martedì 3 marzo 2015

Lavanya Sankaran, “Il tappeto rosso” ed. 2008

                                                     Voci da mondi diversi. Asia
                                                               il libro ritrovato


Lavanya Sankaran, “Il tappeto rosso”
Ed. Marcos y Marcos, trad. Gioia Guerzoni, pagg. 219, Euro 14,00

Otto storie, otto frammenti di vita a Bangalore, crocevia di passato e presente, di cultura tradizionale e contemporanea. Ramu, non più giovanissimo, decide di affidare alla madre il compito di trovargli una moglie; il signor D’Costa si preoccupa quando vede un cambiamento nella vita quotidiana della giovane coppia che abita vicino a lui; Sita, esperta analista finanziaria, si vede rubare un progetto prestigioso (da Ramu); due amici, che hanno studiato insieme e insieme hanno fatto l’esperienza americana per poi tornare in India, prendono strade diverse…

INTERVISTA A LAVANYA SANKARAN, autrice de “Il tappeto rosso”  

     Si permetta il gioco di parole- entra su un tappeto rosso nel mondo della letteratura, la scrittrice indiana Lavanya Sankaran, con la sua prima opera narrativa, “Il tappeto rosso”. Storie di Bangalore, dice il sottotitolo, perché il libro non è un romanzo, ma una raccolta di otto storie. Sono storie, non racconti, quelle che compongono “Il tappeto rosso”, come brevi filmati con la cinepresa che riprende la vita di questo o di quello, e poi unisce gli spezzoni a formare il quadro di una città, Bangalore, nel sud dell’India. E Lavanya Sankaran riesce ad aggirare l’ostacolo che rende i racconti- o le storie brevi- un genere non molto amato dai lettori, perché i protagonisti delle vicende cambiano, ma alcuni di loro si riaffacciano in altre scene, fanno capolino o passano veloci sullo sfondo di altre storie, con un ruolo che non è più di primo piano ma che contribuisce a dare pienezza al suo carattere. A farci pensare, ‘oh, eccolo di nuovo, questo lo conosciamo già, vediamo come si comporta adesso.’ Ed è come un sottile filo d’Arianna che ci guida, ci stuzzica, ci incuriosisce.

     “Questa è l’India…un paese che divide, un miscuglio esasperante di antichi valori e cultura pop moderna, di profonda saggezza e ignoranza totale”- è la riflessione di Priya, la ragazza che torna in India per scoprire le sue origini. E’ americana, Priya, perché è nata e cresciuta a Chicago? O è indiana perché i suoi genitori sono indiani? Ci sono delle sigle per indicare quelli come Priya o suo padre e sua madre. Questi ultimi sono FOB, fresh off the boat, appena sbarcati in America, stranieri anche se sono passati trent’anni dal loro arrivo. Priya, invece, è una ABCD, American Born Confused Desi, una dei tanti indiani disorientati nati in America. Che ritornano in India per capire se stessi, a quale luogo appartengano. E tutto è talmente cambiato dal tempo in cui la generazione precedente viveva lì e sentiva di non avere altra scelta che andarsene. Ecco, la parola “scelta”, insieme a “modernità”, è la chiave per comprendere la svolta dell’India. Tutto quello che un tempo era impensabile poter fare, le mete che era impossibile raggiungere- carriera, innovazione, successo, libertà personale- adesso è lì, a portata di mano. O di mente, senza dover compiere scelte. Si può avere questo e quello, la tradizione e la modernità. Il sari e i jeans attillati. Il risciò che per fortuna riesce a portare a tempo la donna che sta per partorire in ospedale e l’auto sportiva.
E se, nella scuola elitaria frequentata da Tara, il modello era quello inglese e sembrava che le studentesse studiassero per parlare con accento perfetto e inchinarsi con grazia davanti alla regina d’Inghilterra, ora si guarda all’America e la cultura non è più quella dei classici inglesi- o, almeno, non solo quella, perché è accostata dalla conoscenza necessaria di informatica e nuove tecnologie. Le donne sono quelle che, nella nuova India piena di contrasti, portano alla luce i cambiamenti maggiori. Guardate dagli uomini con lieve perplessità, uno sguardo incerto tra l’ammirazione e il rimpianto per l’immagine femminile della tradizione, con gli occhi bassi, i capelli lucidi di olio e il corpo nascosto nei drappeggi della seta. Come l’autista Rangappa, che stenderebbe un tappeto rosso sotto i piedi della signora che venera e di cui è a servizio, ma che si preoccupa quando la vede assumere atteggiamenti troppo modernamente sfacciati o indossare abiti troppo provocanti. D’altra parte Tara stessa, che avevamo visto studentessa irriverente e ribelle che stupiva le amiche con i discorsi sul sesso nella storia “Due quattro sei otto”, ritorna con un PhD americano in “Cip-cip gnam-gnam”, ventisettenne decisa a fare della carriera la sua priorità, per poi guardare incantata il suo riflesso nello specchio: si è provata il rosso sari nuziale della madre, la Tara di oggi è uguale alla nonna di settant’anni fa.
     Sapeva il lettore che Bangalore ospita il primo Istituto del Fumetto esistito in India, che vanta pure il primo rivenditore online in India, il primo oxygen bar e il più grande negozio di vini e formaggi? Lo scoprirà mentre segue le tracce dei personaggi della Sankaran in questa città che ha il complesso di essere lontana dai centri famosi come Bombay e Delhi e che finisce per essere la vera protagonista del libro. Abbiamo parlato con Lavanya Sankaran del suo libro e della nuova India.


