lunedì 31 marzo 2014

Binyavanga Wainaina, "Un giorno scriverò di questo posto"

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                                                          incroci di civiltà

Binyavanga Wainaina, “Un giorno scriverò di questo posto”
Ed. 66thand2nd, trad. Giovanni Garbellini, pagg. 289, Euro 18,00
Titolo originale: One Day I Will Write About This Place


Ora è crollato il Muro di Berlino e le nostri grandi università, dove i ricchi e chi usciva dalla povertà erano finalmente pari, sono sparite.. anche quelli che hanno i soldi non possono permettersi granché. Non erano preparati a questo. Le cose accadono all’improvviso. In tutto il mondo ci sono rivolgimenti enormi da un giorno all’altro. Prevale un senso di panico. E’ possibile credere a quello che promette Geldof, cioè che l’Africa finirà per sprofondare in un buco enorme. Il progetto volto a creare gente come noi sta finendo. Adesso, chi ha cresce, e chi non ha resta indietro. Chi ha se ne può andare. Alcuni genitori vendono i loro averi più preziosi per mandare i figli all’estero.

     Stephen ne “Il ritratto d’artista da giovane” di James Joyce, il protagonista del delizioso “Il cane che abbaiava alle onde” di Hugo Hamilton: ci ricorda queste voci quella di Binyavanga Wainaina nella parte iniziale del suo libro di memorie, “Un giorno scriverò di questo posto”. Ed è singolare che ognuno di questi tre scrittori abbia cercato la sua strada lontano dal luogo dei ricordi per poi tornare, o non tornare, come Joyce che visse per sempre lontano dalla sua Irlanda per scriverne però in tutti i suoi romanzi. Come ne scrive Wainaina in questa autobiografia che è, allo stesso tempo, la sua storia e quella del Kenya fra gli anni ‘70 e il tempo attuale.                                         
    
  Binyavanga ha sette anni nel 1978, quando iniziano i suoi ricordi. Il fratello maggiore ne ha undici, la sorellina Ciru cinque e mezzo ma è così intelligente che frequenta la stessa classe di Binyavanga. Nascerà poi un’altra sorellina ma è con Ciru che Binyavanga resterà più legato, come negli anni in cui pensava a lei come alla sua gemella. Un nome insolito, Binyavanga, e non solo per noi europei- lo scrittore ci racconterà di uno scontro verbale al check-in di un aeroporto perché il suo nome aveva destato sospetti sulla sua provenienza.  Così come ci racconterà dell’usanza in Kenya di dare al  secondogenito il nome del nonno materno, senonché a questi, essendo ugandese, era parso strano avere un nipote che si chiamava Binyavanga, come lui. In un paese dalle molte tribù che hanno un grande peso nella vita politica, Binyavanga Wainaina è figlio di padre kenyota e madre ugandese, la sua lingua madre è lo swahili e naturalmente conosce l’inglese, visto che il Kenya è stato colonia britannica dalla fine dell’800 fino all’indipendenza nel 1963. Soltanto nel 1995, per la prima volta, Binyavanga si reca in Uganda con la famiglia, per festeggiare l’anniversario delle nozze dei nonni. “Sono cresciuto ascoltando i suoi miti, le sue leggende e i suoi orrori, narrati con l’intensità che sa trovare soltanto chi vive in esilio”, e  questo raduno,  che vede tornare figli e figlie dalle diverse parti del mondo dove sono approdati, è una grande emozione, è l’esaltazione della forza dei legami famigliari. Uganda, Rwanda, Sudan, e poi il Sudafrica dove Binyavanga va a studiare: da queste pagine in cui troviamo, mescolate, esperienze diverse, esce fuori il profumo, o il puzzo, del calderone dell’Africa. Soltanto la prima parte del libro ha pagine leggere, come si addice ai giochi dell’infanzia.
il presidente Moi
Poi l’atmosfera si fa più cupa, con la morte del presidente Kenyatta e l’elezione di Moi il cui governo diventa sempre più ambiguamente corrotto, mentre sempre più suoi fedeli o leccapiedi si fanno strada nella società del paese. Crolla il livello dell’istruzione pubblica, il merito non è più il passaporto per l’ingresso nelle scuole migliori, Binyavanga si iscrive all’università di Transkei in Sudafrica. E si perde, come avviene spesso ai giovani universitari di qualunque paese. Sono pagine in cui ci parla di folli letture, di isolamento in una stanza sporca di cui non paga l’affitto, di droga, di una vergogna nascosta per cui non ha il coraggio di farsi vivo con i genitori. Si parla però anche di politica, della fine dell’apartheid, di Mandela libero, di Moi che continua a imperversare in Kenya. E anche di musica, di Brenda Fassie, la scandalosa cantante in cui ‘sesso e lotta politica si incontrano’. Si ricorda l’insurrezione dei Mau-Mau, la montagna di cadaveri nella Zululand. Quando Binyavanga ritorna in Kenya, il contrasto non potrebbe maggiore. C’è una pesante aria di stanchezza nel paese: “Dopo gli scioperi e le battaglie del Sudafrica, che coinvolgevano tutti, questo luogo sconfitto è difficile da reggere.” E tuttavia per lui il ritorno è una spinta a cambiare, a raddrizzarsi e riprendere il controllo della sua vita tenendo d’occhio la meta: diventare uno scrittore.

Mombasa
      Non è un libro facile, “Un giorno scriverò di questo posto”. Perché non è facile parlare di sé e del proprio paese quando, pur essendo una personalità di rilievo come è diventato Wainaina, si è ancora giovani. Forse mancano le distanze da quanto si è vissuto, forse c’è troppo da dire e ci sarebbe troppo da spiegare per lettori che non sono familiari con la storia sociale e politica del Kenya. Intuiamo pure, leggendo il libro, che Wainaina deve aver piegato la lingua per un suo uso originale che noi non riusciamo a cogliere interamente nella traduzione. 

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it

lo scrittore Binyavanga Wainaina  

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