martedì 11 marzo 2014

Kyung-Sook Shin, "Prenditi cura di lei" 2011



                                                           
                                                           Voci da mondi diversi. Asia
                                                            il libro ritrovato

Kyung-Sook Shin, “Prenditi cura di lei”
Ed. Neri Pozza, trad. Vincenzo Mingiardi, pagg. 217, Euro 16,50

Titolo originale: Omma rul Put’akhae
                          Please Look After Mom
  

      Una donna scompare alla stazione di Seul. Doveva salire sul treno con il marito che camminava davanti a lei, come al solito. C’era folla. Quando il marito si è girato indietro per vedere dove fosse, lei non c’era più. Aveva sessantanove anni, o forse settantuno- era d’uso, per scaramanzia, per ingannare la morte, dichiarare in ritardo la nascita di un bambino. L’anziana coppia era venuta a Seul dal villaggio in cui abitava per festeggiare il compleanno di entrambi. In genere uno dei figli veniva a prenderli alla stazione, questa volta erano tutti impegnati. O distratti da altre occupazioni. Per ritrovarla vengono affissi volantini con la sua fotografia, offrendo una ricompensa per informazioni utili.             
      Quante storie sono state già scritte su donne che scompaiono? Che mollano casa e famiglia, mariti-padroni e figli sfruttatori, semplicemente perché non ne possono più? Oppure donne che, a qualunque età, decidono di avere diritto alla loro vita, magari con un altro uomo, una vecchia o nuova amicizia? Il romanzo “Prenditi cura di lei” della scrittrice coreana Kyung-Sook Shin è diverso da qualunque possiamo avere già letto. A turno, una figlia, un figlio, il marito, prendono la parola per parlarci di lei, e di loro stessi, la sua famiglia. Park So-nyo, la moglie e mamma, interviene per ultima, a chiudere il cerchio, a svelare di sé cose che gli altri non possono sapere, a completare l’immagine. E così noi conosciamo la donna come la conoscono gli altri e come lei conosce se stessa.  

Questa varietà di voci, a dare l’idea della complessità dei rapporti famigliari e della fondamentale inconoscibilità anche di chi pensiamo di conoscere, conquista il lettore fin dalle prime pagine. La voce letterata della figlia che è una nota scrittrice (si è resa conto tardi che la mamma era analfabeta, ricorda ancora quando le ha dato i soldi per comprarsi il suo primo libro), quella del primogenito adorato che, pur riuscendo a fare carriera, l’ha un poco delusa, e infine quella del marito egoista ed egocentrico che dava per scontato i sacrifici e le fatiche quotidiane della moglie. Quando Park So-nyo inizia a parlare, è della figlia minore che ci racconta: se c’era un legame speciale tra la madre e il primo figlio maschio, ce n’era pure un altro, diversamente speciale, fatto di tenerezza e orgoglio, con questa figlia venuta al mondo dopo un bambino nato morto. E’ la figlia che ora ha tre bambini, che una volta ha esaudito un suo desiderio regalandole una pelliccia di visone (lei, la mamma, non aveva idea di quanto costasse), che la coinvolgeva nella sua vita studentesca, che forse la capiva più degli altri. Quante cose vengono fuori, nel tempo della ricerca della mamma per le strade di Seul. Era una donna straordinaria. Apparteneva ad un mondo e a una cultura in cui era normale sposarsi senza conoscere il futuro marito. Lei faceva sembrare normale anche togliersi il boccone di bocca per nutrire i suoi cinque bambini, anche sopportare se il marito la tradiva, anche continuare a sfaccendare quando stava male. 

Non capiva perché se lui avesse mangiato mamma sarebbe stata meno triste. Se n’era andato a causa di quella donna, e Hyong-chol credeva che la mamma sarebbe stata triste se lui avesse mangiato il cibo di quella donna, invece mamma gli aveva detto il contrario. Sarebbe stata meno triste se lui avesse mangiato, persino se il cibo era di quella donna. No, non capiva, ma siccome non voleva che mamma fosse triste, aveva detto scontrosamente: “Mangerò”.

Park So-nyo stava male: perché nessuno ha fatto maggiore attenzione ai suoi feroci mal di testa, ai suoi smarrimenti, alle sue incertezze su che cosa stesse per fare? Perché faceva comodo a tutti, al marito per primo. Nessuno si è mai neppure preoccupato se lei fosse felice, se le mancasse qualcosa. Ed è lei a farci capire, senza neppure ammetterlo con se stessa, che cosa le mancasse. Con la semplicità di una rinuncia che è scontata fin dall’inizio, che non le pare neppure un sacrificio.

      E’ un bellissimo ritratto di donna, quello che ci dipinge Kyung-Sook Shin nel suo romanzo. Bellissimo il personaggio e bellissima la tecnica narrativa- pennellate dense di colore e altre a punta fine, chiari e scuri, zone d’ombra da cui emerge infine, luminosa, la protagonista.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it

la scrittrice Kyung-Sook Shin            

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