Tutti sanno che i racconti, o le short stories, sono il genere più difficile, difficile da scrivere e difficile da essere apprezzato dai lettori. Ha scelto una maniera splendida per restare a metà strada tra il romanzo e il racconto, facendo riapparire alcuni personaggi. Perché ha scelto di non scrivere un romanzo e di collegare le storie in questo modo?
    Perché scrivendo racconti volevo catturare il paesaggio, il mondo intorno a me. I racconti mi permettevano di guardare il mondo da angoli diversi. Ci sono otto storie nel libro e sono otto diversi approcci. Sono collegati tra di loro perché in questo modo riuscivo a dare la sensazione che quello che raccontavo stesse accadendo nello stesso tempo: volevo che il libro catturasse un certo luogo in un certo tempo.

Nel libro Bangalore è rappresentata spesso in contrasto con Bombay e con Delhi: ogni città è diversa dalle altre, ma in quale maniera Bangalore è differente da Bombay e Delhi?
   Sono città molto diverse. Prendendo come metro di paragone delle città americane, direi che Bombay è come New York con un poco di Hollywood; Delhi è come Washington e Bangalore è come San Francisco. Bangalore è nello stesso tempo una città di successo- perché sta lasciando un segno nel mondo per le tecnologie dell’informazione e le altre industrie che stanno fiorendo- e una città rilassata, dove la vita è più semplice: non si costruisce così in grande come a Bombay, la gente non si compra auto così potenti, anche se ne ha i mezzi. Se c’è una parola per definire la vita a Bangalore, è ‘semplicità’.
Bombay
 Indiani che vanno via e non tornano, Indiani che vanno via e tornano per restare in India: ci sono entrambi i gruppi nel suo libro. Lei appartiene al secondo dei due: è una questione di appartenere a generazioni diverse? Una questione- come dice Lei in una delle storie- di possibilità di “scelta”, perché oggi c’è anche in India la possibilità di un brillante futuro?
    Sì, penso di sì. Adesso se scegli di vivere altrove e restare lontano dall’India è perché preferisci proprio vivere in un altro posto. Ma se hai una buona istruzione, adesso puoi scegliere di vivere in India.

Le è stato difficile riadattarsi alla vita in India, tornando dall’America?
    Un poco: erano gli anni ‘90, allora nessuno ritornava in India. In America gli amici mi chiedevano se fossi pazza, ma io avevo sempre pensato che sarei tornata. Mi era piaciuta la vita negli Stati Uniti, gli anni all’università sono stati straordinari, ma avvertivo forte la spinta di tornare a casa. E sì, sapevo di correre un rischio nel tornare, ma mi ero anche ripromessa che, se non funzionava, sarei tornata in America. Sono ancora in India: vuol dire che ha funzionato.

E come ha trovato la città, quando è tornata a Bangalore?

