venerdì 9 gennaio 2015

Pierfrancesco Prosperi, “La moschea di San Marco” ed. 2007

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                                                               il libro ritrovato



Pierfrancesco Prosperi, “La moschea di San Marco”
Ed. Bietti, pagg. 322, Euro 20,00

    Se non vivessimo già nel secondo millennio, se l’anno in cui viviamo non fosse così poco opportunamente pieno di zeri, sarebbe stato possibile invertire le cifre, seguendo l’esempio del “1984” di George Orwell, ed intitolare diversamente il romanzo di Pierfrancesco Prosperi. Perché “La moschea di San Marco” è un romanzo che possiamo collocare nel filone della distopia, con una vicenda- o meglio, una serie di vicende- ambientate in Italia nel 2015, un futuro prossimo che è alle porte, molto più vicino di quanto fosse per Orwell il suo immaginato 1984. Ed è per questo che il libro di Prosperi manca di quell’elemento più squisitamente fantastico che aveva il romanzo di Orwell, perché Prosperi non ne ha bisogno e, nonostante il lettore venga avvisato che questa è un’opera di pura fantasia, l’impressione che ne deriva è di assoluta realtà. Quella realtà che si trova dietro ad una porta con un vetro smerigliato, che si intravvede e da cui si distoglie lo sguardo, pensando, ‘Non è possibile’.
     Inizia proprio con una donna che dice così, “Non è possibile”, quando il suo amante la mette in guardia, dicendole che l’hanno condannata a morte. Poi la donna esce di casa e sente volare l’insulto ‘puttana’. E volano sampietrini, contro di lei. Nella mente del lettore balena la parola desueta ‘lapidazione’ e tutto si fa chiaro: nella Firenze del 2015, in un’Italia in cui il Partito della Verità, formato da musulmani, è entrato in Parlamento, un’adultera è stata punita con la morte per lapidazione. E il delitto non verrà punito, in quanto non sussiste per la legge islamica. Che non è la legge dello Stato italiano, d’accordo, ma i magistrati non possono non tenere conto dei cambiamenti avvenuti nella società e provocati dalla forte immigrazione islamica…Ecco, sono questi cambiamenti che Pierfrancesco Prosperi mette magistralmente in luce nello svolgersi del romanzo, che procede per capitoli per lo più brevi e sormontati da una data, a dare l’idea dell’incalzare degli eventi, per dire che la Storia a volte si fa in grandi balzi e a volte procede un piccolo passo dopo l’altro, ma senza arrestarsi mai e senza girarsi mai indietro.
Giorno dopo giorno, a Firenze, a Roma, a Venezia, ma anche a Ferrara, ad Arezzo, a Conegliano, succede qualcosa e, in mancanza di una cinepresa a cogliere le immagini in luoghi diversi, Prosperi usa il collage, stili diversi per raccontare questa realtà in evoluzione: articoli di riviste e quotidiani (per inciso, la testata più famosa si intitola Il Corriere della Repubblica), registrazione di dibattiti in TV, trasmissioni radio, verbali di seduta alla Camera, sentenze del tribunale, interviste con personaggi di rilievo…E ci sono naturalmente alcuni filoni narrativi: manca un protagonista come Winston Smith di Orwell, ma le sorti dei personaggi principali illustrano bene gli effetti invasivi di una cultura che si è sovrapposta a quella italiana, anzi, ne ha preso il posto senza alcuno sforzo, perché ha trovato un vuoto che si prestava fin troppo bene ad essere riempito. Chi ha l’ardire, o la dignità, di contrapporsi, finisce male- così il giornalista della RAI su cui viene lanciata una fatwa (bellissima la scena dell’uomo fuggito a Praga e lì raggiunto, che evoca la canzone di Vecchioni, della morte che aspetta a Samarcanda), così l’insegnante che rifiuta di sostituire il testo dell’Inferno curato dal Sapegno con un’edizione espurgata in cui non ci sono le terzine che riguardano Maometto nel canto XXVIII, così l’apostata per amore (punizione tremenda la sua, come ne avevamo letto solo in qualche thriller grondante sangue). Sono tutte tessere di un mosaico che raffigura ogni ambito della società italiana- incluso la Chiesa. E’ poi così strano che si arrivi a pensare- visto le concessioni generose che l’ospitale popolo italiano è sempre pronto a fare- di cedere la cattedrale di San Marco ai musulmani, trasformandola in una moschea? Dopotutto ormai di fedeli non ne restano quasi più, sono solo i turisti a frequentare San Marco. A Venezia non c’è posto per una nuova grande moschea, bisogna essere realisti. E quelle cupole così splendidamente bizantine fanno pensare ad una Hagia Sophia lagunare. Quanto ai mosaici, basta coprirli: questo è il vento della Storia, magari cambierà direzione, è già successo che un luogo sacro abbia cambiato uso- chissà.
    Si arriva così al finale di questo romanzo che si legge con avidità timorosa, riconoscendo con sgomento l’evolversi di una situazione che stiamo vivendo ora, nove anni prima del fatidico 2015 in cui, nel capitolo 99 (tanti quanti sono i nomi di Allah), una figura biancovestita suggella i cambiamenti. E pensiamo a Winston Smith che era arrivato ad amare il Grande Fratello.

la recensione è stata pubblicata sulla rivista Il Sottoscritto



                                                                                             
  
  

    

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