giovedì 20 marzo 2014

John Banville, "Dove è sempre notte" 2007

                                                                         il libro ritrovato


John Banville, “Dove è sempre notte”
Ed. Guanda, trad. Marcella Dallatorre, pagg. 364, Euro 16,50
 il libro è stato ripubblicato in edizione economica


Anni ‘50, Dublino. L’anatomopatologo Quirke sorprende il dottor Malachy Griffin a falsificare la cartella clinica di una ragazza morta e non può fare a meno di indagare. Tra Dublino e Boston, si scopre una storia di traffici di neonati in cui sono coinvolti i Cavalieri di San Patrizio e la Chiesa, con istituzioni in apparenza intese a fare opere di bene. E Banville traccia un quadro di una società repressa dai dettami della Chiesa in cui sono solo le donne che pagano il prezzo della colpa.



recensione del libro e intervista a John Banville

     Aleggia un’atmosfera di morte nel romanzo “Dove è sempre notte” di John Banville. Forse perché il protagonista Quirke è un anatomopatologo di professione, un uomo a cui “non erano i morti ma i vivi a sembrare misteriosi”, un medico dei morti che- come dice lui stesso- preferisce i corpi morti a quelli vivi, che “sospettava di star diventando sempre più simile a loro, di star diventando persino, in un certo senso, uno di loro”. E quando Quirke torna ancora su questo pensiero in una visita al cimitero, riflettendo che la sua intera vita sembra essere stata una lunga marcia intorno al regno dei morti, ci viene in mente il Gabriel Conroy di Joyce che medita sul paese delle ombre mentre ascolta la neve che cade leggera a ricoprire i vivi e i morti in quel grande cimitero che per Joyce è l’Irlanda.
    Non nevica ma piove nella Dublino di Quirke quando, una sera dopo un party in ospedale, l’anatomopatologo entra nel suo ufficio e vi trova l’amico Mal che sta compilando una cartella clinica, seduto al suo scrittoio. Quirke è ubriaco, non connette chiaramente ma gli pare un’intrusione strana nel suo regno. Perché quello di Mal- nonostante il volto ossuto “a forma di bara”- è il regno dei vivi: Mal è il ginecologo più ambito in città. Quirke barcolla, per non cadere si afferra ad un lettino di ferro, facendo così la conoscenza di Christine Falls, la ragazza morta su cui lui, il medico dei morti, si trova ad indagare. Ci sono troppe cose misteriose: un certificato di morte stilato da Mal attestante che il decesso è stato causato da embolia (anche un anatomopatologo principiante capirebbe che Christine è morta di parto), il cadavere della ragazza scompare e non c’è traccia neppure della neonata. E’ Mal il responsabile? Errore professionale o qualcos’altro?                         
     Le ricerche di Quirke lo portano a scoprire un mondo che, dopo tutto, è profondamente suo: quello in cui i figli dell’amore sono soltanto i figli della colpa (sono gli anni ‘50 nella cattolicissima Irlanda), le ragazze incinte trovano rifugio in un’istituzione di suore e i bambini vengono loro sottratti per essere “spediti” oltre oceano.
Anche Quirke non sapeva nulla dei genitori, era cresciuto in un orfanotrofio finché il padre di Mal, il giudice Griffin, lo aveva tirato fuori di là e lo aveva cresciuto come un secondo figlio. Questo è uno dei motivi per cui Quirke si sente personalmente coinvolto nell’indagine; l’altro è ancora più dolorosamente intimo e si collega alla morte di parto della moglie. Personaggio singolare, Quirke, come il suo nome lascia intuire (“stranezza”). Imponente e massiccio, piace alle donne (a lui forse piace di più l’alcol), guarda nostalgico al passato, al tempo in cui faceva tirocinio insieme a Mal a Boston e tutto era ancora in gioco. Lui si era innamorato di Sarah Crawford e ne aveva invece sposato la sorella Delia, Mal Griffin si era preso Sarah, e Quirke era diventato zio di Phoebe, che ora ha 19 anni, assomiglia alla zia defunta e a volte lo tratta in modo troppo sfrontatamente affettuoso. Già, i Crawford: irlandesi emigrati a Boston a cui arrivano le fila dei Cavalieri di San Patrizio e l’ordito dei loro traffici. Ogni famiglia ha i suoi scheletri nell’armadio, non sono pochi quelli che ruzzolano fuori una volta che si schiude un’anta. Soprattutto in casa Crawford.
    Il titolo originale del romanzo di Banville è “Christine Falls”, il nome della ragazza morta, ma il cognome è uguale al verbo “cadere” e, se ci fosse un’iniziale minuscola, il significato sarebbe “Christine cade”: la caduta di Christine (e possiamo intendere sia il suo peccato d’amore sia la sua morte) porta con sé la caduta di altri, la rivelazione di altri peccati. “Tutti abbiamo i nostri peccati”, dice Malachy Griffin, e il non credente Quirke osserva, “peccato e punizione…deve essere bello inquadrare tutto in modo così semplice”. Quanto a Quirke, che pure ha fatto- letteralmente- una brutta caduta, malmenato da due ceffi stupendamente descritti da Banville come le maschere Punch e Judy, avverte dentro di sé quella disperazione che nega la fede e si sente nel Limbo in cui vagano le anime né salvate né perdute. 

