civiltà e delle due grandi religioni che vi stanno dietro, fosse una
strada tracciata che si sarebbe dovuta percorrere e che questo fosse l’evento
fondamentale del nostro secolo. Ho la sensazione- e non è solo mia- che da come
sapremo gestire questo evento, questo incontro, dipenderanno tantissime cose.
La terza suggestione è quella che riguarda il filone religioso del libro, il
rapporto tra la sfera del sacro e l’individuo, ma al di fuori delle strade
normali o solitamente battute. Che cosa succederebbe se nella vita di chiunque
di noi irrompesse qualcosa che non è riducibile all’esperienza normale? Ecco,
il mio romanzo è iniziato a venir fuori da questi tre impulsi.
Il suo è un romanzo ricco di problematiche estremamente attuali, di
tipo sociale, economico e religioso. C’è, prima di tutto, una lotta di classe
in cui la vecchia classe dei padroni è in pratica sostituita da tutti gli
italiani e gli operai-forza lavoro sono gli immigrati.
La lotta di classe è
un’espressione che delinea una serie di eventi storici che conosciamo. E’ stata
una lotta economica e anche sicuramente uno scontro culturale ma, per come
l’abbiamo conosciuta e vissuta nel secolo scorso, è stata una lotta tra persone
che tendenzialmente parlavano la stessa lingua, che avevano radici culturali e
religiose comuni. C’era un fortissimo elemento di differenziazione, ma, al
contorno, tutta una serie di elementi che potevano favorire il dialogo e la
mediazione. Anche la vicenda grandiosa dell’emigrazione verso gli Stati Uniti, pur
essendo verso forme di società ignote per chi partiva, era un fenomeno all’interno
dello stesso ceppo culturale, non c’era una contrapposizione di radici
profonde. Nella situazione attuale la contrapposizione è, sì, una
contrapposizione di classe, tra ricchi e poveri, è, sì, una contrapposizione di
cultura, ma è soprattutto una contrapposizione che risale nei secoli fino ad
individuare delle radici culturali diverse. Il problema è che, quando si deve
cercare di sviluppare un dialogo tra mondi con strutture archetipe diverse, che
danno valori diversi alla stessa cosa, il problema dell’incontro è veramente
molto grave.
Nel suo romanzo si dice che è come essere seduti su una polveriera…
Mi pare che non si badi
abbastanza alla drammaticità della confluenza che incominciamo a registrare. Mi
sembra che, pur con l’attenzione che c’è adesso- purtroppo in larga parte
fuorviata dagli eventi specifici delle guerre e del terrorismo- non ce ne sia
abbastanza soprattutto da parte del mondo della cultura e dell’insegnamento.
C’è una miscomprensione che mescola il piano politico e il piano culturale. Il
piano politico è quello su cui interessi contrapposti e diversi devono cozzare
e limarsi fino ad arrivare a delle soluzioni accettabili, ma c’è anche un piano
della cultura in cui ogni giorno è veramente un giorno perso senza lo sforzo di
capire, di leggere, di vedere e di insegnare che cosa è quest’altro mondo, e
questo mi sembra delittuoso. Penso a chi fa mestiere di cultura: oggi il
problema numero uno è cercare di far capire chi
sono gli altri. Quella che ci si prospetta non è un’integrazione economica,
è molto di più. L’Occidente, e per Occidente intendo il sistema euroamericano,
potrei dire il capitalismo euroamericano, non ha molte strade davanti: o si
siede a un tavolo di confronto, o sparerà con le colubrine dall’alto delle sue
torri per fermare i milioni di persone che sono costrette a scappare dalle
terre in cui sono. Adesso vediamo il Medio Oriente, il vicino Est, in parte il
mondo africano, ma, se le cose vanno avanti così, l’ondata diventerà
irrefrenabile.
Siamo seduti su una polveriera ma, nello stesso tempo, si è consapevoli
che la Roma del
suo romanzo non si sveglierebbe neppure, non funzionerebbe affatto se non fosse
per il lavoro degli immigrati.
Questo è un altro degli eventi un po’
curiosi della nostra situazione culturale.
Sembra che ci siano due voci
separate. Una è quella degli imprenditori che dicono di aver bisogno di questa
gente. Oltretutto in Italia, come è noto, non si fanno più figli, e poi i figli
non hanno più voglia di fare certi lavori, abbiamo davanti un futuro pieno di
vecchi che avranno bisogno di assistenza: noi abbiamo bisogno degli immigrati.
