domenica 16 marzo 2014

Sebastian Barry, "A long, long way" 2007

                                                           Un giorno. Un paese
                                                     
      prima guerra mondiale
      il libro ritrovato


Sebastian Barry, “A long long way”
Ed. Instar libri, trad. Laura Pignatti, pagg. 293, Euro 16,00

    C’è sempre qualcosa di speciale nei libri di guerra, c’è una bellezza terribile che li rende unici. Perché è solo la morte che dà la misura della vita, e allora qualunque azione, qualunque pensiero, qualunque desiderio, qualunque rimpianto, acquista una profondità dolorosa e struggente che viene dalla consapevolezza dell’adesso e forse mai più. Da quella linea sottile che separa il tempo dal non tempo, il qui conosciuto e l’al di là da cui nessuno è tornato. Ci è capitato di fare queste riflessioni leggendo, di recente, “Tredici soldati” dell’israeliano Ron Leshem sulla disperata difesa dell’avamposto di Beaufort in Libano nel 2000, e ci ritroviamo a pensare le stesse cose leggendo un romanzo su un’altra guerra di quasi un secolo prima, “A long, long way” dell’irlandese Sebastian Barry.

   E’ una fortuna che il titolo non sia stato tradotto, perché sono parole di una canzone molto nota in Irlanda, it’s a long, long way to Tipperary, e il libro di Barry è un libro interamente irlandese, anzi è il dramma dell’Irlanda nella prima guerra mondiale- il protagonista è un ragazzo irlandese che combatte nelle Fiandre nell’esercito inglese, tutti i soldati del suo battaglione sono irlandesi, i loro pensieri sono ‘a casa’ in Irlanda, e la tragedia degli anni di guerra avrà una triplice faccia. Ci sarà l’orrore della guerra di trincea, prima di tutto, con la quasi certezza di non uscirne vivo. E poi, dopo la rivoluzione di Pasqua del 1916 a Dublino, ci sarà il tormento di essere guardati con disprezzo in patria- come combattenti nelle file di quello che per i più è il nemico inglese- e con sospetto da parte dei commilitoni inglesi, come possibili ribelli.
    William Dunne, il protagonista del romanzo, ha solo diciassette anni quando si arruola. Lo fa perché ammira suo padre, comandante della guarnigione di polizia inglese al Castello di Dublino. E poiché lui, Willie, è basso di statura e non può seguire le orme paterne, il meglio che può fare è combattere per il Re, per rendere orgoglioso suo padre. Situazione difficile quella dell’Irlanda nel 1914. Ancora sotto dominio inglese ma con la promessa dell’autonomia alla fine della guerra in Europa. In ogni modo Willie è troppo giovane e troppo influenzato dal padre per capire le correnti sotterranee dei moti indipendentistici. Parte per un’avventura più grande di lui, con la promessa che si fa a tutte le reclute che la guerra finirà presto, il tempo di andare e tornare- anzi, con l’incoscienza della giovinezza, si spera di vedere un po’ di azione. 

E invece. Invece si fa a tempo a vedere i cambi di stagione, a vedere le messi sostituite dal fango, e la pioggia. La pioggia senza fine. A provare paura- e che altro dovrebbe sentire un ragazzo diciottenne quando si vede assediato dalla morte? “A long, long way” è uno straordinario romanzo di formazione: se in genere si diventa grandi con la prima esperienza della morte, William Dunne diventa vecchio nel giro di mesi sul fronte. Sebastian Barry è bravissimo nel raccontarci la guerra vista da un ragazzo- l’ansia, il sospetto, il timore, il panico quando la strana nube gialla avanza a Ypres e chi rimane indietro si contorce per terra. E muore il capitano Sheridan che William tanto ammira, perché non vuole battere in ritirata. Come suonano false e retoriche tutte le immagini del coraggio e della guerra- solo ‘dopo’ si saprà del gas usato dai tedeschi, l’iprite per l’appunto. William non si vergogna di nulla, con la stessa naturalezza parla del suo amore per Gretta (una bambina, quando lui è partito), dei pidocchi, del suo non saper trattenere la pipì nei momenti di pericolo- fino alla volta che, dopo un attacco particolarmente pesante viene mandato a fare rapporto dietro le linee e, alle rimostranze del generale sulla puzza che emana, con un candore che ci fa venire le lacrime agli occhi e un sorriso di pena sulle labbra, dice, “Mi sono cagato addosso.” 
     Quattro anni infiniti di esperienze dolorose, e quanto è duro apprendere. Quando sta per ripartire da una licenza a casa- è il 1916- William passa davanti ai ribelli asserragliati nell’Ufficio Postale. Gli ordinano di sparare e lui non capisce- come? I tedeschi sono arrivati in Irlanda? Quando inizia a capire, e a dubitare, e ne scrive al padre, questi si trasforma in un nemico.

La verità finale è che non si torna mai da una guerra. Si resta segnati per sempre, anche se il gas non è entrato nei polmoni, anche se si torna con due gambe e due gambe braccia. Negli occhi il ricordo di corpi che cadono, negli orecchi gli spari e le voci di chi non c’è più.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net

lo scrittore Sebastian Barry                

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