giovedì 14 maggio 2015

Catherine Dunne, Donna alla finestra ed. 2010

                                          Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
                                                                 il libro ritrovato

Catherine Dunne, Donna alla finestra
Ed. Guanda, trad. Ada Arduini, pagg. 299, Euro 16,50

Dublino. Una coppia, Lynda e Robert. Due figli adulti, Katie, all’università a Galway, e Ciaràn che frequenta l’università a Dublino e dà qualche problema. Il fratello di Robert, Danny, da sempre uno scapestrato. Ciaràn chiede ai genitori di poter ospitare l’amico Jan che ha problemi in famiglia. Strane cose incominciano a turbare la quiete della casa: immondizie scaricate in giardino, sensori di luce che non si accendono, l’anello di fidanzamento di Lynda che scompare e riappare in bagno…Finché Ciaràn viene convocato dalla polizia per stupro. Lui non ricorda nulla. Che cosa o chi c’è dietro tutto questo?

INTERVISTA A CATHERINE DUNNE, autrice di Donna alla finestra

   L’Irlanda del 2009 è lontana anni luce dall’Irlanda de Le ceneri di Angela, il famoso romanzo di Frank McCourt trasformato in un altrettanto famoso film. Sono scomparse la miseria totale, le case fatiscenti, i materassi per terra e senza lenzuola, le nidiate di bambini con il moccio al naso, le mogli che vanno a recuperare i mariti ubriachi al pub, i preti dalla presenza fin troppo ingombrante. Ma non è neppure la stessa degli scintillanti anni ‘90, quando aveva preso la rincorsa e si era trasformata nel paese esemplare della nuova economia. Catherine Dunne, la Jane Austen irlandese dei nostri giorni, ha sempre guardato con occhio attento la vita quotidiana della classe media del suo paese, dandoci dei romanzi che sono uno specchio di piccoli avvenimenti, di cambiamenti di modelli, una registrazione di conversazioni per lo più femminili- donne che si confidano, che si indagano, che non accettano più i vecchi tabù, che riflettono sulla direzione che sta prendendo la nuova Irlanda. Ancora una donna, dunque, al centro della scena nel nuovo romanzo, Donna alla finestra. Una donna che continua la tradizione della forte figura femminile che è propria di tutta la narrativa irlandese e che nello stesso tempo è del tutto moderna nella scelta del lavoro (insegna, dipinge, progetta giardini giapponesi) e nella consapevolezza della società in cui vive. Che fine ha fatto la Tigre celtica?- si domanda Lynda. La recessione è evidente ovunque, le banche non concedono più prestiti, l’impresa edilizia di suo marito Robert è in crisi, in più ci sono i problemi creati dal figlio, tipico rappresentante della generazione giovane che non ha mai lavorato un giorno, spende i soldi di papà e nello stesso tempo ha un atteggiamento sprezzante nei suoi confronti. La relativa tranquillità della famiglia è riflessa simbolicamente nel giardino giapponese che Lynda ha creato e che ama tanto- la prima cosa che esce a contemplare al mattino.
Un’immagine di quiete e ordine, con una grossa tartaruga di pietra che rappresenta la sicurezza della casa stessa.
      Lo sconosciuto che si muove di notte intorno alla casa è pagato da un ignoto Intrallazzatore per infrangere questa quiete, per frantumare l’idillio del successo e della famigliola felice in un crescendo di azioni vandaliche che culminano proprio nella distruzione del giardino. Non sveliamo niente che il lettore non apprenda fin dalle prime pagine, dicendo che c’è Danny, il fratello minore di Robert, dietro tutto questo. Lasciamo però il gusto di scoprire il perché, leggendo le vicende del passato, e quale sia il nesso tra Jan, il Ragazzo d’Oro, e la famiglia in cui si è inserito.
     La narrazione di Catherine Dunne ha un andamento piano che non sprizza del pungente umorismo di Jane Austen, ma lo stile ha una garbata eleganza che conquista il lettore. Soprattutto ammiriamo i personaggi femminili di Catherine Dunne: la madre di oggi, Lynda, che si sforza di capire il figlio e di essergli di aiuto, mentre nello stesso tempo incoraggia il marito che è in difficoltà con il lavoro; la madre di ieri a cui il figlio Danny ha causato un dolore immenso; la figlia Katie che si precipita a tornare a casa per essere d’aiuto ai genitori. Sono belle figure, vive, esemplari, attuali.
Stilos ha incontrato Catherine Dunne per parlare con lei del suo romanzo e della crisi economica in Irlanda.



