lunedì 24 marzo 2014

James Holland, "L'anno terribile" - Intervista

                                                                        ricorrenze
                                                                        seconda guerra mondiale

INTERVISTA A James Holland, autore de  “L’anno terribile. Maggio 1944-Aprile 1945

Quando pensiamo ad uno storico, in genere ci si presenta agli occhi della mente una persona di una certa età, quasi che una parte degli anni della storia della mondo gravassero sulle sue spalle. James Holland è giovane- è nato nel 1970- ed è inglese: è per questo che abbiamo letto con curiosità e con immenso piacere il suo libro sull’anno terribile di guerra, il 1944-1945, in Italia. Perché ci sembrava che uno sguardo più fresco e straniero, meno condizionato da luoghi comuni e lotte interne, potesse ‘regalarci’ qualcosa sulla storia d’Italia. Così è stato, e gli abbiamo rivolto qualche domanda per sapere di più su di lui e sul suo interesse per la Storia e per l’Italia.

Immagino che Lei sapesse, quando ha iniziato a scrivere della seconda guerra mondiale, che si sarebbe dovuto confrontare con il famoso storico inglese Anthony Beevor che, tuttavia, pareva essere più interessato all’area settentrionale della guerra anche se ha scritto un libro sulla guerra a Creta, più o meno nello stesso periodo in cui Lei scriveva di Malta. Era preoccupato dal dover competere con lui?
     Niente affatto. Anzi, nella mia ‘vita precedente’ lavoravo alla casa editrice Penguin e mi sono occupato proprio della promozione del libro “Stalingrado” di Anthony Beevor. Anthony è un mio amico, mi ha telefonato proprio ieri, sapeva che ero in Italia per la pubblicazione de “L’anno terribile”. Ha un atteggiamento da vecchio zio nei miei confronti ed io gliene sono grato. E poi abbiamo anche fatto dei viaggi di ricerca insieme: siamo stati insieme in America, quando lui doveva fare ricerche per il suo libro “D-Day” ed io per “L’anno terribile”. Andavamo insieme all’archivio, e poi parlavamo di quello che avevamo scoperto. Per esempio, quando ho trovato il carteggio di William Donovan che sembrava non essere mai stato aperto da nessuno- e gliel’ho detto- eravamo esaltati tutti e due. Il mio stile è diverso da quello di Anthony, e poi ho ancora molta strada da fare prima di raggiungere il suo livello.

E che cosa l’ha portata a scegliere questo anno particolare di guerra in Italia, a parte il suo dichiarato amore per l’Italia?
     Be’, avevo già scritto un libro sulla guerra nel Nord Africa e poi la “Fortezza Malta” sull’assedio di Malta: non è che volessi fare una trilogia, ma sembrava la cosa più naturale proseguire con l’Italia. E inoltre volevo scrivere su quello su cui era scritto di meno e catturare l’intero quadro. Per coincidenza, all’epoca il primo ministro tedesco era in visita in Italia, per chiedere scusa per gli eccidi fatti durante la guerra dai nazisti: io non avevo mai sentito parlare di Marzabotto e sono rimasto scioccato.
Era il più terribile massacro di civili che fosse avvenuto in Europa durante la guerra. E io non ne avevo mai sentito parlare! A volte c’è come un grilletto che scatta…e vuoi sapere tutto. Sono andato a Marzabotto, ho consultato l’archivio, ho parlato con partigiani e sopravvissuti…da qui è venuto tutto il resto…

Considerando la sua giovane età, forse i suoi nonni hanno combattuto nella seconda guerra mondiale: il suo interesse per questo evento viene anche da ricordi di famiglia?
    No, per nulla, perché entrambi i miei nonni hanno preso parte alla prima Guerra mondiale, e neppure come combattenti in Europa, ma come ausiliari, a casa. Ero poco più che bambino che già avevo interesse per il periodo tra le due guerre, per gli anni ‘20 e ‘30 quando si aveva la sensazione che una nuova società emergesse dalle perdite della prima guerra mondiale. Ma il periodo d’oro finì con l’inizio della seconda guerra mondiale.
Poi mi capitò di vedere in volo uno Spitfire e l’ho trovato fantastico: ho deciso di scrivere un romanzo ambientato prima della guerra per continuare con la Battaglia d’Inghilterra. A questo punto ho parlato con dei piloti che mi hanno raccontato dell’assedio di Malta: non ne sapevo nulla, non solo, ma non ho trovato neppure nessun libro su di quello. Allora ho lanciato l’idea con il mio agente letterario, che ha approvato. Da allora il mio lavoro è quello di uno storico, la storia è diventata la mia occupazione principale.

Quello che rende il suo libro diverso da altri che ho letto sulla guerra è la quantità di testimonianze personali: come ha rintracciato queste persone? Ormai devono essere tutti piuttosto anziani: ci si poteva fidare dei loro ricordi? Non sarebbero potuti essere ricordi indotti?
      Buona domanda- perché è difficile, intervisti delle persone e ti accorgi che dicono quello che pensano di ricordare, ma invece è il ricordo di altri. Allora quello che si deve fare è cercare delle conferme, fare dei raffronti. E’ chiaro che non vale la pena di fare questo lavoro di confronto per dei ricordi generici, su come si viveva, ad esempio, ma se si trattava invece di eventi importanti, devi per forza trovare una conferma. I diari di guerra sono utilissimi in questo senso, basta poco per sapere se ci si può fidare della fonte che abbiamo ascoltato. E’ stato difficile vagliare quanto diceva Gianni Rossi (che apparteneva al gruppo Stella Rossa), perché così poco è documentato sui partigiani, vivevano in grotte sulle montagne…Si cerca allora un confronto con quanto raccontano altre persone. E appena si ha sentore di non potersi fidare, si deve smettere di ascoltare e interrogare. Viene un certo fiuto, alla lunga.

