domenica 11 gennaio 2015

Alberto Beonio-Brocchieri, “Il mistero della donna scomparsa” ed. 2004

Casa Nostra. Qui Italia
il libro ritrovato
INTERVISTA


Alberto Beonio-Brocchieri, “Il mistero della donna scomparsa”
Ed. Marsilio, pagg. 280, Euro 13,50


Un primo romanzo che si inserisce in maniera del tutto originale nel filone della distopia, quello di Alberto Beonio-Brocchieri pubblicato da Marsilio. Il futuro rappresentato ne “Il mistero della donna scomparsa” non è molto lontano dal nostro presente e la storia raccontata sembra essere un’anticipazione illuminante di quanto potrebbe accadere in Italia. Siamo a Roma, una città sempre eterna ma trasformata. Nessun riferimento all’Urbe dal passato glorioso; a Monte Mario, di fronte a San Pietro, si innalza un’enorme Moschea;
c’è una Città Alta in cui regna un ordine assoluto- non ci sono più barboni, niente cartacce, niente vetri dei lampioni infranti, silenzio di notte, perché la Cittadella viene chiusa. Persino i gatti sono emigrati nella Città Bassa, quella delle piccole ambizioni borghesi, attraversata ogni giorno dal popolo della Città Esterna che si reca a lavorare nella Città Alta. E’ il popolo degli immigrati, sono i privilegiati che hanno trovato lavoro. E poi c’è la Casba, il mercato della miseria dove si vende di tutto, lavoro e esseri umani. Si può scomparire nella Casba e la polizia non può fare niente contro gente che non ha un nome, non una carta d’identità. E così la Casba è blindata da una doppia cinta di mura e c’è un corridoio d’ingresso presidiato dai militari- misure di difesa che ricordano fin troppo bene altri muri famigerati. Il fulcro della storia è un miracolo che si verifica in uno dei Campi di Accoglienza. Non ci sono le parole “Alzati e cammina”, ma ugualmente, in silenzio, una donna restituisce l’uso delle gambe a una donna paralizzata. Un evento eccezionale che suscita sconcerto, incredulità e preoccupazione. Che spinge qualcuno a indagarsi, sul senso della propria vita e delle scelte fatte. Sulla religione e sulla giustizia. Se un miracolo c’è stato, a chi attribuirlo? Al Dio dei cattolici o al Dio dei musulmani? Mentre un filone della storia segue la ricerca delle due donne che, almeno per un certo tempo, scompaiono entrambe, un altro vaglia il pericolo della strumentalizzazione politica di una manifestazione divina tra i reietti, e un altro ancora registra le reazioni dei tre personaggi principali, il Prefetto di Roma, il poliziotto Cosma Ranieri, il sacerdote don Florio Calascibetta. Sono gli ultimi due a domandarsi quale sia il vero miracolo, quello della donna che ha ripreso a camminare o quello che si verifica ogni giorno nei Campi, di gente che sopravvive e che ha ancora voglia di vivere e di sposarsi e di fare figli in quelle condizioni? Stilos ha intervistato Alberto Beonio-Brocchieri, autore di questo romanzo su un futuro futuribile.


Come ogni volta che ci troviamo davanti ad un primo romanzo di uno scrittore che ha dietro di sé altre esperienze di lavoro, ci domandiamo che cosa l’abbia spinta a scrivere, che cosa le ha dato lo spunto per questo romanzo.
     Mi sono sempre occupato di comunicazione, fino al 1995 sono stato il responsabile della comunicazione interna nelle aziende e dopo ho fatto il consulente in strategia della comunicazione, lavorando in proprio. “Il mistero della donna scomparsa” è il mio primo romanzo ad essere pubblicato, non il primo che ho scritto, perché la scrittura è sempre stata la mia compagna, in maniera discreta, personale, riservata. Ci sono state una serie di coincidenze che mi hanno spinto a scrivere il romanzo. Da una parte mi sono trovato a poter disporre maggiormente del mio tempo e dall’altra parte ci sono stati degli stimoli ben precisi: ho passato quattro anni per lavoro a Roma, ho adorato Roma e ne ho subito il fascino. Devo dire che la prima idea per il romanzo risale a quasi dieci anni fa. Mi sembrava di incominciare a sentire che questo destino di incontro delle due grandi civiltà e delle due grandi religioni che vi stanno dietro, fosse una strada tracciata che si sarebbe dovuta percorrere e che questo fosse l’evento fondamentale del nostro secolo. Ho la sensazione- e non è solo mia- che da come sapremo gestire questo evento, questo incontro, dipenderanno tantissime cose. La terza suggestione è quella che riguarda il filone religioso del libro, il rapporto tra la sfera del sacro e l’individuo, ma al di fuori delle strade normali o solitamente battute. Che cosa succederebbe se nella vita di chiunque di noi irrompesse qualcosa che non è riducibile all’esperienza normale? Ecco, il mio romanzo è iniziato a venir fuori da questi tre impulsi.

