Voci da mondi diversi. Medio Oriente
FRESCO DI LETTURA
Yusuf Atilgan, “Hotel Madrepatria”
Ed. Jaca Book, trad. R. D’Amora,
pagg. 179, Euro 10,20
Titolo originale: Anayurt Oteli
Ha preparato il tè. Si è
aggiustato il nodo della cravatta, si è seduto sulla poltrona. Di fronte a lui
c’era lo spesso registro degli ospiti. Non poteva chiederle il nome ormai, se
ne stava andando. Aveva chiuso la porta della stanza e ora si avvicinava:
capelli neri, cappotto marrone aperto sul davanti, calze grigio fumo, scarpe
con il tacco basso. Aveva poggiato a terra la sua piccola valigia di pelle e
mentre apriva la borsa aveva chiesto ‘Quanto le devo?’ ‘Tenga pure il resto’.
Alle mani non portava anelli, le sue unghie lunghe erano rosa chiaro. ‘La
ringrazio molto, anche per il tè’. aveva preso la valigia ed era andata via.
“Hotel Madrepatria”. Leggendo
il titolo pensiamo che quello di Yusuf Atilgan sia un ennesimo romanzo in cui
un albergo è la cornice per una miriade di storie di personaggi che guarderemo
nell’interno delle stanze come se l’edificio dell’albergo fosse un giocattolo,
di quelli con una cerniera laterale che spalanca una casa in due parti. E
invece…sorpresa. Perché ci sono tanti personaggi che fanno la loro comparsa con
tanti abbozzi di storie, ma il romanzo dello scrittore turco Yusuf Atilgan è
tutt’altro. Ha un protagonista che è un eroe antieroe, un ometto che diventa
ancora più qualunque quando, ad un certo punto, si rade i baffi, un solitario
senza alcun legame affettivo che, in una maniera del tutto inspiegabile, resta
folgorato da un’ospite occasionale e si lascerà trascinare nei vortici di una
follia autodistruttiva da quella che diventa un’ossessione.
L’Hotel Madrepatria non si trova né a
Istanbul, né ad Ankara né a Smirne, ma in una cittadina non nominata
dell’Anatolia, luogo di passaggio per i treni da e per le grandi città. E’
vicino alla stazione e c’è quindi un discreto andirivieni di clienti. Zebercet
è il gestore dell’albergo che una volta era un konak, una grande abitazione
appartenuta alla sua famiglia. Non tutti i clienti dell’albergo sono
rispettabili, Zebercet chiude un occhio quando qualche prostituta chiede una
stanza per portarci un uomo, chiude anche l’altro occhio quando sono due uomini
a presentarsi, in genere uno vecchio e uno giovane che si fanno passare per
padre e figlio. A volte gli capita di origliare alle porte, immaginando
passioni non sue. Lui si accontenta di entrare di notte nel letto della
domestica. E’ proprio il caso di dire che ‘si accontenta’, perché non la
sveglia neppure, fa quello che deve fare e torna in camera sua.
La sconosciuta dal cappotto marrone che
arriva una sera non ha neppure un documento di identità, sarà impossibile per
lui rintracciarla. Piuttosto, verranno due brutti ceffi, dopo un po’ di tempo,
per riprendersi l’asciugamano che lei ha lasciato lì. Non è questa l’unica
stranezza di una trama che ha qualcosa di surreale, che mescola frammenti di
vicende- della domestica, dell’uomo che dice di essere un ufficiale in pensione
e che poi risulta aver strangolato la figlia (vero? falso? una coincidenza che
collima con un altro strangolamento?), della ramificata famiglia di Zebercet in
cui uno zio diciassettenne si è impiccato perché-forse- innamorato della moglie
del fratello che avrebbe poi dato il suo nome a tutti i bambini che nascevano e
morivano subito dopo (non era una sfida alla buona sorte dare il nome di un
morto suicida ad un bambino?). E anche questa impiccagione lontana è un
aggancio voluto ad un’altra impiccagione alla fine della spirale. Lo stile del
libro è perfetto per questo miscuglio di fatti (pochi), supposizioni (molte),
ricordi ingarbugliati (moltissimi, soprattutto mentre si avvicina il drammatico
finale), alternando una narrazione piana a una sorta di monologo interiore che
comunica l’ansia e l’angoscia e il rovello di una persona che sta uscendo dai
binari della sanità mentale.
Sembra che sia sempre buio fuori dell’Hotel
Madrepatria, giustamente, perché i clienti arrivano per passare lì la notte.
Quando Zebercet esce, si aggira per una città buia e l’unica scena animata- di
una violenza che fa contrasto, selvaggia e sconcertante- è quella di un
combattimento tra galli a cui il protagonista assiste e dove incontra un
ragazzo verso cui fa qualche timida ‘avance’: se questo avesse accettato, la
fine sarebbe stata del tutto diversa?
Lo
stile che deve molto agli scrittori europei e americani che hanno rivoluzionato
la letteratura (da Joyce a Faulkner), la tematica che affronta con grande
delicatezza questioni scabrose, l’interesse per la psicologia dei personaggi,
hanno contribuito a far considerare Yusuf Atilgan un ‘pioniere’ del romanzo
moderno turco, uno degli scrittori che il premio Nobel Oran Pamuk ha citato
come un maestro.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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