giovedì 29 gennaio 2015

Israel J. Singer, “I fratelli Ashkenazi” ed. 2012

                                            Voci da mondi diversi. Diaspora ebraica
                                                               il libro ritrovato


Israel J. Singer, “I fratelli Ashkenazi”
Ed. Bollati Boringhieri, trad. Bruno Fonzi, pagg. 757, Euro 19,50
Titolo originale: The Brothers Ashkenazi

Quei due fratelli che per tanti anni erano stati divisi dall’odio, uscirono dalla prigione tenendosi per mano.
  Yakob era riuscito nel suo intento. Denaro e simpatia personale, i due mezzi che gli avevano aperto tante porte nella vita, gli avevano aperto anche queste. Perfino gli uomini col giaccone di pelle avevano trovato qualcosa di affascinante e irresistibile in lui. e inoltre v’era il fatto che i bolscevichi non ce l’avevano in particolare con Max Ashkenazi. Lo avevano tenuto in prigione più che altro perché ciò rientrava nella routine, ma il delitto comune di cui era colpevole non gli interessava affatto.

   Castore e Polluce. Esaù e Giacobbe. Romolo e Remo. I ‘cavalieri’ Ashvin dell’alba e del tramonto nella religione indù: da sempre, nella mitologia, nelle religioni, nel folklore, il tema dei gemelli ha esercitato un grande fascino. E ancora, nella letteratura, lo troviamo, per citare alcuni titoli, nei “Menecmi” di Plauto e nei “Gemelli veneziani” di Goldoni, persino in un famoso libro per l’infanzia che ricordo di aver molto amato, “Carlottina e Carlottina” di Erich Kästner. Se poi il tema della gemellarità sconfina in quello del doppio, gli esempi non si contano- ad iniziare dal più famoso, “Dr. Jekyll e Mr. Hyde” di Stevenson a “William Wilson” di Poe, da “Il compagno segreto” di Conrad a “Il visconte dimezzato” di Calvino. Perché sono infinite le possibilità di storie che si possono intrecciare su due persone uguali eppure diverse, oppure niente affatto uguali ma unite da un’anomalia, essere nati insieme dalla stessa madre, due e non uno, in lotta per la primogenitura e per accaparrarsi attenzione e affetto.
     Simcha Meyer e Jacob Bunim sono i nomi dei due gemelli protagonisti dello splendido romanzo “I fratelli Ashkenazi” dello scrittore polacco di lingua yiddish Israel Joshua Singer, fratello maggiore del premio Nobel Isaac Bashevis Singer. Splendido perché è un romanzo a cerchi concentrici che si allargano: è la storia personale ed emblematica di due fratelli rivali fin dalla nascita, ma anche della cittadina di Łodz che fiorisce con lo sviluppo dell’industria tessile, anche degli ebrei che, quando credono di essere del tutto assimilati nonché vitali per l’economia del paese, vengono bruscamente risvegliati alla realtà della loro differenza da selvaggi pogrom, anche dell’intera Polonia eternamente contesa dai due paesi limitrofi, anche di tutta un’epoca- fine ‘800 e inizi del ‘900- percorsa dai fremiti della rivoluzione della classe operaia. Il flusso narrativo de “I fratelli Ashkenazi” è inarrestabile, come lo è il tempo che scorre nelle pagine travolgendo tutto: il vecchio viene sostituito con il nuovo, Marx e “Il capitale” al posto di Dio e del Talmud; giacca corta alla moda ‘gentile’, guance rasate e solo un accenno di baffi al posto della gabbana, dei cernecchi e della lunga barba; vengono aggirate le leggi che impediscono agli ebrei di lavorare il sabato e- a livello personale- c’è un matrimonio d’amore sovversivo di tutti i canoni invece dei soliti matrimoni combinati.
Soprattutto, i personaggi salgono e scendono sulla ruota gigantesca della vita: i due gemelli diversi Simcha Meyer (che si farà poi chiamare Max) e Jacob Bunim (trasformerà semplicemente il suo nome nella versione polacca di Yacob), figli dell’osservante Reb Abraham Hirsch Ashkenazi, diventano ricchissimi dal nulla. Simcha Meyer grazie alla sua intelligenza (che decide di non sprecare più sui testi religiosi), al suo intuito per gli affari e al cinismo con cui spoglia il suocero dei suoi averi, e Jacob Bunim, invece, si fa strada nella vita- con invidia del fratello- perché è fortunato, perché è bello, simpatico, gioviale. A Jacob Bunim la ricchezza e l’amore cadono in grembo, Simcha Meyer deve lottare per diventare uno dei più grandi industriali di Łodz e non sarà mai amato dalla moglie (che aveva espresso la sua preferenza per Jacob Bunim). Mentre assistiamo al trionfo dei fratelli Ashkenazi, osserviamo pure il crollo delle fortune di altre famiglie gentili, abituate a largheggiare con il denaro finché restano con le casse vuote.
     In un certo senso, il romanzo di Israel Singer è la controparte yiddish de “I Buddenbrook” di Thomas Mann, uno di quei libri essenziali da cui non si può prescindere, uno di quei libri ponderosi di cui non si salterebbe neppure una pagina. Grandioso ed epico. Come i romanzi di Tolstoj o, per citare un nostro contemporaneo, di Mo Yan.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it




    

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