Il suo è un romanzo ricco di problematiche estremamente attuali, di tipo sociale, economico e religioso. C’è, prima di tutto, una lotta di classe in cui la vecchia classe dei padroni è in pratica sostituita da tutti gli italiani e gli operai-forza lavoro sono gli immigrati.
     La lotta di classe è un’espressione che delinea una serie di eventi storici che conosciamo. E’ stata una lotta economica e anche sicuramente uno scontro culturale ma, per come l’abbiamo conosciuta e vissuta nel secolo scorso, è stata una lotta tra persone che tendenzialmente parlavano la stessa lingua, che avevano radici culturali e religiose comuni. C’era un fortissimo elemento di differenziazione, ma, al contorno, tutta una serie di elementi che potevano favorire il dialogo e la mediazione. Anche la vicenda grandiosa dell’emigrazione verso gli Stati Uniti, pur essendo verso forme di società ignote per chi partiva, era un fenomeno all’interno dello stesso ceppo culturale, non c’era una contrapposizione di radici profonde. Nella situazione attuale la contrapposizione è, sì, una contrapposizione di classe, tra ricchi e poveri, è, sì, una contrapposizione di cultura, ma è soprattutto una contrapposizione che risale nei secoli fino ad individuare delle radici culturali diverse. Il problema è che, quando si deve cercare di sviluppare un dialogo tra mondi con strutture archetipe diverse, che danno valori diversi alla stessa cosa, il problema dell’incontro è veramente molto grave.

Nel suo romanzo si dice che è come essere seduti su una polveriera…

    Mi pare che non si badi abbastanza alla drammaticità della confluenza che incominciamo a registrare. Mi sembra che, pur con l’attenzione che c’è adesso- purtroppo in larga parte fuorviata dagli eventi specifici delle guerre e del terrorismo- non ce ne sia abbastanza soprattutto da parte del mondo della cultura e dell’insegnamento. C’è una miscomprensione che mescola il piano politico e il piano culturale. Il piano politico è quello su cui interessi contrapposti e diversi devono cozzare e limarsi fino ad arrivare a delle soluzioni accettabili, ma c’è anche un piano della cultura in cui ogni giorno è veramente un giorno perso senza lo sforzo di capire, di leggere, di vedere e di insegnare che cosa è quest’altro mondo, e questo mi sembra delittuoso. Penso a chi fa mestiere di cultura: oggi il problema numero uno è cercare di far capire chi sono gli altri. Quella che ci si prospetta non è un’integrazione economica, è molto di più. L’Occidente, e per Occidente intendo il sistema euroamericano, potrei dire il capitalismo euroamericano, non ha molte strade davanti: o si siede a un tavolo di confronto, o sparerà con le colubrine dall’alto delle sue torri per fermare i milioni di persone che sono costrette a scappare dalle terre in cui sono. Adesso vediamo il Medio Oriente, il vicino Est, in parte il mondo africano, ma, se le cose vanno avanti così, l’ondata diventerà irrefrenabile.

Siamo seduti su una polveriera ma, nello stesso tempo, si è consapevoli che la Roma del suo romanzo non si sveglierebbe neppure, non funzionerebbe affatto se non fosse per il lavoro degli immigrati.
     Questo è un altro degli eventi un po’ curiosi della nostra situazione culturale.
Sembra che ci siano due voci separate. Una è quella degli imprenditori che dicono di aver bisogno di questa gente. Oltretutto in Italia, come è noto, non si fanno più figli, e poi i figli non hanno più voglia di fare certi lavori, abbiamo davanti un futuro pieno di vecchi che avranno bisogno di assistenza: noi abbiamo bisogno degli immigrati. Dall’altra parte c’è la voce che esprime la preoccupazione, l’istinto della difesa nei confronti del diverso. E’ come se le due voci parlassero da due stanze separate, come se fosse poi la Provvidenza a dover trovare una mediazione fra le due posizioni. Invece non è così: se il nostro paese ha bisogno di questa gente, dobbiamo attrezzarci perché questo incontro avvenga e avvenga  bene. Non mi illudo che un incontro di questo tipo possa avvenire a tarallucci e vino, non è avvenuto a tarallucci e vino nemmeno quello tra i calabresi e i torinesi, ma meno lo prepariamo, più lo subiamo, e peggio è.