Senza fare nomi, quale delle persone che ha incontrato di persona ha trovato la più “simpatica” e quale la più odiosa?
     Ma posso benissimo fare nomi: William Cremonini, la guardia del corpo di Pavolini, è stato simpaticissimo. Cordiale, modesto, diretto, non aveva mai l’aria di farmi una lezione. Rispondeva in maniera diretta, si fidava di me. Altri, di quelli che erano appartenuti ai Giovani Fascisti, tendevano a farmi una lezione e la cosa non mi interessava. Le risposte e le motivazioni di Cremonini erano credibili. Il più odioso? Non saprei, perché le persone che non mi piacevano erano tutte morte. Persino Wolff per alcuni aspetti era OK. Le sue azioni contro i partigiani erano più modeste di quelle di Kesselring. Si pensa a Kesselring come ad un comandante onorevole e invece era orribile. L’approccio di Wolff era di placare la situazione più che di sparare e uccidere.                      
Kesselring

Il titolo inglese che ha scelto, Italy’s Sorrow, è molto bello: lo ha scelto di proposito, per rettificare in un certo qual modo l’idea generale che si ha dell’Italia, specialmente riguardo al suo comportamento durante la Guerra?
     Con il titolo Italy’s Sorrow volevo enfatizzare il trauma dell’Italia ignorato dagli storici britannici, che per lo più hanno sempre trascurato di vedere la Guerra dalla prospettiva degli italiani. E’ vero che c’era un certo disprezzo da parte degli Alleati per gli italiani, anche se poi, quando capitava loro di fermarsi in un posto e conoscere la gente del luogo, ne erano conquistati. Perché finché non conosci qualcuno, l’altro è solo una faccia. Dopo che l’hai conosciuto diventa una persona.

Fra le righe mi è sembrato di leggere una classifica dei generali nelle sue simpatie. Mi è sembrato anche che Lei abbia cercato di fare una distinzione tra le azioni tremende di rappresaglia da parte dei tedeschi nei confronti dei civili e il loro valore in quanto soldati e strateghi…
     Certo, cerco di entrare nelle loro teste…Ho cercato di pensare che cosa avesse portato questa gente a fare quelle cose tremende. E’ importante capire la motivazione per noi che siamo ancora coinvolti nelle guerre, in Iraq e in Afghanistan. Avevo sempre letto dei nazisti come mostri- e di conseguenza pensato a loro in questi termini, ma la grande maggioranza era formata da ragazzi di 19, 20, 21 anni, presi in qualcosa al di là della loro comprensione. Se sei al fronte a combattere e vivi una situazione dura, e hai già da combattere contro delle forze superiori alle tue, devi tenerli a bada e ancora hai da affrontare i partigiani che ti colpiscono alle spalle…vuoi solo sopravvivere e un modo per sopravvivere è uccidere tutti, bruciare case e distruggere villaggi. Da un punto di vista tedesco, come fai a distinguere chi è partigiano e chi non lo è? E una cosa sembrava certa: i partigiani non potevano resistere in montagna senza l’aiuto della popolazione. E’ impossibile marcare il confine tra gli effetti della guerra e la volontà di sopravvivere. Si deve anche tener conto dell’indottrinamento: si diceva che i partigiani erano tutti comunisti come quelli che avevano combattuto in Russia, e molti di quei soldati che ora combattevano in Italia avevano fatto la campagna di Russia e avevano avuto a che fare con i partigiani russi…

Nel suo libro ho trovato un dettaglio per me nuovo: ho sempre letto del massacro di Marzabotto, mentre Lei sceglie di parlare di tutti i crimini commessi nella zona di Monte Sole, sottolineando in particolare la strage compiuta nel cimitero di Casaglia. C’è una motivazione storica dietro questa scelta?
     Sì, è più corretto parlare dei massacri e delle rappresaglie fatte sul Monte Sole- Marzabotto è il nome del comune sotto cui si trovavano tutti gli alti paesi e villaggi dove si sono verificati i rastrellamenti e gli eccidi: 900 persone furono uccise in quell’area. E poi, per dei lettori inglesi il nome Monte Sole suonava meglio, era un nome che avrebbe perseguitato la memoria, molto più di Marzabotto.

 Il libro inizia con l’attentato di via Rasella. Oltre che ad un chiaro motivo di datazione, che importanza ha, per la guerra in Italia?      
Via Rasella, oggi

     Via Rasella è paragonabile ad un attentato terrorista. Via Rasella segna il momento in cui inizia la linea dura dei tedeschi. Via Rasella ha scatenato un nido di vespe, con Hitler che urlava che si dovessero uccidere 50 italiani per ogni tedesco morto- e preciso che non è vero che fosse mai stato fissato il numero accettabile di uccisi in una rappresaglia. Dopo Via Rasella gli italiani avevano capito perfettamente la lezione: non si facevano più alcuna illusione sul futuro, finché i tedeschi erano presenti sul suolo italiano.

l'intervista è stata pubblicata su www.wuz.it





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