domenica 16 marzo 2014

Raymond Chandler, "Il grande sonno" 1939

                                                            cento sfumature di giallo
                                                            il libro ritrovato
                       in breve

Raymond Chandler, “Il grande sonno”
Ed. Feltrinelli, trad. Oreste Del Buono, Euro 8,50

   Raymond Chandler è un mito nella letteratura di genere. E’, per eccellenza, lo scrittore di romanzi ‘hard-boiled’ sulla scia di Dashiel Hammett. Di lui Chandler, nel saggio “La semplice arte del delitto”, ha scritto: “Hammett ha restituito il delitto alla gente che lo commette, e non semplicemente per fornire un cadavere ai lettori; e con mezzi accessibili, non con pistole da duello intarsiate, curaro e pesci tropicali.” La frecciata alle signore del giallo, Agatha Christie, Dorothy Sayers, o all’americano S.S.Van Dine, è chiara. Basta con i delitti garbati, il crimine è una faccenda sporca, restituiamogli la sua lordura, il sangue, la brutalità, il linguaggio della malavita. Un investigatore è uno sleuth, una pistola è una gat. Basta indugiare su descrizioni di camere chiuse, non c’è tempo per questo quando l’azione è incalzante, come nel tipo di vita dove si spara e si ammazza senza riguardo a nessuno. Prevale il dialogo, nei romanzi di Raymond Chandler- perfetto per gli adattamenti sul grande schermo. E infatti molti dei suoi libri diventarono film. 
Humphrey Bogart ne "Il grande sonno"
   Ho preso in mano “Il grande sonno”, del 1939, dopo aver letto il romanzo di John Banville/Benjamin Black “La bionda dagli occhi neri” in cui lo scrittore irlandese fa rivivere Philip Marlowe, leggendario quanto il suo padre letterario. La trama ha inizio quando un uomo molto ricco e molto anziano chiede l’aiuto di Marlowe per bloccare un tentativo di ricatto che gli è stato fatto. Il vecchio generale è facilmente passibile di ricatti: ha due figlie belle e viziate, la minore, poi, è una ninfomane che si droga di etere e si lascia fotografare nuda. Quando Philip Marlowe arriva sulla scena, succede di tutto, i morti non si contano, le persone che scompaiono volontariamente o vengono fatte scomparire, neppure. Tra le persone scomparse c’è anche uno dei mariti della figlia maggiore del generale, un genero che il vecchio amava molto, un tal Rusty Regan che aveva anche combattuto nelle fila dell’IRA in Irlanda (Marlowe accenna a lui ne “La bionda con gli occhi neri”- un richiamo che è una mossa astuta da parte di Banville). Il finale è uno spot di luce sul carattere di Philip Marlowe, un po’ beone, molto donnaiolo, veloce con la pistola, ma anche molto umano e con un codice etico personale.

    Che importanza aveva dove giacevi una volta che eri morto? In uno sporco pozzo di scarico o in una torre di marmo in cima ad una collina? Eri morto, dormivi il grande sonno, non ti preoccupavi di quelle cose lì. Petrolio ed acqua erano lo stesso per te, come fossero vento ed aria. Stavi solo dormendo il grande sonno, senza curarti della bruttura di come eri morto o dove tu fossi caduto. Io, adesso, facevo parte della bruttura.                                                                                                     



   Premetto di avere letto in originale “The big sleep” e il linguaggio è la prima cosa che mi ha colpito, del tutto differente da quello usato da Banville che, però, ho letto invece nella traduzione italiana. Quello di Banville è più ‘gentile’, pur restando secco e brusco. Tutto il romanzo di Banville è più ‘gentile’, a ben vedere. Ciò non toglie che John Banville si sia calato perfettamente nei panni del personaggio non suo e lo abbia quindi fatto suo, con qualche impercettibile ritocco. Confesso: a me è piaciuto di più il Philip Marlowe tornato in vita come Lazzaro. Questione di gusti.

lo scrittore Raymond Chandler    

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