sabato 8 marzo 2014

Nadeem Aslam, "Note a margine di una sconfitta"

                                                           Voci da mondi diversi. Asia

                                                                        fresco di lettura


Nadeem Aslam, “Note a margine di una sconfitta”
Ed. Feltrinelli, trad. Delfina Vezzoli, pagg. 387, Euro 19,50
Titolo originale: The Blind Man’s Garden



     Nadeem Aslam è tornato a parlare dell'Afghanistan nel nuovo romanzo "Note a margine di una sconfitta”, dopo averne già fatto l’ambientazione del precedente “La veglia inutile”. E- per rimarcare una sorta di continuità- c’è anche un personaggio, quello dell’americano David, che riappare fuggevolmente nel romanzo appena pubblicato, nonché la citazione del poeta Wamak Saleem, un omaggio dello scrittore al suo proprio padre che aveva dovuto rinunciare ad ogni ambizione letteraria (durante un’intervista di anni fa Nadeem Aslam mi disse che avrebbe inserito sempre, in ogni suo libro, lo pseudonimo usato dal padre).
Sembra che l’Afghanistan sia per Aslam, nato in Pakistan ed emigrato con la famiglia in Inghilterra quando aveva 14 anni, un pensiero costante. Più che un pensiero. Un rovello, il dolore di una ferita, come quello delle due dita amputate al protagonista Mikal per togliergli la possibilità di premere il grilletto di un'arma. E forse dovremmo essere assillati da questo pensiero anche noi, posti davanti alla domanda di uno dei personaggi, “perché non dici che il vostro paese ha avuto una parte nel distruggere il nostro?". Pochi occidentali hanno voglia di rispondere.          
  

     Il romanzo inizia dopo l'11 settembre. Inizia dopo i bombardamenti di Kabul nell'ottobre del 2001, quando l'America lanciò l'operazione Enduring Freedom che aveva il sapore di una crociata- non è un caso che, in questo libro ricco di riferimenti alla cultura del mondo occidentale e a quella del mondo islamico, si parli delle crociate, della cacciata dei musulmani dalla Spagna (e non solo), a ricordare che il fanatismo religioso è un male di sempre e non è un’invenzione del secolo XXI. Inizia in una cittadina pakistana dal nome fittizio di Heer e prosegue alternando il duplice sfondo del Pakistan e dell'Afghanistan, perché il giovane studente di medicina Jeo decide di dare il suo contributo medico alla guerra e parte per Peshawar. Lo accompagna il fratello adottivo Mikal, che Jeo non rivedeva dal tempo del suo matrimonio: Jeo non lo sa, ma Mikal era ed è tuttora innamorato della donna che poi è diventata la moglie di Jeo, progettava di fuggire con lei,  non lo ha fatto. Qualcuno manovrerà in modo che i due giovani si uniscano forzatamente alla Jihad, Mikal sarà preso prigioniero da un signore della guerra e poi venduto agli americani, Jeo non ritornerà più a Heer.

L’Afghanistan è stato liberato e i cittadini liberi di Kabul stanno distribuendo dolci e fiori di plastica ai soldati americani. I negozi di musica stanno riaprendo, ma mentre gli uomini si tagliano la barba, le donne scelgono di rimanere nascoste nei loro burka per il momento. E Tara sa che sono sagge. Nel corso della sua vita adulta non c’è stato giorno in cui non abbia sentito di una donna uccisa con un proiettile o un rasoio o una corda, affogata o strangolata con il proprio velo, sepolta viva o bruciata viva…


     Due luoghi e due filoni che si completano a vicenda in questo romanzo. Il Pakistan serve come preparazione a quanto avviene in Afghanistan, è come se una coltre di nubi si addensasse sul Pakistan, presagio della tempesta che si scatena in Afghanistan. Qui, in Afghanistan, si muore in maniera atroce ogni giorno, e le vittime sono spesso donne, bambini, vecchi che nulla hanno a che fare con la guerra, oppure ragazzi arruolati con il miraggio del martirio glorificante. Là, a Heer, l’anziano Rohan, padre di Jeo, si aggira per il suo giardino che trabocca di fiori e di odori- un’oasi di pace che pare irreale. Anche perché la scuola fondata da Rohan, basata su un’utopistica speranza di ospitare studenti di ogni fede religiosa, ha cambiato direttiva, forse Rohan non potrà più abitare nella casa annessa alla scuola e, inoltre, sta perdendo la vista. Rohan cieco è come Omero, come Tiresia. Rohan cieco acquista una saggezza che non aveva, vede i suoi errori passati e si macera nel rimorso dell’intransigenza nei confronti della moglie fino all’ultimo respiro di lei, e la cecità gli risparmia gli orrori del presente. In Afghanistan seguiamo Mikal prigioniero, assistiamo alle torture e ci addentriamo negli sporchi giochi della guerra. In Pakistan i personaggi femminili ci aprono uno squarcio sulla condizione delle donne nell’Islam, sulla limitatezza della loro vita, sulle pene riservate a quelle che non si comportano secondo la legge islamica, o anche solo vengono sospettate di una condotta immorale. Quando lo scenario è l’Afghanistan, lo stile dello scrittore è crudamente realista, quando è il Pakistan, c’è un tocco di fantasioso, qualcosa che sa perfino di realismo magico, con personaggi come il venditore di indulgenze di uccelli o l’uomo carico di catene di cui ogni anello è una richiesta di espiazione. 


    “Note a margine di una sconfitta” è un romanzo tormentato opera di uno scrittore che si tormenta. Perché Nadeem Aslam appartiene a quella cultura e, tuttavia, vede quel mondo con gli occhi di chi si è allontanato. Come dice uno dei suoi personaggi, non tutti i musulmani sono dei fanatici. E perciò Aslam non può fare a meno di esprimere una velata condanna verso gli eccessi, verso il terrorismo che in questo momento è una risposta estrema all’ingerenza dell’Occidente, e soprattutto verso la durezza nei confronti delle donne, punite anche solo per indossare dei gioielli sotto il burqa.
   
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it

 Lo scrittore Nadeem Aslam
                                                   

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