vento del Nord
seconda guerra mondiale
Shoah
Steve Sem-Sandberg, “Gli spodestati”
Ed. Marsilio, trad. Katia De
Marco, pagg. 640, Euro 22,00
Titolo originale: De fattiga i Łódź
E Chaim il Grande
andava in giro tra le sue menzogne come un imperatore nel suo palazzo. Su ogni
c’erano valletti pronti a inginocchiarsi e a chiedergli cos’altro desiderasse.
Cosa succede a una menzogna, quando è il naturale prolungamento di un intero
essere?
Il dubbio e lo scetticismo, diceva Rumkowski,
sono per i deboli.
Soffermiamoci a guardare la copertina
de “Gli spodestati” dello svedese Steve Sem-Sandberg. E’ una delle quattrocento
foto scattate da Walter Genewein, contabile dell’amministrazione tedesca del
ghetto di Łódź, in Polonia.
Quello che ci colpisce è la neutrale naturalezza della scena. Persone abbigliate
in maniera anonima affollano una strada percorsa dalle rotaie del tram. Alcuni
girano il viso, curiosi, verso chi sta scattando la foto. Un bambino in primo
piano fissa l’obiettivo. Dietro di lui un ragazzo con la stella gialla cucita
sul maglioncino. Pali e fili della luce contro il cielo. Case non diroccate. Questo è il ghetto come
volevano vederlo i nazisti, il luogo dove gli ebrei lavoravano e si
guadagnavano da mangiare grazie alla generosità dei tedeschi.
Iniziamo a leggere e torniamo a
guardare la copertina: ma è questo il luogo di cui stiamo leggendo? Le due
immagini, quella della nostra mente e questa, non combaciano.
Nella storia dei ghetti d’Europa durante la seconda guerra mondiale, il
ghetto di Łódź occupa un posto particolare. Era, per grandezza, il secondo in
Polonia, dopo quello di Varsavia. Sorto nel 1939 come campo di raccolta per gli
ebrei provenienti anche da altre città, diventò un centro industriale, un
agglomerato di fabbriche che, con una manodopera a costo zero, era in grado di soddisfare
le necessità della Germania nazista.
Fu per questo che il ghetto di Łódź fu l’ultimo
ghetto polacco ad essere liquidato, nell’agosto del 1944. La domanda che resterà
senza risposta è: sarebbe durato così a lungo in ogni caso, perché rispondente
al fabbisogno dei tedeschi, anche senza gli interventi del decano del ghetto,
quel Chaim Rumkowski che viene chiamato solo ‘il Presidente’ nella parte
iniziale del libro di Sem-Sandberg? il Presidente Chaim ‘il Grande’ che poi
diventa ‘il Re’ del ghetto- del ‘suo’ ghetto.
si fanno scarpe in un laboratorio per strada |
E’ un personaggio ambiguo, Chaim Rumkowski,
e il modo in cui Steve Sem-Sandberg accumula i dettagli per raffigurarlo è
magistrale, risponde appieno ad un approccio di conoscenza. Chi non ha mai
sentito parlare di lui ne ha dapprima un’impressione positiva. Questo è l’uomo
che si batte per salvare i ‘suoi’ ebrei, che obbedisce agli ordini tedeschi
perché sceglie il male minore che, in termini di numeri, significa sacrificare
‘pochi’ per garantire la vita a molti. E’ l’uomo che, nel settembre del 1942,
lanciò agli abitanti del ghetto l’appello, “Datemi i vostri figli”, dopo aver
patteggiato con i nazisti che richiedevano 15.000 presenze in meno nel ghetto.
Rumkowski si chiuse in casa lasciando che il Sonderkommando di Dawid Gertler
tirasse fuori anziani e ammalati dagli ospedali e strappasse i bambini dalle
braccia dei genitori. Ma Rumkowski credeva veramente che, mantenendo alta la
produttività delle industrie del ghetto e tagliando i rami secchi, sarebbero
potuti arrivare alla fine della guerra. Malgrado la fame, le malattie, il
freddo.
C’era anche un altro aspetto di
Rumkowski. Era un opportunista, un profittatore, un collaborazionista, un
mostro che richiedeva favori sessuali e abusava dei bambini. A tale proposito
c’è la testimonianza di Lucille Eichengreen che ne parla in “Rumkowski and the
Orphans of Łódź” (in “Le donne e l’Olocausto”, che la Marsilio ha tradotto della
Eichengreen, il capo del ghetto compare in alcune delle storie). Rumkowski
aveva anche adottato un bambino, l’infelice Staszek che avrebbe perso del tutto
la sanità mentale tra le sue grinfie ‘affettuose’.
Chaim Rumkowski |
“Gli spodestati” è un libro immenso, quanto può esserlo un libro che
contiene la vita, la morte e la morte nella vita di tante persone. Perché
l’autore segue per le strade del ghetto (c’è una mappa in fondo al libro) il
percorso non solo di Rumkowski ma anche della moglie di lui e del fratello di
questa, dell’informatore Lajb e dell’educatrice Rosa, del medico che viene da
Praga e di sua figlia Vera che lavorerà nelle cantine dell’archivio, del
poliziotto ebreo Gertler, di Staszek e di un altro degli orfani protetti dal
Presidente. Di Adam Rzepin che sarà uno dei 900 ebrei che riescono a
nascondersi alla fine, quando parte l’ultimo convoglio per Auschwitz e il
ghetto diventa una città fantasma in cui Adam, che ha il nome del primo uomo,
sembra essere l’ultimo ad aggirarsi sulla faccia della terra. Per essere
falciato dai russi di cui si era tanto atteso l’arrivo.
“Gli spodestati” non è un ‘bel’ libro, è meglio. E’ un libro importante
in cui il personaggio principale non incarna il Male assoluto. Anzi,
rappresenta il dilemma etico in situazioni in cui la scelta è un imperativo
pesante, l’abuso di potere una caduta non inevitabile, di certo una colpa da
scontare, con- forse- qualche attenuante. E’ un libro che ci coinvolge dolorosamente.
Secondo i versi di John Donne, come una zolla di terra trascinata via dal mare
rende più piccola l’Europa, “la morte di qualunque uomo mi diminuisce, perché
faccio parte dell’umanità”. Quanto di noi è rimasto, dunque, dopo il genocidio?
la recensione è stata pubblicata, insieme all'intervista, su www.wuz.it
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