mercoledì 4 marzo 2015

Hakan Günday, “A con Zeta” ed. 2015

                                                     Voci da mondi diversi. Medio Oriente
                                                                 FRESCO DI LETTURA

Hakan Günday, “A con Zeta”
Ed. Marcos y Marcos, trad. Fulvio Bertuccelli, pagg. 447, Euro 15,30
Titolo originale: AZ

    La porta della stanza si aprì e, sulla soglia, apparve Derdâ con la zia che la spingeva tenendola per le spalle. In realtà, più che Derdâ apparvero i suoi occhi, l’unica parte del corpo lasciata scoperta. Derdâ posò prima lo sguardo su Ubeydullah e si sentì pervasa dalla paura. Poi vide Bezir e la sua paura si fece addirittura più grande. Si voltò verso la madre che le stava accanto e le tese la mano. La madre la tenne stretta per qualche attimo, ma poi la lasciò.

     Due storie, che in apparenza non hanno nulla in comune, in un solo romanzo. Due storie che ci intrigano subito quando vediamo i nomi dei due protagonisti all’inizio di ognuna delle due parti a loro dedicate: Derdâ e Derda. Un accento circonflesso sulla vocale finale che fa la differenza: Derdâ è una bambina di undici anni e Derda è un maschietto che ha la sua stessa età. Il titolo, semplicissimo, “A con Zeta”, contiene la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto: come in un cerchio l’inizio del romanzo si congiungerà con la fine e ci renderemo conto del filo sottile che unisce le due vicende e i due personaggi, come fossero l’una la versione femminile dell’altro.
    Conosciamo Derdâ la notte che succede qualcosa di drammatico. E’ in collegio, in una cittadina non nominata della Turchia. La bambina di sei anni che dorme sopra di lei nel letto a castello cade dall’alto e muore. Un caso? Lo stigma di una colpa che Derdâ, che non le ha voluto cedere il posto di sopra, si porterà dietro tutta la vita? E comunque Derdâ ritorna al villaggio con sua madre. Pensa che sia solo per una settimana, e invece la madre ha già preso accordi per ‘venderla’ in matrimonio ad un uomo molto più anziano che la porterà in Inghilterra e la terrà reclusa in un appartamento per cinque anni, violentandola e picchiandola a piacere. La sua infanzia le viene strappata a forza. A sedici anni Derdâ vede dallo spioncino un uomo, dal colore della pelle e dei capelli deve essere inglese. Riesce a mettergli in mano dei fogli con dei disegni in cui cerca di illustrare la sua situazione, il suo desiderio di fuga: Derdâ non sa neppure una parola di inglese.
Difficile dire se la sua vita peggiori oppure no, quando incomincia a frequentare Stanley ed un suo amico che richiedono da lei delle prestazioni particolari- sono amanti del sadomaso. Da qui sarà un precipitare verso un baratro che è, sì, la libertà con la fuga dall’appartamento prigione, ma anche una nuova schiavitù fatta di sesso, film porno (ah, il successo di una protagonista in chador), dipendenza dall’eroina. “E quindi uscimmo a riveder le stelle”, perché anche Derdâ, lo scoprirete, esce dall’inferno.
     Derda è tra i miseri della terra: è uno dei tanti bambini che pulisce le tombe al cimitero, sperando nell’elemosina dei parenti dei morti. Suo padre è in prigione, sua madre muore. Derda non vuole finire nell’orfanotrofio, seppellisce la madre dopo averla fatta a pezzi: è più traumatizzante questa fine dell’infanzia o quella di Derdâ? Quando, a sedici anni, è troppo grande per impietosire i parenti dei morti, un amico gli trova un lavoro presso uno stampatore di libri proibiti. Il modo in cui Derda impara a leggere è altrettanto strano quanto quello in cui Derdâ impara l’inglese. La tomba che puliva in maniera ossessiva era quella di un famoso scrittore, Oguz Atay. Quando Derda sente parlare di questo scrittore e delle sue idee rivoluzionarie, quando viene a sapere che è morto giovane, impara a leggere per poter capire i suoi libri e si mette in testa di doverlo vendicare. Sarà un massacro e Derda sconterà venticinque anni di prigione.

    Se questo è un veloce abbozzo delle due trame, senza svelare il finale e il ricongiungimento delle due storie, c’è molto altro dietro di esse. Se le crude storie dei due bambini sono prima di tutto un’accorata difesa dei diritti dell’infanzia, diventano poi la storia di due diversi imprigionamenti di cui sono responsabili la condizione femminile, l’ignoranza, la povertà, i pregiudizi. Nelle vicende di Derdâ e di Derda si mescolano pure le lotte tra le diverse etnie turche, tra i grandi commercianti di droga fra cui fanno anche capolino servizi segreti e spie.
     “A con Zeta” è a tratti un libro eccessivo, a tratti artificioso, a tratti grottesco e granguignolesco, a tratti addirittura sgradevole. E tuttavia questo romanzo, proclamato il miglior libro del 2011 in Turchia, si legge con piacere, alla ricerca di indizi che ci aiutino a comprendere la realtà di un paese da sempre sospeso tra Oriente e Occidente, tra arretratezza e modernità.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


   


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