Voci da mondi diversi. Medio Oriente
FRESCO DI LETTURA
Hakan Günday, “A con Zeta”
Ed. Marcos y Marcos, trad. Fulvio Bertuccelli, pagg. 447,
Euro 15,30
Titolo originale: AZ
La
porta della stanza si aprì e, sulla soglia, apparve Derdâ con la zia che la spingeva
tenendola per le spalle. In realtà, più che Derdâ apparvero i suoi occhi, l’unica parte del corpo
lasciata scoperta. Derdâ
posò prima lo sguardo su Ubeydullah e si sentì pervasa dalla paura. Poi vide
Bezir e la sua paura si fece addirittura più grande. Si voltò verso la madre
che le stava accanto e le tese la mano. La madre la tenne stretta per qualche
attimo, ma poi la lasciò.
Due storie, che in apparenza non hanno
nulla in comune, in un solo romanzo. Due storie che ci intrigano subito quando
vediamo i nomi dei due protagonisti all’inizio di ognuna delle due parti a loro
dedicate: Derdâ e Derda. Un accento
circonflesso sulla vocale finale che fa la differenza: Derdâ è una bambina di undici anni e Derda
è un maschietto che ha la sua stessa età. Il titolo, semplicissimo, “A con
Zeta”, contiene la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto: come in un cerchio
l’inizio del romanzo si congiungerà con la fine e ci renderemo conto del filo
sottile che unisce le due vicende e i due personaggi, come fossero l’una la
versione femminile dell’altro.
Conosciamo Derdâ
la notte che succede qualcosa di drammatico. E’ in collegio, in una cittadina
non nominata della Turchia. La bambina di sei anni che dorme sopra di lei nel
letto a castello cade dall’alto e muore. Un caso? Lo stigma di una colpa che Derdâ, che non le ha voluto cedere il posto
di sopra, si porterà dietro tutta la vita? E comunque Derdâ ritorna al villaggio con sua madre.
Pensa che sia solo per una settimana, e invece la madre ha già preso accordi
per ‘venderla’ in matrimonio ad un uomo molto più anziano che la porterà in
Inghilterra e la terrà reclusa in un appartamento per cinque anni,
violentandola e picchiandola a piacere. La sua infanzia le viene
strappata a forza. A sedici anni Derdâ
vede dallo spioncino un uomo, dal colore della pelle e dei capelli deve essere
inglese. Riesce a mettergli in mano dei fogli con dei disegni in cui cerca di
illustrare la sua situazione, il suo desiderio di fuga: Derdâ non sa neppure una parola di inglese.
Difficile dire se la sua vita peggiori oppure no, quando incomincia a
frequentare Stanley ed un suo amico che richiedono da lei delle prestazioni
particolari- sono amanti del sadomaso. Da qui sarà un precipitare verso un
baratro che è, sì, la libertà con la fuga dall’appartamento prigione, ma anche
una nuova schiavitù fatta di sesso, film porno (ah, il successo di una
protagonista in chador), dipendenza dall’eroina. “E quindi uscimmo a riveder le stelle”, perché anche Derdâ, lo scoprirete, esce dall’inferno.
Derda è tra i miseri della terra: è uno dei tanti bambini che pulisce le
tombe al cimitero, sperando nell’elemosina dei parenti dei morti. Suo padre è
in prigione, sua madre muore. Derda non vuole finire nell’orfanotrofio,
seppellisce la madre dopo averla fatta a pezzi: è più traumatizzante questa
fine dell’infanzia o quella di Derdâ? Quando, a sedici anni, è troppo grande per impietosire i
parenti dei morti, un amico gli trova un lavoro presso uno stampatore di libri
proibiti. Il modo in cui Derda impara a leggere è altrettanto strano quanto
quello in cui Derdâ
impara l’inglese. La tomba che puliva in maniera ossessiva era quella di un
famoso scrittore, Oguz Atay. Quando Derda sente parlare di questo scrittore e
delle sue idee rivoluzionarie, quando viene a sapere che è morto giovane, impara
a leggere per poter capire i suoi libri e si mette in testa di doverlo
vendicare. Sarà un massacro e Derda sconterà venticinque anni di prigione.
Se questo è un veloce abbozzo delle due trame, senza svelare il finale e
il ricongiungimento delle due storie, c’è molto altro dietro di esse. Se le
crude storie dei due bambini sono prima di tutto un’accorata difesa dei diritti
dell’infanzia, diventano poi la storia di due diversi imprigionamenti di cui
sono responsabili la condizione femminile, l’ignoranza, la povertà, i pregiudizi.
Nelle vicende di Derdâ
e di Derda si mescolano pure le lotte tra le diverse etnie turche, tra i grandi
commercianti di droga fra cui fanno anche capolino servizi segreti e spie.
“A con Zeta” è a tratti un libro eccessivo, a tratti artificioso, a
tratti grottesco e granguignolesco, a tratti addirittura sgradevole. E tuttavia
questo romanzo, proclamato il miglior libro del 2011 in Turchia, si legge con
piacere, alla ricerca di indizi che ci aiutino a comprendere la realtà di un
paese da sempre sospeso tra Oriente e Occidente, tra arretratezza e modernità.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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