martedì 27 gennaio 2015

Steve Sem-Sandberg, “Gli spodestati” ed. 2012

                                                                vento del Nord
                                                                seconda guerra mondiale
  Shoah

Steve Sem-Sandberg, “Gli spodestati”
Ed. Marsilio, trad. Katia De Marco, pagg. 640, Euro 22,00
Titolo originale: De fattiga i Łódź


     E Chaim il Grande andava in giro tra le sue menzogne come un imperatore nel suo palazzo. Su ogni c’erano valletti pronti a inginocchiarsi e a chiedergli cos’altro desiderasse. Cosa succede a una menzogna, quando è il naturale prolungamento di un intero essere?
   Il dubbio e lo scetticismo, diceva Rumkowski, sono per i deboli.


    Soffermiamoci a guardare la copertina de “Gli spodestati” dello svedese Steve Sem-Sandberg. E’ una delle quattrocento foto scattate da Walter Genewein, contabile dell’amministrazione tedesca del ghetto di Łódź, in Polonia. Quello che ci colpisce è la neutrale naturalezza della scena. Persone abbigliate in maniera anonima affollano una strada percorsa dalle rotaie del tram. Alcuni girano il viso, curiosi, verso chi sta scattando la foto. Un bambino in primo piano fissa l’obiettivo. Dietro di lui un ragazzo con la stella gialla cucita sul maglioncino. Pali e fili della luce contro il cielo. Case non diroccate. Questo è il ghetto come volevano vederlo i nazisti, il luogo dove gli ebrei lavoravano e si guadagnavano da mangiare grazie alla generosità dei tedeschi.
Iniziamo a leggere e torniamo a guardare la copertina: ma è questo il luogo di cui stiamo leggendo? Le due immagini, quella della nostra mente e questa, non combaciano.
     Nella storia dei ghetti d’Europa durante la seconda guerra mondiale, il ghetto di Łódź occupa un posto particolare. Era, per grandezza, il secondo in Polonia, dopo quello di Varsavia. Sorto nel 1939 come campo di raccolta per gli ebrei provenienti anche da altre città, diventò un centro industriale, un agglomerato di fabbriche che, con una manodopera a costo zero, era in grado di soddisfare le necessità della Germania nazista.
si fanno scarpe in un laboratorio per strada
Fu per questo che il ghetto di Łódź fu l’ultimo ghetto polacco ad essere liquidato, nell’agosto del 1944. La domanda che resterà senza risposta è: sarebbe durato così a lungo in ogni caso, perché rispondente al fabbisogno dei tedeschi, anche senza gli interventi del decano del ghetto, quel Chaim Rumkowski che viene chiamato solo ‘il Presidente’ nella parte iniziale del libro di Sem-Sandberg? il Presidente Chaim ‘il Grande’ che poi diventa ‘il Re’ del ghetto- del ‘suo’ ghetto.
    E’ un personaggio ambiguo, Chaim Rumkowski, e il modo in cui Steve Sem-Sandberg accumula i dettagli per raffigurarlo è magistrale, risponde appieno ad un approccio di conoscenza. Chi non ha mai sentito parlare di lui ne ha dapprima un’impressione positiva. Questo è l’uomo che si batte per salvare i ‘suoi’ ebrei, che obbedisce agli ordini tedeschi perché sceglie il male minore che, in termini di numeri, significa sacrificare ‘pochi’ per garantire la vita a molti. E’ l’uomo che, nel settembre del 1942, lanciò agli abitanti del ghetto l’appello, “Datemi i vostri figli”, dopo aver patteggiato con i nazisti che richiedevano 15.000 presenze in meno nel ghetto. Rumkowski si chiuse in casa lasciando che il Sonderkommando di Dawid Gertler tirasse fuori anziani e ammalati dagli ospedali e strappasse i bambini dalle braccia dei genitori. Ma Rumkowski credeva veramente che, mantenendo alta la produttività delle industrie del ghetto e tagliando i rami secchi, sarebbero potuti arrivare alla fine della guerra. Malgrado la fame, le malattie, il freddo.
C’era anche un altro aspetto di Rumkowski. Era un opportunista, un profittatore, un collaborazionista, un mostro che richiedeva favori sessuali e abusava dei bambini. A tale proposito c’è la testimonianza di Lucille Eichengreen che ne parla in “Rumkowski and the Orphans of Łódź” (in “Le donne e l’Olocausto”, che la Marsilio ha tradotto della Eichengreen, il capo del ghetto compare in alcune delle storie). Rumkowski aveva anche adottato un bambino, l’infelice Staszek che avrebbe perso del tutto la sanità mentale tra le sue grinfie ‘affettuose’.
Chaim Rumkowski
     “Gli spodestati” è un libro immenso, quanto può esserlo un libro che contiene la vita, la morte e la morte nella vita di tante persone. Perché l’autore segue per le strade del ghetto (c’è una mappa in fondo al libro) il percorso non solo di Rumkowski ma anche della moglie di lui e del fratello di questa, dell’informatore Lajb e dell’educatrice Rosa, del medico che viene da Praga e di sua figlia Vera che lavorerà nelle cantine dell’archivio, del poliziotto ebreo Gertler, di Staszek e di un altro degli orfani protetti dal Presidente. Di Adam Rzepin che sarà uno dei 900 ebrei che riescono a nascondersi alla fine, quando parte l’ultimo convoglio per Auschwitz e il ghetto diventa una città fantasma in cui Adam, che ha il nome del primo uomo, sembra essere l’ultimo ad aggirarsi sulla faccia della terra. Per essere falciato dai russi di cui si era tanto atteso l’arrivo.

   “Gli spodestati” non è un ‘bel’ libro, è meglio. E’ un libro importante in cui il personaggio principale non incarna il Male assoluto. Anzi, rappresenta il dilemma etico in situazioni in cui la scelta è un imperativo pesante, l’abuso di potere una caduta non inevitabile, di certo una colpa da scontare, con- forse- qualche attenuante. E’ un libro che ci coinvolge dolorosamente. Secondo i versi di John Donne, come una zolla di terra trascinata via dal mare rende più piccola l’Europa, “la morte di qualunque uomo mi diminuisce, perché faccio parte dell’umanità”. Quanto di noi è rimasto, dunque, dopo il genocidio?

la recensione è stata pubblicata, insieme all'intervista, su www.wuz.it






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