Il suo nuovo romanzo riflette la crisi economica in Irlanda. Si avverte un certo qual senso di sorpresa, come se nessuno se l’aspettasse. Lynda si chiede perché la Tigre celtica sia fuggita così in fretta. Perché? E la crisi era del tutto inaspettata?
     Non credo si possa dire che fosse del tutto inaspettata. Eravamo consapevoli della crisi dei prestiti sub-prime negli Stati Uniti, quindi certamente non credevamo che saremmo rimasti immuni da una crisi globale. E Lynda ha l’età per ricordare la spaventosa recessione degli anni ‘80, perciò per lei, a differenza delle generazioni più giovani, le difficoltà economiche non erano completamente nuove.
Invece, quello che è stato inaspettato sono stati il modo improvviso e la portata della situazione irlandese. Questo è stato il problema per la maggior parte degli irlandesi. Non la recessione in sé che eravamo stati avvisati che sarebbe arrivata. Ed erano un paio di anni che l’Istituto di Ricerca Economica e Sociale ci metteva in guardia sul fatto che la nostra prosperità- nel commercio e nell’edilizia- era di molto sovrastimata. Era una bolla e avrebbe finito per scoppiare. Infatti è scoppiata. Certo, sotto la pressione di questioni globali, ma- e questo è il ma fondamentale- la nostra crisi è stata resa peggiore dalla corruzione, dalla mancanza di regolamentazioni finanziarie adeguate e dall’avidità. Le nostre banche sono crollate, una dopo l’altra. Sono venuti alla luce accordi per cui le banche avevano ‘collocato’ grosse somme l’una sui conti dell’altra per far apparire positivi i bilanci. Una volta conclusa la revisione dei conti, il denaro fu nuovamente ritirato. Si è parlato di questa tecnica come dell’accordo ‘bed and breakfast’.
In apparenza alcuni di questi accordi non erano strettamente illegali, ma per quello che riguarda la maggior parte degli irlandesi erano di certo sbagliati. Così quelli che pagano le tasse devono scontare il comportamento di un ‘circolo dorato’ di individui senza scrupoli, avidi, sregolati e straordinariamente ricchi. La banca anglo-irlandese che cito nel romanzo è stata la prima colpevole riguardo a questo. Ha concesso dapprima prestiti- grosse somme legate a prezzi terrieri molto gonfiati. Il resto si può immaginare. Attualmente in Irlanda ci sono circa un quarto di milione di case vuote in aree edificabili non finite in ogni città e villaggio del paese. E’ un altro scandalo nazionale.


Anche nei suoi libri precedenti c’era un certo sguardo di sorpresa per i cambiamenti in Irlanda e nella società irlandese. In questo libro mi sembra ci sia del timore in questo sguardo di sorpresa, come se non le piacesse quello che vede e si domandasse, ‘dove siamo andati?’. O forse si tratta solo del fatto che tutti questi cambiamenti sono sopraggiunti così in fretta?

     Certamente la velocità dei cambiamenti in Irlanda è stata stupefacente. In trent’anni, dalla nazione povera e sottosviluppata che eravamo, con caratteristiche in comune con i paesi del terzo mondo, siamo diventati un paese di cultura, sofisticato, con un’economia fiorente. Molte cose sono cambiate in meglio: infrastrutture, opportunità di lavoro e, non meno importante, una sensazione di maggiore fiducia in noi stessi come nazione. Non era la perfezione: il sistema sanitario è sempre stato scadente e l’accesso allo studio un problema per i meno abbienti. L’economia è progredita in modo costante e poi sono iniziati ad affiorare i classici segnali del ‘boom’. Non c’erano più alloggi a buon mercato- e gli irlandesi hanno sempre preferito comprare piuttosto che affittare. Si è arrivati al punto in cui anche affittare era diventato quasi impossibile. Il costo della vita cresceva. Alcuni si sono arricchiti parecchio, almeno per gli standard irlandesi. E poi è iniziato il crollo, nell’autunno del 2008. Da allora la gente si chiede: dove si è sbagliato? Perché i nostri ministri non hanno esercitato un controllo, soprattutto per l’edilizia? E come abbiamo fatto a perdere di vista quelli che credevamo essere i nostri valori? In Irlanda si sta procedendo ad una revisione totale di quello in cui credevamo. Siamo rimasti scossi dal senso di tradimento, sia per gli scandali delle banche, sia per quelli in politica e, ancora peggio, nella Chiesa cattolica. Una Chiesa che la maggior parte della gente pensa abbia perso credibilità per gli scandali di abusi sui bambini e gli sforzi deliberati per coprire le sue colpe.

