Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
il libro ritrovato
Robert Littell, “L’epigramma a Stalin”
Ed. Fanucci, trad. Sara
Brambilla, pagg. 333, Euro 17,00
Titolo originale: The Stalin Epigram
“Mi sembra che il mondo si stia serrando su di me” disse Osip,
aggrottando la fronte. Poi soggiunse: “Forse non dovrei lamentarmi. Ho la
fortuna di vivere in un Paese in cui la poesia viene tenuta in gran
considerazione: le persone vengono uccise perché la leggono o perché la
scrivono.”
Osip
Mandel’štam, il poeta russo nato nel 1891 a Varsavia da una benestante famiglia
ebraica che si trasferì presto a San Pietroburgo, fu arrestato nel 1933 per
aver declamato davanti ad amici (qualcuno dei quali lo denunciò) un
componimento satirico nei confronti di Stalin, responsabile della gravissima
carestia seguita alla collettivizzazione forzata in Ucraina. Stranamente
Mandel’štam non fu condannato a morte ma a tre anni di confino negli Urali.
Arrestato una seconda volta nel 1938, fu mandato in Siberia, dove morì in un
campo di transito. Forse di tifo, o comunque di una qualche malattia a cui
cedette il suo fisico ormai troppo indebolito.
“L’epigramma a
Stalin” di Robert Littell, giornalista (ha collaborato per anni a Newsweek) e scrittore di romanzi di
spionaggio, ci racconta la storia di questi ultimi anni di Osip Mandel’štam, ed
insieme ricrea l’atmosfera del terrore nel peggior periodo della storia
sovietica, quello delle purghe ordinate dal ‘montanaro del Cremlino’- come lo
chiama Mandel’štam nella sua poesia- in preda ad una folle paranoia.
Il metodo adottato da Littell è quello di tante narrative
in prima persona- inizia a parlare Nadežda, moglie di Mandel’štam, e sarà
seguita dalla poetessa Anna Achmatova, dall’attrice Zinaida (per un certo
periodo amante di Osip in uno spregiudicato ménage à trois), da Boris Pasternak
e dallo stesso Mandel’štam. Due voci sono del tutto diverse e per diversi
motivi. Una appartiene a Vlasik, fedele guardia del corpo di Stalin, e l’altra
è del sollevatore di pesi Fikrit, arrestato per un adesivo della torre Eiffel
incollato sul suo baule, reo forzatamente confesso di cospirazione trockijsta e
deportato in Siberia.
Quello che viene
fuori è un vasto quadro a tinte forti: il poeta, la moglie, gli amici, le
sigarette scroccate, la casa degli scrittori, la paura delle automobili nere e
dei passi sulle scale, i miseri pasti, le poesie nascoste nella teiera e quelle
mandate a memoria per salvarle da qualunque ispezione, la Lubyanka e gli interrogatori
con l’agente del NKVD che indossa un grembiule di pelle come un macellaio, il
treno verso Est, i messaggi che i deportati lasciano cadere tra le traversine,
sperando che qualcuno li inoltri ai famigliari, le temperature inferiori ai
trenta sotto zero, la volontà di vivere che vacilla. ‘l’assassino che fa strage di contadini’, il georgiano dal
viso butterato che oramai è convinto che nessuno sia innocente, che aspira
all’immortalità nei versi di un poeta ma sa anche riconoscere la buona dalla
cattiva poesia. E l’ode che Mandel’štam scriverà dopo il suo rilascio, quella
con cui spera di ottenere il permesso di soggiorno a Mosca, è cattiva poesia,
neppure paragonabile ai versi infuocati
con cui pensava di salvare la
Russia- e a Stalin non piace.
Lubyanka |
Il ritratto che
Littell ci fa dell’Unione Sovietica degli anni ‘30 del secolo scorso è
variegato, vivido e agghiacciante. Anni in cui amore e amicizia vengono messi
alla prova. Di nessuno ci si può fidare, persino gli alberi nei parchi hanno
orecchie. Non ce ne rendiamo subito conto ma le voci che ascoltiamo sono di una
registrazione- una simulazione al positivo dei famigerati interrogatori nella
Lubyanka-, e la testimonianza del sollevatore di pesi Fikrit, l’uomo del popolo
che non sa né leggere né scrivere, si discosta parodisticamente e in maniera
voluta dalle altre. Niente intacca la fede di Fikrit nel ‘khozyain’, il ‘padre’
del popolo russo, Stalin. Se la Čeka lo ha arrestato perché è colpevole, vuol
dire che, anche se lui, Fikrit, non sa di che cosa, è però di certo colpevole. Al
processo lo accusano di essere un sabotatore. Che cosa intendeva sabotare? Fikrit
non ne ha la minima idea e risponde che, be’, qualunque cosa gli avessero
ordinato, lui sarebbe stato in grado di farlo, non si vede dal suo fisico? Ed è
ansioso di scontare la sua pena più che meritata se ordinata da Stalin. Fikrit
è il beota ben diverso dall’idiota dostojevskjiano, gli perdoniamo la sua
stupidità solo per l’umanità che dimostra alla fine per Osip gravemente
ammalato.
Nadežda |
‘Ancora danzando’: sono le parole che
chiudono la lettera pervenuta alla moglie di Mandel’štam. Iniziava con la
parola ‘Speranza’, il significato in russo del nome Nadežda. Quasi di sicuro
l’ha scritta il poeta nel suo ultimo viaggio. Noi chiudiamo il libro e ci
capita quello che solo i libri molto belli sono capaci di suscitare: un
desiderio di saperne di più, di leggere tutte le poesie di Osip Mandel’štam, di
non lasciarlo morire.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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