vento del Nord
il libro ritrovato
Jón Kalman Stefánsson, “Paradiso e inferno”
Ed. Iperborea, trad.
Silvia Cosimini, pagg. 231, Euro 16,00
Titolo originale: Himnaríki og helvíti
Imbocca
la valle a passo deciso, Bárður è morto.
Ha
letto una poesia ed è morto di freddo.
Ci
sono poesie che ti portano in luoghi dove le parole non arrivano, e neanche i
pensieri, ti portano dritte all’essenza stessa, la vita si ferma per lo spazio
di un istante e diventa bella, limpida di rimpianti e di felicità. Poesie che
ti cambiano la giornata, la notte, la vita. Poesie che ti portano a
dimenticare, a dimenticare la tristezza, la disperazione, ti dimentichi la
cerata, il gelo si impadronisce di te, preso! E sei morto. Chi muore si
trasforma immediatamente in passato.
Era negli anni in
cui probabilmente eravamo ancora vivi. La frase con cui inizia il breve
romanzo “Paradiso e Inferno” di Jón Kalman Stefánsson, definito uno dei migliori romanzi
islandesi degli ultimi anni, sembra uscita da una Spoon River dei ghiacci, il
racconto di coloro che sono ‘quasi tenebra’ e a cui restano solo i ricordi, che
peraltro si stanno affievolendo. Ti
parleremo di gente che viveva ai nostri giorni, più di cent’anni fa- ed
infatti, come unico riferimento temporale, troviamo, ad un certo punto, la
notizia di un romanzo appena pubblicato da Zola, di cui sono state vendute
centomila copie. Un numero che pare esorbitante in un paese così scarsamente
popolato come è l’Islanda e ancor più nel villaggio di pescatori dove vivono i
personaggi di cui quei ‘noi’ che sono la voce narrante ci parleranno.
Un uomo adulto, l’aitante Bárður, e il
ragazzo il cui nome non ci viene mai detto sono amici. Forse il ragazzo, che ha
perso prima il padre quando aveva sei anni e poi la madre e la sorellina, vede
in Bárður un appoggio, una figura a metà tra amico, fratello, padre. Hanno in
comune la passione della lettura, l’amore per le parole che risuonano come
musica in orecchie in cui echeggia solo il fragore del mare. Bárður sta
leggendo una traduzione del poema di Milton, “Il paradiso perduto”. Glielo ha
prestato un vecchio capitano cieco che ha una libreria con ben quattrocento
libri. Bárður è incantato dalla lettura. E’ stregato da quei versi. Legge, Nulla mi è delizia tranne te, e pensa
alla fidanzata. Legge fino all’ultimo minuto prima di rispondere alla chiamata
per uscire con la barca in mare. E scorda di prendere la cerata da infilarsi
sul maglione. Una dimenticanza fatale per chi esce a pesca sul mare Artico.
Tanto più che il tempo cambia, la tempesta di neve sorprende i pescatori al
largo. Bárður morirà di freddo, senza che il ragazzo possa fare nulla per
salvarlo: sarebbe inutile cedergli la sua, di cerata. Non gli va bene di
misura, sarebbero in due a morire.
Ogni volta che leggiamo un romanzo di
formazione osserviamo come ci siano delle prove fisse da superare, per
diventare adulti- la morte è, quasi sempre, il punto di svolta per chi si
affaccia alla vita. C’è un momento di sosta obbligata, quando ci si trova
davanti alla morte di chi ci è caro, per riflettere, per decidere, come fa il
ragazzo, se si voglia scegliere di continuare a vivere o di seguire l’altro
nella morte. E spesso la decisione è rimandata per il tempo di un viaggio-
oppure è già questa una scelta, affidandosi alla sorte degli imprevisti di un
percorso che è metafora della vita?
Il ragazzo parte. Con
l’ultimo ricordo dell’amico, il libro da restituire al capitano cieco, il libro
che parla di un paradiso che è andato perso. Anche il ragazzo ha perso il
paradiso, o la speranza del paradiso. Il sentiero che deve seguire per arrivare
al villaggio è pericoloso- altra cosa era stato farlo in due, con Bárður. Al
ragazzo non importa, se anche precipitasse sulle rocce, giù fino al mare.
Comunque arriva a destinazione. E inizia una lenta rinascita nella casa dove
alloggia una insolita ‘trinità’, con la vedova che condivide il letto dei
capitani di passaggio, la severa governante e il burbero capitano cieco a cui
il ragazzo leggerà ad alta voce.
“Paradiso e inferno” non è di certo un
libro d’azione, o di avventura. E’ un libro da assaporare ad ogni parola (ci sono parole che hanno il potere di
cambiare il mondo, capaci di consolarci e di asciugare le nostre lacrime), con
quel refrain che ci insegue, Nulla mi è
delizia tranne te (e lo si può riferire ad una persona amata di qualunque
sesso), che ci fa vivere nella rarefatta atmosfera nordica (e pensiamo alle
somiglianze e alle differenze con la tempesta nel Mediterraneo de “I
Malavoglia”), che ci fa apprezzare il valore dell’amicizia. E quello di una
salvifica letteratura.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
a breve pubblicherò la recensione del nuovo libro di Jón Kalman Stefánsson, "I pesci non hanno gambe". L'autore sarà presente al Nordic Festival (20 maggio-5 giugno, Milano).
Nessun commento:
Posta un commento