Voci da mondi diversi. Asia
FRESCO DI LETTURA
Sonali Deraniyagala,
“Onda”
Ed. Neri Pozza, trad. Chiara
Brovelli, pagg. 208, Euro 17,00
Titolo originale: Wave
La spuma si tramutò in onde, onde che
sciabordavano sul crinale dove finiva la spiaggia. No, non era normale. Il mare
non si spingeva mai fin lì. E quelle onde non tornavano indietro, non si
dissolvevano. Si stavano facendo più vicine, marroni e grigie. Marroni o
grigie. Superarono veloci le conifere, dirette verso la nostra camera. Tutte quelle
onde, tutta quell’acqua agitata che ci veniva addosso. Di colpo furiosa,
minacciosa. “Steve, devi venire. Subito!”
Mattina del 26 dicembre 2014. L’onda
gigantesca causata da un terremoto di magnitudo 9.3 al largo dell’isola di
Sumatra si abbatte sulla costa dello Sri Lanka, si addentra nell’entroterra,
spazza via case, alberi, automobili, esseri umani, prima di rientrare nel mare
con un enorme risucchio. Il numero totale delle vittime dello tsunami si aggira
sui 300.000, 50.000 nello Sri Lanka. Entrambi i genitori, il marito e i due
figli di Sonali Deraniyagala sono tra queste.
Il libro inizia proprio con l’onda, con Sonali
che chiacchiera con un’amica sulla soglia della camera dell’albergo dove stanno
passando una breve vacanza, quando l’amica fissa oltre la sua spalla e dice,
“Oh, mio Dio, il mare sta entrando”. Sonali si gira, vede la cresta bianca
dell’onda, non si allarma subito. Però non si erano mai visti i frangenti dalla
loro stanza. Chiama il marito, perché venga a vedere. Lui indugia. Lei lo
sollecita, pensa solo che si tratti di uno spettacolo da ammirare. Quando Steve
la raggiunge, basta un’occhiata e poi, senza una parola, Sonali afferra un
bambino per mano e scappa. Non si ferma neppure a bussare alla porta della
stanza dei genitori per avvertirli. Dopo, ne avvertirà il rimorso. Se c’è
spazio per un qualunque rimorso dentro di lei. Insieme a tutti i ‘se’. Dopo, in
un lutto che dura ormai da dieci anni, quando i ricordi si affollano, si
negano, bussano implacabili alla sua mente. Dopo, quando rivivrà la scena, come
in una pellicola che si continua a riavvolgere, tornando dall’inizio. La fuga,
la jeep che li prende a bordo, l’acqua che li raggiunge, la jeep che si
rovescia, Sonali travolta dall’acqua marrone, non pensa a nulla, neppure ai
bambini che non stringono più la sua mano. Ma forse è morta, forse il peso che
sente sul petto significa che è morta. No, se vede un ramo a cui agganciarsi,
allora non è morta. Lo afferra, l’onda non la trascinerà in mare aperto. Dopo,
quando, impietrita dal dolore, muta per l’incredulità, aspetta seduta su una
panca. Steve si sarà salvato. E anche Vikram e Malli, i suoi bambini di 5 e 7
anni. E i suoi genitori. Non è possibile siano morti in cinque e lei sia
l’unica sopravvissuta. E’ possibile. E’ successo.
Come si sopravvive a una tragedia del genere? Sonali ci racconta del
buio in cui è sprofondata, dell’apatia prima, del desiderio di annientarsi
dopo, stordendosi con l’alcol, pensando al suicidio. Dal non poter affrontare
il ricordo del passato felice alla voglia di rivivere ogni giorno di quel
passato. Dal non poter vedere la casa dei genitori a Colombo, e tanto meno la sua
e di Steve a Londra, al ritornare sui suoi passi per ritrovare quelli che ha
amato. Dal pensare, ‘e se non fossimo tornati in Sri Lanka per Natale? Eravamo
appena stati là per nove mesi’, ‘e se non fossimo andati in vacanza a Yala,
sulla costa?’, dal sentirsi colpevole di tutto, soprattutto di essere viva, ad
accettare il destino e la pienezza del ricordo.
dieci anni dopo, in memoria |
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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