Voci da mondi diversi. Diaspora ebraica
il libro ritrovato
Israel J. Singer, “I
fratelli Ashkenazi”
Ed. Bollati Boringhieri, trad. Bruno Fonzi, pagg. 757, Euro
19,50
Titolo originale: The
Brothers Ashkenazi
Quei due fratelli che per tanti anni erano stati divisi
dall’odio, uscirono dalla prigione tenendosi per mano.
Yakob era riuscito
nel suo intento. Denaro e simpatia personale, i due mezzi che gli avevano
aperto tante porte nella vita, gli avevano aperto anche queste. Perfino gli
uomini col giaccone di pelle avevano trovato qualcosa di affascinante e irresistibile
in lui. e inoltre v’era il fatto che i bolscevichi non ce l’avevano in
particolare con Max Ashkenazi. Lo avevano tenuto in prigione più che altro
perché ciò rientrava nella routine, ma il delitto comune di cui era colpevole
non gli interessava affatto.
Castore e Polluce. Esaù e Giacobbe. Romolo e
Remo. I ‘cavalieri’ Ashvin dell’alba e del tramonto nella religione indù: da
sempre, nella mitologia, nelle religioni, nel folklore, il tema dei gemelli ha
esercitato un grande fascino. E ancora, nella letteratura, lo troviamo, per
citare alcuni titoli, nei “Menecmi” di Plauto e nei “Gemelli veneziani” di
Goldoni, persino in un famoso libro per l’infanzia che ricordo di aver molto
amato, “Carlottina e Carlottina” di Erich Kästner. Se poi il tema della gemellarità
sconfina in quello del doppio, gli esempi non si contano- ad iniziare dal più
famoso, “Dr. Jekyll e Mr. Hyde” di Stevenson a “William Wilson” di Poe, da “Il
compagno segreto” di Conrad a “Il visconte dimezzato” di Calvino. Perché sono
infinite le possibilità di storie che si possono intrecciare su due persone
uguali eppure diverse, oppure niente affatto uguali ma unite da un’anomalia,
essere nati insieme dalla stessa
madre, due e non uno, in lotta per la primogenitura e per accaparrarsi
attenzione e affetto.
Simcha Meyer e Jacob Bunim sono i nomi dei
due gemelli protagonisti dello splendido romanzo “I fratelli Ashkenazi” dello
scrittore polacco di lingua yiddish Israel Joshua Singer, fratello maggiore del
premio Nobel Isaac Bashevis Singer. Splendido perché è un romanzo a cerchi
concentrici che si allargano: è la storia personale ed emblematica di due
fratelli rivali fin dalla nascita, ma anche della cittadina di Łodz che
fiorisce con lo sviluppo dell’industria tessile, anche degli ebrei che, quando
credono di essere del tutto assimilati nonché vitali per l’economia del paese,
vengono bruscamente risvegliati alla realtà della loro differenza da selvaggi pogrom, anche dell’intera Polonia
eternamente contesa dai due paesi limitrofi, anche di tutta un’epoca- fine ‘800
e inizi del ‘900- percorsa dai fremiti della rivoluzione della classe operaia.
Il flusso narrativo de “I fratelli Ashkenazi” è inarrestabile, come lo è il
tempo che scorre nelle pagine travolgendo tutto: il vecchio viene sostituito
con il nuovo, Marx e “Il capitale” al posto di Dio e del Talmud; giacca corta
alla moda ‘gentile’, guance rasate e solo un accenno di baffi al posto della
gabbana, dei cernecchi e della lunga barba; vengono aggirate le leggi che impediscono
agli ebrei di lavorare il sabato e- a livello personale- c’è un matrimonio
d’amore sovversivo di tutti i canoni invece dei soliti matrimoni combinati.
Soprattutto, i personaggi salgono e scendono sulla ruota gigantesca della vita:
i due gemelli diversi Simcha Meyer (che si farà poi chiamare Max) e Jacob Bunim
(trasformerà semplicemente il suo nome nella versione polacca di Yacob), figli
dell’osservante Reb Abraham Hirsch Ashkenazi, diventano ricchissimi dal nulla.
Simcha Meyer grazie alla sua intelligenza (che decide di non sprecare più sui
testi religiosi), al suo intuito per gli affari e al cinismo con cui spoglia il
suocero dei suoi averi, e Jacob Bunim, invece, si fa strada nella vita- con
invidia del fratello- perché è fortunato, perché è bello, simpatico, gioviale.
A Jacob Bunim la ricchezza e l’amore cadono in grembo, Simcha Meyer deve
lottare per diventare uno dei più grandi industriali di Łodz e non sarà mai
amato dalla moglie (che aveva espresso la sua preferenza per Jacob Bunim).
Mentre assistiamo al trionfo dei fratelli Ashkenazi, osserviamo pure il crollo
delle fortune di altre famiglie gentili, abituate a largheggiare con il denaro
finché restano con le casse vuote.
In un certo senso, il romanzo di Israel
Singer è la controparte yiddish de “I Buddenbrook” di Thomas Mann, uno di quei
libri essenziali da cui non si può prescindere, uno di quei libri ponderosi di
cui non si salterebbe neppure una pagina. Grandioso ed epico. Come i romanzi di
Tolstoj o, per citare un nostro contemporaneo, di Mo Yan.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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