Stilos ha intervistato lo scrittore irlandese John Banville che ha vinto il Booker Prize 2005 con il precedente romanzo “Il mare”.


“Dove è sempre notte” è stato pubblicato in Irlanda con il suo pseudonimo, Benjamin Black: ha scelto di fare così per differenziare il genere dei suoi romanzi? Anche perché il cognome Black, oltre ad essere un nome popolare in Irlanda, accenna al genere ‘noir’ del libro…
    Proprio così, volevo indicare che sarebbe stato un libro diverso, che avrei preso un’altra direzione, che Benjamin Black scriverà in un modo e John Banville continuerà a scrivere come ha sempre scritto.

E’ per questo quindi che è un caso di un segreto che tutti sanno?
     La scelta di uno pseudonimo era puramente per indicare qualcosa di diverso, per evitare che il lettore pensasse che giocavo a fare il post-modernista. Per me questo libro è molto differente dagli altri, ma non so se il lettore se ne renda conto. Come Benjamin Black scrivo molto veloce, ho scritto questo libro in tre mesi, mentre impiego anni a scrivere un libro come John Banville. Un romanzo come “Il mare” mi ha richiesto una grande profondità di concentrazione, mentre in Benjamin Black c’è una totale spontaneità.

Ha scritto un noir perché le sembrava che questo genere potesse offrirle altre possibilità?
     Uno dei motivi per cui ho iniziato “Dove è sempre notte” è che, circa quattro anni fa, ho scoperto i romanzi di Georges Simenon. Non quelli di Maigret che non mi piacciono, ma gli altri, e sono stato molto colpito dagli effetti che si potevano raggiungere con poco materiale. Avevo bisogno di cambiare direzione: era dagli anni ‘80 che scrivevo in prima persona perché mi sembrava di essere più vicino alla scrittura in questa maniera. Poi ho pensato che “Il mare” fosse un romanzo di transizione, e invece mi sono reso conto che “Dove è sempre notte” è il vero romanzo di transizione per me. Come Benjamin Black mi sono permesso di giocare, mi sono sentito come uno scolaro a cui viene concessa una vacanza extra.

Se “Dove è sempre notte” è un romanzo di transizione, verso che cosa indica un passaggio?
    Verso il nuovo libro che sto scrivendo come John Banville e che è un romanzo molto diverso dai precedenti, questa volta è in terza persona. Scrivere “Dove è sempre notte” era quello che dovevo fare per rendere possibile questo cambiamento.

Un romanzo ambientato negli anni ‘50: perché?
    Era un periodo interessante su cui scrivere perché era un tempo buio, di ansie, un tempo infelice. Mi piaceva la sfida di ricordare, perché sono cresciuto negli anni ‘50. Era anche divertente cercare di ricreare quel periodo, tutto il fumo di sigarette e il bere e la nebbia.


Ha dovuto fare parecchie ricerche per ricreare la Dublino degli anni ‘50 o la parte centrale della città è rimasta più o meno uguale a come era?
  Certamente la zona in cui il romanzo è ambientato è rimasta uguale. Mia zia aveva un appartamento dove vive Quirke nel romanzo. Ora la vita è cambiata, siamo diventati ricchi, ma la città è più o meno uguale, solo più pulita. Mi sono reso conto, ad esempio, che non abbiamo neppure più la nebbia, dopo la legge che regola il combustibile per il riscaldamento.

Anni fa c’è stato un film su uno dei Magdalen Asylums- la scena della ragazza con i polpacci rossi e il cesto della biancheria da lavare mi ha ricordato una scena di quel film. Sembravano essere istituzioni ben intenzionate, mentre in realtà erano molto crudeli. E’ da tanto che sono state chiuse?      

    Sono stati chiuse solo negli anni ‘90: erano posti terribili, una specie di prigione per le ragazze che avevano commesso lo sbaglio di restare incinte senza essere sposate. Non c’era disgrazia maggiore per una famiglia: avere un assassino, un ladro, un suicida in famiglia era meglio che non una ragazza madre. Le famiglie mandavano le ragazze in queste istituzioni, i bambini venivano dati via. Per lo più le suore e i preti di queste istituzioni erano brave persone e tuttavia la Chiesa permetteva che ci fossero questi luoghi e alcune persone erano dei sadici, dei mostri.

