Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
il libro ritrovato
Robert Littell, “I figli di Abramo”
Ed. Fanucci, trad. Sara
Brambilla, pagg. 343, Euro 18,00
Titolo originale: Vicious Circle
E’ ora di chiamare le cose con il loro nome. Quel pazzo del defunto
rabbino Apfulbaum e i suoi compari chiamavano la Giudea e la Samaria la
Palestina liberata. Tutto il mondo le considera la Palestina occupata. L’occupazione ha corrotto le nostre
anime. Il nostro ed esercito civile, creato per difendere questa scheggia di Stato
ebraico dalla marea di arabi che ci circondano, è diventato un esercito di
occupazione.
Israele. Un prossimo futuro. Manca poco
all’incontro di Mount Washington, dove sarà stipulato l’accordo di pace in Medio
Oriente: verrà riconosciuta l’esistenza di uno stato palestinese che otterrà
indietro il 94% dei territori occupati dagli israeliani con la guerra dei sei
giorni. Il dottor Ishmael al-Shaath, alias Abu Bakr, terrorista palestinese,
rapisce il rabbino Isaac Apfulbaum, capo di un gruppo estremista. Lo scopo:
chiedere il rilascio di un patriota palestinese e di più di cento prigionieri
tenuti in ostaggio. In realtà la mira è far saltare l’accordo, perché la
brigata di Abu Bakr non accetterà mai altro che una Palestina senza la presenza
di altri ebrei salvo quelli nati lì prima del 1948. In un edificio abbandonato
nella Città Vecchia di Gerusalemme, durante lunghi colloqui tra rapitore e
rapito viene fuori che entrambi vogliono la stessa cosa, pur se per motivi
opposti: anche il rabbino Apfulbaum è contrario alla pace. Perché gli ebrei devono
seguire il comandamento di Dio di insediarsi in ogni centimetro quadrato della
terra della Torah.
Questa è la base su cui Robert Littell
costruisce il suo nuovo romanzo “I figli di Abramo”. Intorno al nucleo della
vicenda, accanto ai due protagonisti, si verificano altri fatti (altri
rapimenti, torture, violenze) ed altri personaggi discutono su quanto sta
avvenendo e sull’impatto che l’esito del sequestro avrà sui travagliati accordi
di pace. Nella stanza in cui il rabbino e il suo segretario sono tenuti
prigionieri, con il passare dei giorni l’arabo che è chiamato per lo più ‘il
Dottore cieco’ e il rabbino (quasi cieco pure lui, ora che ha perso gli
occhiali: cecità simbolica di entrambi? visione spirituale acuita dalla privazione
di quella fisica?) scoprono quanto abbiano in comune. Sono quasi l’uno il
doppio dell’altro, sono come dei cugini (non sono entrambi semiti, dopotutto?),
finiscono per provare reciprocamente simpatia e stima. L’uno si chiama Ishmael,
l’altro Isaac: sono i nomi dei due figli di Abramo, nel Corano Allah chiede al
profeta il sacrificio di Ishmael, nella Bibbia Dio chiede quello di Isacco (nel
romanzo finiranno per essere tutti e due delle vittime); e poi Ishmael è il mujaddid, il Rinnovatore mandato da Dio
per restaurare l’Islam; di Isaac è stato detto che potrebbe essere il Messia.
Persino quando è chiaro che il rabbino deve morire, i due si attardano in
discussioni che hanno del gesuitico. Il rabbino trova addirittura un cavillo
per cui la Torah lo autorizza a convertirsi all’islam per permettere al dottore
di ucciderlo senza rimorsi…
Fuori da questa stanza
claustrofobica, nella luce dorata della Gerusalemme che tutti amano, sia l’Autorità
palestinese sia gli agenti dei servizi segreti israeliani cercano
disperatamente dove siano nascosti i prigionieri. E la voce degli Stati Uniti
si fa sentire, pressante, perché il fallimento dell’accordo di pace
significherebbe il tracollo economico.
Se vogliamo inquadrare in una
definizione di genere il romanzo di Robert Littell, possiamo dire che “I figli
di Abramo” è un thriller politico, per la trama, la tensione e l’ambientazione.
Tuttavia sembra che, con l’attrattiva del thriller, Littell voglia parlarci di
altro. Voglia quasi sfogarsi per il senso di impotenza, la disperazione e lo
sconforto davanti alla situazione di Israele che pare trovarsi in una strada senza uscita in cui è
stata la Storia a spingerla. E’ stata la violenza pianificata nazista a dare
origine a tutta la violenza seguente, da una parte e dall’altra. Come dice uno
dei personaggi del libro- senza Hitler gli ebrei se ne starebbero ancora nei
loro villaggi dell’est dell’Europa o nelle città della Germania.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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