lunedì 25 maggio 2015

Jón Kalman Stefánsson. “I pesci non hanno gambe” ed. 2015

                                                     vento del Nord
    FRESCO DI LETTURA

Jón Kalman Stefánsson. “I pesci non hanno gambe”
Ed. Iperborea, trad. Silvia Cosimini, pagg. 440, Euro 19,00
Titolo originale: Fiskarnir hafa enga fætur

     No, voglio diventare vecchio sotto la luna e le stelle e amare ancora mia moglie con tanta passione da doverla abbracciare, e non desiderare nient’altro che vivere altri cent’anni con lei, amare ancora le sue labbra e i suoi occhi, ecco come voglio diventare, vecchio e felice nel chiaro di luna.


    Keflavík, di faccia all’Atlantico, nel sud-ovest dell’Islanda. “Sono felice di essere venuto nel posto più nero del paese”, aveva detto il presidente islandese nel 1944, quando vi si era recato in visita subito dopo la costituzione della repubblica. “Il posto più nero- com’era possibile vivere qui prima dell’arrivo dell’esercito americano, prima dell’epoca della meccanizzazione?”, si chiede- o fa chiedere al suo personaggio- Jón Kalman Stefánsson nel suo nuovo romanzo “I pesci non hanno gambe”. Keflavík che non esiste, perché “andare a Keflavík somiglia sempre un po’ ad allontanarsi dal resto del mondo per raggiungere un luogo che non esiste”. Sembra impossibile che ci siano delle case in questo posto dove ci sono “tre punti cardinali; il vento, il mare e l’eterno.” Perché, se l’Islanda è una terra impietosa e difficile, Keflavík è di certo la zona “meno abitabile del paese”.

      Come si fa a vivere a Keflavík, dunque? Gli uomini escono in mare e, se la fortuna assiste, se il vento non fa scatenare una tempesta, rientrano con le barche piene di pesci che vengono puliti e messi ad essiccare sui tralicci. Quando poi gli americani costruirono l’aeroporto, quando la vita incominciò a cambiare, quando si aspettavano frotte di turisti, era arrivato anche l’ordine di smantellare i tralicci, di spostarli in modo che non fossero così visibili- ma come, non erano forse una delle caratteristiche principali di quel paesaggio scabro con le rocce di basalto? Gli uomini in mare (senza saper nuotare) e le donne a casa, a tirar su i figli, in giorni uguali uno dopo l’altro. Oppure anche le donne, insieme ai ragazzi, a lavorare nell’industria del pesce- una puzza che restava attaccata agli abiti, alla pelle, ai capelli. Gli americani portarono cose mai viste, jeans, musica, Coca-cola, scatolette di cibi sconosciuti: i ragazzini si organizzavano per assalire i camion carichi di tutto quel ben di Dio destinato a chi era lì per lavoro. L’esercito americano era diventato il quarto punto cardinale di Keflavík. Una presenza essenziale eppure odiata. Vantaggiosa ma pur sempre una forza di occupazione del territorio.
    Tutti i personaggi di questa saga famigliare risentono dell’ambivalenza del paesaggio e della vita che si può condurre a Keflavík. Il bello e il terribile. La luce e il buio. La vita che canta e la morte che attrae, come una sirena, verso il mare. La storia (o tutte le storie) inizia con Ari, poeta ed editore, che abbandona moglie e figli e va in Danimarca. Tornerà quando riceve una lettera del padre che sta morendo. O forse sarebbe tornato ugualmente, come è tornata dal Canada la nonna Margrét per sposare il suo primo amore, lo straordinario Oddur, il miglior pescatore di Keflavík, l’unico che prendesse misure di sicurezza per i suoi uomini sulla barca. Anche Ari ha sposato il suo unico amore. Come era stato possibile che un amore speciale si trasformasse ‘in un ordinario martedì’? che lui avesse avuto una brevissima avventura con un’altra, che avesse detto alla moglie di smettere di far tanto rumore mentre masticava?
E suo padre, come aveva fatto a risposarsi dopo la morte della dolcissima madre di Ari?

    Keflavík ha pochi abitanti, ma si affollano tutti nelle pagine di “I pesci non hanno gambe”. La nonna Margrét e le sue crisi di depressione, il mitico nonno Oddur, i genitori di Ari, Ari stesso e la voce narrante che sembrerebbe il suo doppio, il cugino poliziotto che lo ispeziona ‘ a fondo’ all’aeroporto, la ragazzina che Ari aveva sbagliato a giudicare e che aveva cercato di suicidarsi in mare dopo uno stupro, il fratello della nonna che voleva nuotare fino alla luna (era quasi morto). E altri, e altri ancora.
    E il mare, che dà e prende. Il mare che rende uomini, perché quando sei in mare sai che puoi fare affidamento solo su te stesso. Il mare che ‘è più vasto della quotidianità’, che ‘tranquillizza, consola, e sminuisce i problemi della vita.’ Forse è per il mare che si torna a Keflavík, è il mare che è il collante di tutte le storie di questo romanzo che celebra l’amore- felice, tormentato, sofferente, riinventato, invecchiato- e che termina con la riflessione, ‘la cosa più dolorosa deve essere non avere amato abbastanza.’
   Un libro bellissimo.

la recensione sarà pubblicata su www.wuz.it






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