Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
il libro ritrovato
Elizabeth Strout, “Olive Kitteridge”
Ed. Fazi, trad. Silvia Castoldi,
pagg. 381, Euro 18,50
Titolo originale: Olive Kitteridge
Quello che i giovani non sanno, pensò
Olive mentre si sdraiava accanto a quell’uomo, con la mano di lui sulla spalla,
sul braccio, oh, quello che i giovani non sanno. Non sanno che i corpi anziani,
rugosi e bitorzoluti sono altrettanto bisognosi dei loro corpi giovani e sodi,
che l’amore non va respinto con noncuranza, come un pasticcino posato assieme
ad altri su un piatto passato in giro per l’ennesima volta. No, se l’amore era
disponibile, lo si sceglieva, o non lo si sceglieva.
Per dare un’idea del piacere della lettura di “Olive Kitteridge” di
Elizabeth Strout, il libro che ha vinto il premio Pulitzer 2009, pensate al piacere
molto proustiano di mettere in bocca una pralina, oppure uno di quei
raffinatissimi dolcetti da vecchia pasticceria con specchi e pannelli di legno
alle pareti, lasciandoli sciogliere lentamente tra la lingua e il palato. Ecco,
ognuno dei racconti del libro della scrittrice americana è così- prezioso,
perfetto. E l’arte di Elizabeth Strout è nell’aver saputo legare insieme i
tredici racconti in una maniera così sapiente e nello stesso tempo così
delicata da dare l’idea di un tutto unico pur nella diversità delle storie e
dei protagonisti.
Olive Kitteridge, il personaggio che dà il
titolo al romanzo, è anche quello che serve da filo conduttore, filo di seta
che si vede e non si vede, perché l’insegnante di matematica in pensione Olive
Kitteridge è la protagonista- da sola o insieme al marito Henry- solo di un
paio di racconti. Negli altri, a volte appare di sfuggita, a volte li
attraversa, a volte parlano di lei- l’effetto è che noi veniamo a conoscerla
sia direttamente, quando la vediamo interagire con il marito o con il figlio,
sia tramite le parole degli altri. Non è molto simpatica, Olive Kitteridge.
Almeno, non all’inizio. Quando Olive va a trovare il figlio a New York, questi
trova infine il coraggio di dirle: “Tu hai un pessimo carattere. Perlomeno,
credo che sia carattere; in realtà non so bene cosa sia. Però sei capace di far
stare malissimo gli altri. Hai fatto stare malissimo papà.” Olive ha fatto
stare malissimo anche suo figlio, naturalmente. Soltanto alla fine- Olive ha
ormai settantacinque anni, Henry è morto dopo anni di ricovero in una casa di
cura a seguito di un ictus- sembra che qualcosa si sciolga dentro di lei: Olive
è saggiamente triste; si guarda indietro, si accorge di quello che ha
trascurato nella sua vita e decide che c’è ancora tempo in “quel che resta del
giorno” per essere diversa, per concedersi un amore che forse non è tale ma
ormai non ha più importanza. Quello che importa è scegliere di amare e quindi
di vivere- “Il mondo la confondeva. Non voleva ancora lasciarlo”.
E’
difficile dire se ci sia un tema dominante nelle storie che Elizabeth Strout
racconta, in questo libro che è una sorta di “Antologia di Spoon River” di
viventi. Lo sfondo è un piccolo paese del Maine, con il bar del molo, il
negozio che vende ciambelle, il liceo dove insegnava Olive, la farmacia gestita
da Henry. In una storia c’è una coppia giovane seduta al bar (lei ha i capelli
color cannella, è magrissima- ha una di quelle malattie di moda adesso, dice
Olive): si amano, si lasciano, tutto finisce in dramma. In un’altra un uomo
ritorna, si ferma con la macchina davanti al mare: sua madre si è uccisa, lui
ha un fucile avvolto in una coperta sul sedile posteriore, Olive si siede sul
posto accanto a lui. Una pianista deve sempre bere qualcosa prima di suonare-
non è più giovane, ha avuto degli amori infelici. Christopher Kitteridge si
sposa (con un’arpìa secondo sua madre), va a vivere in California (ma proprio
dall’altro lato degli Stati Uniti doveva andare?) e poi divorzia. “Raccogli un
po’ di pettegolezzi”, raccomanda Olive al marito che va alla funzione
domenicale. Si sa, in un paese piccolo tutti sanno tutto di tutti. Chissà se
sapevano che Olive era innamorata del collega che poi è morto in un incidente.
O che Henry passava del tempo con una vedova. Storie di coppie, di figli, di
genitori, di amanti, appannate da un velo di tristezza perché la vita è così:
la felicità non è mai piena, forse si deve imparare ad essere felici
accontentandosi di momenti. Così come si deve imparare a fare il marito, la
moglie, il padre, la madre, il figlio. E’ come se non si smettesse mai di
imparare a vivere. E ad amare.
“Olive Kitteridge” è un libro speciale-
entra dentro di noi proprio come noi lettori entriamo nelle pagine del libro e
viviamo fianco a fianco con i personaggi. Forse perché ognuno di loro contiene
qualcosa di noi e noi ci riconosciamo in loro. Nei loro sentimenti, nelle loro
reazioni, in quello che dicono, anche se le parole di Elizabeth Strout sono
scelte meglio di come faremmo noi. Come quando un personaggio riflette che
“ognuno dei suoi figli era stato il suo preferito”, oppure un’alunna ricorda
una frase di Olive, “Non abbiate paura della vostra fame. Se ne avrete paura
sarete soltanto degli sciocchi qualsiasi.” Un libro bellissimo. Da premio Pulitzer.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
a breve leggerete la recensione del libro che ha vinto il Pulitzer 2015
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