Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
Diaspora africana
FRESCO DI LETTURA
Okey Ndibe, “Il prezzo di Dio”
Ed. Clichy, trad. L. Taiuti,
pagg. 240, Euro 14,45
Titolo originale: Foreign Gods, inc
In realtà era proprio quella singola parola, “accento”, il motivo per il
quale si trovava all’aperto, quella notte, con la pestilenziale statua di un
dio premuta contro la spalla. Una parte di lui sentiva che era stata la volontà
collettiva dell’America a obbligarlo a sgattaiolare fuori di soppiatto, a
diventare un ladro. Ma sarebbe stato anche l’inizio della sua vendetta, se la
sua volontà fosse riuscita a resistere al potere della paura.
Okey Ndibe è stato nominato ‘scrittore
africano dell’anno 2014’. Di lui il premio Nobel Wole Soyinka ha detto,
‘Abbiamo in lui un nuovo talento. Era da tanto che non avvertivo una promessa
creativa di questo livello’. La piccola casa editrice Clichy ha pubblicato da
poco “Il prezzo di Dio”, secondo romanzo dello scrittore nigeriano di etnia
igbo, professore di letteratura africana e della diaspora africana presso la
Brown University, Rhode Island. Ambientato tra New York e Utonki, un villaggio
in Nigeria, “Il prezzo di Dio” è un romanzo rabbioso, la confessione della
frustrante situazione di un immigrato che non riesce ad inserirsi nel nuovo
mondo, una riflessione sulla deriva di questo nuovo mondo in cui tutto è in
vendita, tutto ha un prezzo, nessun valore è rispettato, mentre il finale è
l’amara consapevolezza della sconfitta.
Il protagonista si chiama Ike Uzondu. E
già questo nome è una sconfitta iniziale. Perché il suo vero nome è Ikechukwu,
ma è inutile lottare per cercare di farlo pronunciare correttamente in America.
Meglio accorciarlo in Ike che, ironia somma, è anche un nome famoso, quello del
generale Eisenhower. Ike fa il tassista. E’ un ripiego. Ha una laurea in
Economia ma gli è stato impossibile trovare un impiego adeguato: il suo accento
non è gradito, poco importa che le donne lo trovino adorabile, l’accento è
troppo rivelatore della sua provenienza, sa di Africa. Per un certo periodo Ike
ha sperato che, ottenendo la Green Card con il matrimonio, qualcosa potesse
cambiare, e invece sono solo aumentati i suoi problemi. La moglie sperperava i
suoi guadagni mentre la sorella lo tempestava di e-mail dalla Nigeria con
richieste pressanti di denaro per la madre e per lei stessa. Il divorzio ha
lasciato Ike sul lastrico, lui evita di aprire le buste che contengono solo
bollette da pagare. Finché, su segnalazione di un amico, ha un’idea. C’è una
galleria d’arte di New York specializzata nella vendita di statue di divinità
tribali. Ecco, Ike tornerà a Utonki, trafugherà la statua del dio della guerra
Ngene conservata nel tempio di cui suo zio è sommo sacerdote e la venderà in
America, risolvendo tutti i suoi problemi.
Le parole di elogio di Wole Soyinka mi hanno riportato alla mente un
episodio raccontato dal premio Nobel nella sua autobiografia, “Sul far del
giorno”- di come Wole Soyinka abbia favoreggiato una sorta di complotto per
riportare ‘a casa’ la testa di bronzo di una divinità Yoruba, di come il grande
il scrittore deprecasse il costume di tutti i colonialisti di appropriarsi di
arte indigena con spudoratezza, spogliandola di ogni sacralità.
Paradossalmente- e il romanzo di Okey Ndibe è a tratti paradossale e grottesco-
il nigeriano Ike fa il contrario di Soyinka, sottraendo la statua del dio Ngene
al suo popolo in un’azione che mostra fino a che punto la cultura o non-cultura
materialista e consumista lo abbia corrotto.
Al suo ritorno in Nigeria Ike è
frastornato. Non riconosce il luogo in cui è arrivato, non sa destreggiarsi tra
doganieri corrotti e richieste assillanti di soldi da ogni parte perché
l’America è il paese della cuccagna, fa fatica a dialogare con la madre succube
della religione ‘importata’ di Cristo che vede il diavolo in Ngene e nel suo
sacerdote. Nonostante tutto, nonostante che una paura oscura e strisciante si
faccia strada dentro di lui, alimentata da vecchie storie e leggende, Ike porta
a termine il suo piano. Con quale esito e quali conseguenze lo leggerete.
La storia di Ike può essere letta come un
insegnamento morale che implica una giusta condanna. Eppure proviamo pena per
questo uomo mediocre, questo antieroe strizzato da forze ostili sia nel suo
paese di origine sia in quello che ha scelto. Perché questo è chiaro: Ike non
pensa neppure lontanamente di tornare a vivere a Utonki. Per quanto
discriminato e perennemente in lotta per sopravvivere, la vita in America è
migliore di quella in Nigeria.
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