D’altra parte, però, erano istituzioni necessarie, visto che le famiglie mettevano fuori della porta le ragazze che erano rimaste incinte senza essere sposate…
     Come ho detto, molte suore erano brave, non era colpa loro, ma tutti sapevano che cosa succedeva in quei posti. Non voglio fare un paragone con la Germania degli anni ‘40 ma, quando si parla della Germania di allora, ci si chiede come sia potuto succedere. Bene, in Irlanda era così: ‘Come è potuto succedere?’: succedeva e la gente lo sapeva, ma non faceva nulla.

C’è qualcosa di vero dietro il traffico dei bambini oltre oceano? Erano veramente destinati per la Chiesa?
    No, è vero il traffico dei bambini che venivano dati in adozione senza che fossero necessarie tante carte e documenti. Quanto al fatto che fossero destinati alla Chiesa, è mia invenzione. Ma nelle famiglie cattoliche c’era una sorta di congiura con la Chiesa. C’era un rapporto complesso tra la Chiesa irlandese e le madri: era come se venisse detto alle madri e mogli che, se non venivano rispettate dai mariti, se tolleravano l’infelicità nel matrimonio, se il marito era un ubriacone, la Chiesa le avrebbe rispettate. E però, in cambio, loro dovevano dare i loro figli alla Chiesa. Il trionfo più grande per una madre era avere uno o più figli nella Chiesa, mentre la disgrazia e il disonore maggiori erano avere una figlia incinta senza essere sposata. Non si parlava assolutamente di sesso in quei tempi.

C’è un motivo per cui Quirke è l’unico personaggio che viene chiamato sempre e solo con il cognome, mentre l’amico e rivale Malachy è chiamato con l’abbreviazione Mal, quasi a diminuirlo? Ed è voluto il cognome Quirke che significa ‘peculiarità’?
    Questo è un piccolo omaggio allo scrittore americano Richard Stark che ha messo nei suoi romanzi un personaggio che ha solo il nome di Parker. E sì, il nome significa ‘stranezza’, ma è anche un cognome diffuso in Irlanda. E se nell’abbreviazione del nome di Malachy vede una certa diminuzione del personaggio, allora è così, perché un libro è fatto anche dal lettore.

Quirke incontra spesso un poeta, Barney Boyle, nel pub: c’è qualche riferimento ad un poeta veramente esistito? Ho pensato che potesse essere Brendan Behan, il drammaturgo morto alcolizzato a 39 anni…
    Ha indovinato, Barney Boyle è proprio una grossa caricatura di Brendan Behan.
Brendan Behan

Sotto la trama della ragazza morta e il mistero da risolvere, c’è una lotta tra Bene e Male: anche se Quirke non crede in Dio, assomiglia ad un eroe di Graham Greene che sa bene a che punto si trovi, sa quello che ha rifiutato e che cosa può aspettarlo…
    Non penso che Quirke sia un personaggio simile a quelli di Graham Greene. Quirke non crede, per lui la vita è una faccenda triste, non si fa illusioni. A me non piace affatto il Graham Greene dei romanzi “seri”, mi piace come scrittore di romanzi da “intrattenimento”. Non penso che la gente combatta per la propria anima, la vita è un affare triste. La gente parla di Bene e di Male, ma non vede la lotta tra Bene e Male nella vita quotidiana, fa semplicemente del proprio meglio per andare avanti. Trovo che i romanzi moralmente impegnati di Greene siano ridicoli. D’altra parte Evelyn Waugh aveva detto qualcosa come, ‘meno male che c’è Dio, altrimenti Greene sarebbe senza controparte, come Laurel senza Hardy, Stanlio senza Ollio’.

Tutto considerato, “Dove è sempre notte” è un bel romanzo sulle donne, sulla sofferenza delle donne. La Chiesa è in parte responsabile di questa sofferenza?
     Certamente sì, la Chiesa è diretta dagli uomini, c’è sempre stato disprezzo per le donne da parte della Chiesa. Le donne sono sempre state considerate come fonte di tentazione. Ci lamentiamo di come l’Islam tratta le donne, ma che cosa ha fatto la Chiesa cattolica? E per fortuna negli anni ‘70 è arrivato il movimento di liberazione femminile. Negli anni ‘50 se una donna che aveva un impiego statale si sposava, doveva lasciare il lavoro…

Non so se Lei è interessato a scrivere romanzi seriali, ma scriverà ancora romanzi noir con il nome di Benjamin Black?
    In realtà ho già scritto il seguito di questo romanzo, c’è un altro libro con Quirke che si svolge due anni dopo. Alcuni personaggi sono morti, Phoebe è diventata un personaggio interessante, tormentato e oscuro. Perché l’ho scritto? Perché volevo vedere se riuscivo due volte a scrivere questo tipo di libro, o se la prima volta era stata un colpo di fortuna.

la recensione è stata pubblicata sulla rivista "Stilos"

lo scrittore John Banville           




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