Non è chiaro che cosa facciano gli italiani in questa società del futuro…
    Gli italiani fanno la classe dirigente…Se vogliamo dare una datazione alle vicende del romanzo, è un futuro spostato di una generazione, più o meno. Non immagino che in una generazione gli italiani facciano qualcosa di molto diverso da quello che fanno ora. Immagino che la tendenza a delegare i lavori pesanti o fastidiosi al mondo degli immigrati diventerà la regola, per cui in qualche modo la società si stratificherà con una specie di mondo di servizio espletato in larga misura da una forza lavoro nuova.

La problematica religiosa mette in chiaro che è finita l’egemonia della Chiesa cattolica. Nel romanzo si parla però di un’enciclica Una Civibus Religio e la vicenda si conclude con una mossa illuminata del Pontefice africano.
    C’è un’idea molto ottimistica in un romanzo che può apparire pessimista, anche se, secondo me non lo è- che ci siano energie, all’interno della Chiesa, ancora disponibili ad affrontare con occhio largo quello che sta succedendo. C’è un doppio riferimento, uno a questa enciclica che dovrebbe essere il tentativo di immaginare una piattaforma di convivenza civile tra mondi religiosi diversi cercando dei valori che possano costituire terreno di unione e non terreno di scontro. E in un secondo momento la decisione attribuita al Papa davanti a un possibile scontro estremistico, in un momento in cui si potrebbero scatenare i due estremismi, una processione contro un’altra processione, in nome di Dio e in nome di Allah, ecco, che ci sia da parte del Papa la capacità di fare un passo indietro, per dire che il valore di un possibile incontro è un valore che non può essere tradito.
Per la verità è anche lumeggiata, e non approfondita, la lettura parallela anche dall’altra parte. Questo è lo squarcio ottimista del libro: come si dice nel romanzo, “anche loro sanno che camminiamo sul filo del rasoio”, c’è la consapevolezza del rischio da entrambe le parti. Ci vuole buona volontà per credere che ci sia uno spiraglio, e che, con intelligenza, questo spiraglio debba essere gradualmente trasformato in un’apertura.

Che funzione ha la dimensione del miracolo nel romanzo?

     Dico subito che io sono laico e lontano dalla capacità di individuare la presenza divina come è normalmente considerata, però credo che l’esperienza del divino, del diverso dall’umano, sia una dimensione che ci portiamo dentro tutti. Perché è proprio una dimensione interna, quella di desiderare il dialogo con qualcosa che trascende la dimensione quotidiana. Mi piaceva l’idea di porre degli individui diversi, con cultura e ruoli diversi, ad affrontare questo scacco che è il dover fare i conti con un’altra dimensione nel suo quotidiano. Non importa come quest’area si esprime, quest’area c’è e non penso che possa essere sottaciuta. Uno degli aspetti non positivi della nostra evoluzione culturale è la difficoltà a rimanere aperti oltre a quello che riguarda positivisticamente il nostro quotidiano. Ho messo in bocca a Ciramidaro una battuta a questo proposito: Ciramidaro dice che non sa se è la saldezza del suo intelletto che gli impedisce di essere aperto di fronte all’ipotesi del soprannaturale, o la pochezza del suo cuore. Questa è l’interrogazione soprattutto di noi laici, ma c’è sempre un momento nella vita di tutti in cui questa domanda si affaccia: è la saldezza dell’intelletto o la pochezza del cuore? E così nel romanzo la presenza del sacro dà luogo a reazioni diverse: chi è coinvolto più da vicino, come Sandra, si chiude in nome di una delusione, perché le pare che Dio l’abbia tradita; Ciramidaro è attaccato solo alla sue logiche politiche, mentre Cosma Ranieri ha una conversione di fatto, dialoga con un personaggio ignoto che è Dio. Mentre il sacerdote Don Calscibetta è nella situazione di chi fa di mestiere l’uomo di religione, ha la sensazione di essere lui stesso al centro di questo evento. Non ha tanti pensieri in proposito, non c’è mai in lui un’argomentazione di tipo tecnico. Però lui fa qualcosa, tanto che arriva quasi a lasciarci la pelle, risponde alla chiamata mettendoci tutto se stesso per far sì che la polveriera non scoppi. 

recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos


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