Ci sono due crisi parallele nel romanzo: una è la crisi economica nella famiglia e l’altra è la crisi nel rapporto genitori-figli. Anche in Irlanda i genitori sono diventati iperprotettivi, impedendo la crescita responsabile dei figli?
     Credo proprio che l’attuale generazione dei ventenni, che non hanno mai conosciuto la recessione, non siano mai stati esposti agli stessi livelli di difficoltà economiche dei loro genitori. Come per tutti i cicli di comportamento umano, i genitori hanno voluto che i figli godessero degli agi e dei privilegi che loro stessi non avevano avuto- penso che sia una reazione normale a qualunque forma di privazione. Quanto all’essere iperprotettivi, anche quello è un risultato del crollo delle certezze che questa società ha sperimentato. Soprattutto del crollo della fiducia nelle istituzioni che credevamo dovessero proteggerci. Ma c’è anche un altro tipo di ‘protezione’: quella di rendere troppo facile la vita dei nostri figli, di essere troppo ansiosi di fornire quello che si dovrebbe acquisire con lo sforzo. I sociologi pensano che noi genitori ci sentiamo spesso colpevoli e abbiamo bisogno di compensare la mancanza di tempo e di interazione significativa con i nostri figli dando loro denaro come sostituto per quello. Troppi soldi quando si è giovani creano problemi. Ciaràn, per esempio, è irresponsabile, difficile da trattare. Non è l’unico. Ma forse Lynda e Robert pensano che, dandogli tutto quello di cui ha bisogno, non possa succedere nulla di male. Se c’è qualcosa che la vita ci insegna è che la vita stessa è fragile e imprevedibile. E il benessere economico di Lynda e Robert non è sufficiente per proteggere il figlio dai pericoli che lui non ha le armi per fronteggiare.

Mi sono chiesta se uno dei motivi per la presenza del personaggio di Danny è mostrare che ci sono sempre stati problemi tra genitori e figli, in tutte le generazioni. C’è una differenza tra Danny e Ciaràn?
    Certo, problemi tra genitori e figli è un dato di fatto. Penso spesso ad una frase di un film che mi è piaciuto, La strada per la perdizione. Il personaggio incarnato da Paul Newman riflette sulla sua vita e dice: ‘I figli sono venuti al mondo per creare guai ai padri’. Conflitto, aspettative deluse, tradimento- sono il materiale di vita vissuta e perciò della narrativa.
Danny è un uomo complesso. Si sente trascurato, secondo arrivato, non capito. Ma la sua mancanza più tragica è il suo negare: rifiuta di assumersi la responsabilità per le scelte che ha fatto. Tutto è sempre colpa di qualcun altro. Non vuol dire che non provi simpatia per lui: l’avvenimento che lo fa uscire dalla famiglia non è voluto da lui. Ma rifiuta la responsabilità per le conseguenze di quell’atto. Alla fine del romanzo Ciaràn, invece, accetta di riconoscere che ha un problema. Non nega più la sua responsabilità, ma ha una strada lunga da percorrere. E chi sa come diventerà? Io non lo so. E l’ho inventato!

Mentre la trama si sviluppa e sappiamo di più dei personaggi, c’è un accenno all’idea che il Male passi da padre in figlio: il Male è nei geni?
     E’ una domanda a cui è difficile rispondere. Credo che il Male esista. Per me è mancanza di empatia, incapacità di sentire o immaginare il dolore degli altri. Non credo che venga tramandato nei geni. Ma forse il venire a contatto con il male quando si è giovani predispone qualcosa a diventare attivo. Una delle cose più difficile da accettare è il fatto che il male è, per lo più, compiuto da persone del tutto ordinarie e non da mostri.

Il dettaglio del giardino giapponese mi ha incantato. Ci ho visto un significato metaforico: perché ha scelto questo tipo di giardino, così insolito in un paesaggio irlandese?

     Penso perché per me incapsulava un livello di sofisticazione e di consapevolezza estetica che appartiene alla visione del mondo che ha Lynda. Che tutto è sicuro, tutto va bene. Casa, marito, denaro: niente può disturbare la tranquillità del suo mondo. La tartaruga di pietra nel giardino è il simbolo di quella serenità e della buona fortuna, come lo è nel disegno del giardino giapponese. Ma tutta quella immobilità sta per essere disturbata. Niente può proteggerla dalla vulnerabilità che inizia a sentire. La fiducia di Lynda nella sua vita borghese è un’illusione. Capire tutta quella fragilità, tutta l’imprevedibilità della vita: quello è il viaggio di Lynda.

recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos



                                                                            

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