    Bangalore è sempre stata una città tranquilla; sono stata via per sei anni: sono partita che ero poco più che una bambina e sono tornata che ero un’adulta. L’ho lasciata che era una città affascinante ma senza un futuro, l’ho ritrovata che stava già cambiando. Ed è stato tutto così rapido; all’improvviso c’era molta gente che tornava dopo aver studiato all’estero, c’era una grande offerta di lavori di qualità internazionali.

Ha fatto studi di Economia: che cosa l’ha portata a diventare una scrittrice?
    Sì, ho studiato Economia e Scienze Politiche, ma la realtà è che ho sempre scritto. Sono stata una lettrice vorace e ho scritto fin da quando ho memoria. Era una scrittura privata, per me stessa; questo è il primo libro che viene pubblicato.

Sono cambiati in maniera uguale, gli uomini e le donne in India? Perché nel suo libro sembra che siano le donne quelle che hanno fatto un cambiamento maggiore.
    Le circostanze stesse della vita femminile hanno fatto sì che il cambiamento sia maggiore. In realtà è successo che c’è stata una vera e propria esplosione delle opportunità di lavoro: tutti quelli che hanno un’istruzione trovano lavoro. Una volta non era raro che un laureato facesse il cameriere, ma adesso c’è un’enorme richiesta di laureati, uomini e donne, senza distinzione. Certo, per le donne si tratta di combinare le nuove opportunità con la tradizione: una donna indiana non trascurerebbe mai la famiglia.

Tradizione e modernità, è sempre difficile mantenere un equilibrio tra di loro. Vede il pericolo che vada smarrito tutto quello che è affascinante della tradizione indiana sotto l’influenza americana che si diffonde ovunque?
    Gli indiani sono ossessionati dalla spiritualità. E stranamente, con il migliorare delle condizioni economiche, anche le classi medie e medio-alte ritornano alle radici spirituali che sono l’essenza della tradizione indiana. La spiritualità è il cuore dell’India: non è pura religione ma una ricerca del senso di chi tu sia. La spiritualità della nostra tradizione è un viaggio spirituale- e no, non temo che vada persa.

Nel libro non troviamo quasi riferimento al sistema di caste: è scomparso ovunque?
    No, non è scomparso ovunque, ma nel contesto moderno è meno importante. Ritorna ad essere di qualche rilievo per i matrimoni: ci si sposa nella propria comunità, anche se sta diventando sempre più comune sposarsi tra caste diverse e diverse religioni.

A proposito di religione: è fonte di contrasti in India?

   In India il 70% delle persone sono di religione indù, il 20% sono musulmani e l’8 o il 9% sono cristiani. Sono 5000 anni che la religione indù viene praticata in India, il cristianesimo c’è da 2000 anni e l’Islam da 1400: hanno avuto molto tempo per integrarsi. A Bangalore si trova di tutto: indù, cristiani, musulmani, atei…C’è posto per tutti, anche per i non religiosi. E no, non c’è niente di paragonabile al Pakistan, dove i dissidi religiosi vengono molto politicizzati.

E la lingua? A volte, leggendo scrittori indiani, ci dimentichiamo che l’India non è un paese di lingua inglese. In una delle storie, quella dell’autista, si dice che i servitori storpiano la pronuncia di “Madam”, dicendo “May-dum”. Che lingua parlano i personaggi del libro? Che lingua si insegna nelle scuole?
    In India ci sono 22 lingue ufficiali e 500 lingue in tutto, incluso i dialetti. L’inglese è la lingua del commercio, la lingua delle persone istruite che la parlano anche nei rapporti personali. La maggior parte degli indiani conosce tre lingue e spesso le usa mischiandole, mentre parla. Anche la pubblicità mescola le lingue: si può vedere in strada la pubblicità in un misto di inglese, kannada – che è la lingua che si parla a Bangalore- e hindi. Le scuole governative insegnano la lingua che si parla localmente come prima lingua e l’inglese come seconda, mentre le scuole private insegnano l’inglese come prima lingua. E i miei personaggi parlano in inglese, o mischiando l’inglese con il kannada.

Ci può dire qualcosa sul nuovo libro che sta scrivendo? Almeno se è un romanzo, quando è ambientato e dove?
    Non vorrei dire nulla. Dirò solo che sì, è un romanzo, ambientato a Bangalore nei tempi moderni
                                                                                                          M. Piccone


recensione e intervista sono stati pubblicati su "Il Sottoscritto"


Nessun commento:

Posta un commento