Dall’altra parte c’è la voce che esprime la preoccupazione, l’istinto della
difesa nei confronti del diverso. E’ come se le due voci parlassero da due
stanze separate, come se fosse poi
Non è chiaro che cosa facciano gli italiani in questa società del
futuro…
Gli italiani fanno la
classe dirigente…Se vogliamo dare una datazione alle vicende del romanzo, è un
futuro spostato di una generazione, più o meno. Non immagino che in una generazione
gli italiani facciano qualcosa di molto diverso da quello che fanno ora.
Immagino che la tendenza a delegare i lavori pesanti o fastidiosi al mondo
degli immigrati diventerà la regola, per cui in qualche modo la società si
stratificherà con una specie di mondo di servizio espletato in larga misura da
una forza lavoro nuova.
La problematica religiosa mette in chiaro che è finita l’egemonia della
Chiesa cattolica. Nel romanzo si parla però di un’enciclica Una Civibus Religio
e la vicenda si conclude con una mossa illuminata del Pontefice africano.
C’è un’idea molto
ottimistica in un romanzo che può apparire pessimista, anche se, secondo me non
lo è- che ci siano energie, all’interno della Chiesa, ancora disponibili ad
affrontare con occhio largo quello che sta succedendo. C’è un doppio
riferimento, uno a questa enciclica che dovrebbe essere il tentativo di
immaginare una piattaforma di convivenza civile tra mondi religiosi diversi
cercando dei valori che possano costituire terreno di unione e non terreno di
scontro. E in un secondo momento la decisione attribuita al Papa davanti a un
possibile scontro estremistico, in un momento in cui si potrebbero scatenare i
due estremismi, una processione contro un’altra processione, in nome di Dio e
in nome di Allah, ecco, che ci sia da parte del Papa la capacità di fare un
passo indietro, per dire che il valore di un possibile incontro è un valore che
non può essere tradito.
Per la verità è anche lumeggiata, e non approfondita,
la lettura parallela anche dall’altra parte. Questo è lo squarcio ottimista del
libro: come si dice nel romanzo, “anche loro sanno che camminiamo sul filo del
rasoio”, c’è la consapevolezza del rischio da entrambe le parti. Ci vuole buona
volontà per credere che ci sia uno spiraglio, e che, con intelligenza, questo
spiraglio debba essere gradualmente trasformato in un’apertura.
Che funzione ha la dimensione del miracolo nel romanzo?
Dico subito che io sono
laico e lontano dalla capacità di individuare la presenza divina come è normalmente
considerata, però credo che l’esperienza del divino, del diverso dall’umano,
sia una dimensione che ci portiamo dentro tutti. Perché è proprio una
dimensione interna, quella di desiderare il dialogo con qualcosa che trascende
la dimensione quotidiana. Mi piaceva l’idea di porre degli individui diversi,
con cultura e ruoli diversi, ad affrontare questo scacco che è il dover fare i
conti con un’altra dimensione nel suo quotidiano. Non importa come quest’area
si esprime, quest’area c’è e non penso che possa essere sottaciuta. Uno degli
aspetti non positivi della nostra evoluzione culturale è la difficoltà a
rimanere aperti oltre a quello che riguarda positivisticamente il nostro
quotidiano. Ho messo in bocca a Ciramidaro una battuta a questo proposito:
Ciramidaro dice che non sa se è la saldezza del suo intelletto che gli
impedisce di essere aperto di fronte all’ipotesi del soprannaturale, o la
pochezza del suo cuore. Questa è l’interrogazione soprattutto di noi laici, ma
c’è sempre un momento nella vita di tutti in cui questa domanda si affaccia: è
la saldezza dell’intelletto o la pochezza del cuore? E così nel romanzo la
presenza del sacro dà luogo a reazioni diverse: chi è coinvolto più da vicino,
come Sandra, si chiude in nome di una delusione, perché le pare che Dio l’abbia
tradita; Ciramidaro è attaccato solo alla sue logiche politiche, mentre Cosma
Ranieri ha una conversione di fatto, dialoga con un personaggio ignoto che è
Dio. Mentre il sacerdote Don Calscibetta è nella situazione di chi fa di mestiere
l’uomo di religione, ha la sensazione di essere lui stesso al centro di questo
evento. Non ha tanti pensieri in proposito, non c’è mai in lui
un’argomentazione di tipo tecnico. Però lui fa qualcosa, tanto che arriva quasi
a lasciarci la pelle, risponde alla chiamata mettendoci tutto se stesso per far
sì che la polveriera non scoppi.
recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos
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