Casa Nostra. Qui Italia
il libro ritrovato
Pierfrancesco Prosperi, “La moschea di San Marco”
Ed. Bietti, pagg. 322, Euro 20,00
Se non vivessimo già nel secondo millennio,
se l’anno in cui viviamo non fosse così poco opportunamente pieno di zeri,
sarebbe stato possibile invertire le cifre, seguendo l’esempio del “1984” di George Orwell, ed
intitolare diversamente il romanzo di Pierfrancesco Prosperi. Perché “La
moschea di San Marco” è un romanzo che possiamo collocare nel filone della
distopia, con una vicenda- o meglio, una serie di vicende- ambientate in Italia
nel 2015, un futuro prossimo che è alle porte, molto più vicino di quanto fosse
per Orwell il suo immaginato 1984. Ed è per questo che il libro di Prosperi
manca di quell’elemento più squisitamente fantastico che aveva il romanzo di
Orwell, perché Prosperi non ne ha bisogno e, nonostante il lettore venga
avvisato che questa è un’opera di pura fantasia, l’impressione che ne deriva è
di assoluta realtà. Quella realtà che si trova dietro ad una porta con un vetro
smerigliato, che si intravvede e da cui si distoglie lo sguardo, pensando, ‘Non
è possibile’.
Inizia proprio con una donna che dice
così, “Non è possibile”, quando il suo amante la mette in guardia, dicendole
che l’hanno condannata a morte. Poi la donna esce di casa e sente volare
l’insulto ‘puttana’. E volano sampietrini, contro di lei. Nella mente del
lettore balena la parola desueta ‘lapidazione’ e tutto si fa chiaro: nella
Firenze del 2015, in
un’Italia in cui il Partito della Verità, formato da musulmani, è entrato in
Parlamento, un’adultera è stata punita con la morte per lapidazione. E il
delitto non verrà punito, in quanto non sussiste per la legge islamica. Che non
è la legge dello Stato italiano, d’accordo, ma i magistrati non possono non
tenere conto dei cambiamenti avvenuti nella società e provocati dalla forte
immigrazione islamica…Ecco, sono questi cambiamenti che Pierfrancesco Prosperi
mette magistralmente in luce nello svolgersi del romanzo, che procede per
capitoli per lo più brevi e sormontati da una data, a dare l’idea
dell’incalzare degli eventi, per dire che la Storia a volte si fa in grandi balzi e a volte
procede un piccolo passo dopo l’altro, ma senza arrestarsi mai e senza girarsi
mai indietro.
Giorno dopo giorno, a Firenze, a Roma, a Venezia, ma anche a Ferrara,
ad Arezzo, a Conegliano, succede qualcosa e, in mancanza di una cinepresa a
cogliere le immagini in luoghi diversi, Prosperi usa il collage, stili diversi per raccontare questa realtà in evoluzione:
articoli di riviste e quotidiani (per inciso, la testata più famosa si intitola
Il Corriere della Repubblica),
registrazione di dibattiti in TV, trasmissioni radio, verbali di seduta alla
Camera, sentenze del tribunale, interviste con personaggi di rilievo…E ci sono
naturalmente alcuni filoni narrativi: manca un protagonista come Winston Smith
di Orwell, ma le sorti dei personaggi principali illustrano bene gli effetti
invasivi di una cultura che si è sovrapposta a quella italiana, anzi, ne ha
preso il posto senza alcuno sforzo, perché ha trovato un vuoto che si prestava
fin troppo bene ad essere riempito. Chi ha l’ardire, o la dignità, di
contrapporsi, finisce male- così il giornalista della RAI su cui viene lanciata
una fatwa (bellissima la scena dell’uomo fuggito a Praga e lì raggiunto, che
evoca la canzone di Vecchioni, della morte che aspetta a Samarcanda), così
l’insegnante che rifiuta di sostituire il testo dell’Inferno curato dal Sapegno
con un’edizione espurgata in cui non ci sono le terzine che riguardano Maometto
nel canto XXVIII, così l’apostata per amore (punizione tremenda la sua, come ne
avevamo letto solo in qualche thriller grondante sangue). Sono tutte tessere di
un mosaico che raffigura ogni ambito della società italiana- incluso
Si arriva così al finale di questo romanzo
che si legge con avidità timorosa, riconoscendo con sgomento l’evolversi di una
situazione che stiamo vivendo ora, nove anni prima del fatidico 2015 in cui, nel capitolo
99 (tanti quanti sono i nomi di Allah), una figura biancovestita suggella i
cambiamenti. E pensiamo a Winston Smith che era arrivato ad amare il Grande
Fratello.
la recensione è stata pubblicata sulla rivista Il Sottoscritto
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