Voci da mondi diversi. Asia
il libro ritrovato
Aravind Adiga, “L’ultimo uomo nella torre”
Ed. Einaudi, trad. Norman
Gobetti, pagg. 441, Euro 20,00
Mumbai, Bombay al tempo in cui l’India
faceva parte dell’Impero inglese: con 21 milioni di abitanti è la sesta città
più popolosa del pianeta. E’ anche la capitale commerciale e
dell’intrattenimento in India: l’industria cinematografica di Bollywood ha sede
qui. E tuttavia è pure la città in cui i contrasti tra ricchi e poveri, già
forti ovunque in India, sono più stridenti. “Perché al giorno d’oggi uno
dovrebbe vivere a Mumbai?”- dice Mr. Puri, uno dei personaggi del bellissimo
nuovo romanzo di Aravind Adiga. E prosegue: “Dovremmo andare in un posto civile
come Pune. Un posto in cui i treni non scaricano ogni mattina diecimila
mendicanti. Sono stufo di questa città.”
Mr. Puri, la moglie e il figlio con la
sindrome di Down, i coniugi Pinto (lei è cieca), l’agente immobiliare,
l’assistente sociale (il marito l’ha piantata, ha due figli), il musulmano che
è proprietario di un internet café, l’amministratore, l’insegnante in pensione
chiamato “Masterji” (sua moglie è morta da poco, una figlia è stata vittima di
un incidente mortale quando era adolescente, il figlio ha fatto carriera), la
donna delle pulizie: sono alcuni dei personaggi del romanzo, gli abitanti della
Torre A, uno degli edifici costruiti dalla cooperativa Vishram ai tempi del
primo ministro Nehru. Doveva essere assolutamente ‘pucca’, cioè solido e
permanente, e invece ormai è fatiscente. Quando arriva il costruttore Dharmen
Shah a fare un’offerta per acquistare gli appartamenti di ogni condòmino per
costruire un nuovo strabiliante complesso al posto dell’attuale edificio, quasi tutti gli abitanti della Torre A
accettano: sarebbe da stupidi rifiutare quando la cifra proposta da Shah è 400
volte tanto il valore dell’immobile. Quasi
tutti. I primi a tentennare sono i Pinto: come farebbe la moglie cieca a
orizzontarsi in un ambiente sconosciuto? Insieme a loro, dapprima per
solidarietà, poi per altri motivi, Masterji si rifiuta di vendere. Il problema
è che occorre l’assenso di tutti per procedere alla demolizione dell’edificio.
A questo punto è facile intuire come proseguirà il romanzo di Adiga: i metodi
per convincere chi non è d’accordo sarebbero uguali in ogni parte del mondo. Si
incomincia con le buone- persuasione, invito alla comprensione delle necessità
dei più, offerte di regali extra-, si passa alle maniere più brusche-
boicottaggio, molestie fastidiose, azioni volte a spaventare i renitenti (e qui
i Pinto cedono)-, per arrivare infine ad un atto estremo.
E’ Masterji il protagonista assoluto del
romanzo, “l’ultimo uomo nella torre” non perché resta lì da solo, arroccato nel
suo isolamento, ma perché è veramente l’ultimo essere con sentimenti e valori
‘umani’ ad abitare nella Torre A. ‘Umano’ non dovrebbe essere sinonimo di
‘buono’ ma in qualche modo lo è, per differenziarlo da ‘animalesco’, da un
comportamento in cui prevalgono bassi istinti. Se è comprensibile e umano che
gli altri condòmini vogliano i soldi offerti da Shah, perché ognuno ha dei
validi motivi per desiderare una maggiore disponibilità economica, ciò di cui
non si rendono conto, però, è di come il sogno della ricchezza li abbia
cambiati. Parlando del costruttore, il musulmano Kudwa dice, “Sta trasformando
delle brave persone in cattive persone. Sta cambiando la nostra natura”.
Nessuno di loro capisce che Masterji difende un principio, quello della
libertà- che non è solo sua. E allora il romanzo di Adiga non è semplicemente
un romanzo sulla corruzione che si realizza in termini economici ma è un
romanzo sulla corruzione dell’anima, sulla difficoltà di mantenere la propria
dignità e integrità. Perché nessuno dei condòmini è cattivo. Eppure alla fine
Masterji è una bestia braccata. I suoi vicini si mettono (letteralmente) il
cotone nelle orecchie per non sentire, si chiudono a chiave in casa per non
vedere, per non sapere nulla. Mentre tutti sanno.
Sullo sfondo, l’incredibile brulichio
umano che è la vita in India- mendicanti, risciò, auto di lusso, vacche sacre,
templi, corone di gelsomini, inquinamento, elettricità e acqua a singhiozzo,
gabinetti a cielo aperto…
Non sprecherei un paragone con
Dickens. Non avvicinerei Mumbai alla Londra ottocentesca. Questo è Adiga. Questa
è l’India di oggi.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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