martedì 26 agosto 2014

Zhang Jie, Intervista all'autrice di "Senza parole" 2008

Voci da mondi diversi. Cina


Zhang Jie durante l'intervista del 2008

 Una delle prime cose che ci dice l’interprete cinese della scrittrice Zhang Jie, quando sente che l’intervista verrà ‘pubblicata’ nel sito di Wuz, è che questa è una strana coincidenza: il titolo originale in cinese di “Senza parole” suona proprio come wuz, quasi non credeva alle sue orecchie quando lo ha sentito. E ci avvisa che Zhang Jie non ama domande che esulino dal contesto del suo romanzo…

Il titolo del romanzo è “Senza parole”: non ci sono parole per dire tutto sulla complessa storia della Cina? O lascia senza parole l’asprezza degli eventi della storia in Cina?
    Sì, è proprio così: la spiegazione del titolo è in entrambi questi motivi. Ho scritto milioni di parole ma ugualmente non esprimo tutto quello che vorrei. Mi sono state fatte tante domande sul titolo, ma le sue domande corrispondono all’interpretazione più giusta. Certamente è capitato anche a lei, è anche una sua esperienza personale, quella di non riuscire a trovare le parole quando le accade qualcosa di così triste che è sopraffatta, ammutolita dal dolore. Senza parole per scriverne.

Lei ha detto che ha impiegato dodici anni per scrivere questo romanzo: che cosa ha richiesto tanto tempo? La ricerca del modo giusto per dire la storia? Selezionare quello che voleva dire?
      Ho impiegato dodici anni per intervistare tanti personaggi storici che sanno cose molto diverse da quelle che ci vengono ammannite dai normali canali di informazione. E poi c’è un altro motivo ancora per cui ho impiegato tanto tempo: volevo scrivere un romanzo capolavoro e, dal punto di vista artistico, io sono molto severa con me stessa. Rifletto a lungo persino sulla posizione di un carattere di scrittura, se devo metterlo prima o dopo. Un mio giovane amico me ne ha chiesto il perché, intanto il lettore non bada a questi dettagli. Ma a me quello non importa, io bado ai dettagli. E’ come il falegname che intaglia un mobile e ci vuole tanto tempo per fare un lavoro così anche su un mobile piccolo. Gli si potrebbe chiedere a che cosa serve tanta fatica, ad esempio sul lato che appoggia al muro, nessuno lo vedrà. Ma il falegname dirà, “io però lo vedo”. Ho scritto il romanzo con metodo, con la stessa accuratezza con cui si scrivono poesie. E mi sono stancata tantissimo a scrivere al computer, mi sono rovinata la vista e ho avuto altri disturbi conseguenti alla tensione.

Chi c’è dietro le tre donne protagoniste del romanzo?
     Non prendo mai una sola persona come modello per i miei personaggi; la mia opera è come il mare che raccoglie tutte le acque del fiume. E ci sono le gocce di ogni fiume nel mare ma è impossibile distinguere a quale fiume appartengano le singole gocce. Questa è la differenza tra la vera letteratura e la letteratura commerciale. Il significato di questo libro è in questo mare.

La follia di Wu Wei: è soltanto una ragione personale che porta Wu Wei alla follia, o la sua è una metafora per la follia come risultato del passato della Cina?
     Non rispondo mai alle interpretazioni del lettore: preferisco che il lettore interpreti come vuole. A volte l’interpretazione del lettore è inaspettata. Non voglio vantarmi, ma ritengo che un bel romanzo debba lasciare molto spazio ai lettori.

L’ambientazione storica del romanzo ricopre maggiormente gli anni della guerra Cina-Giappone e poi quelli della guerra tra nazionalisti e comunisti. Come mai non affronta gli anni della Rivoluzione Culturale? Saranno per un altro romanzo?
    Ci sono altri due romanzi dopo questo, e in questi romanzi che sono un tutto unico c’è la storia di 100 anni di Cina, ad iniziare dalla guerra dell’oppio del 1840. Non si svolgono in maniera cronologica ma c’è un intreccio di tempi, come già si vede in questo libro.

 Quale è stata la sua esperienza durante la Rivoluzione Culturale?
campo di lavoro in Cina
    Sono un’intellettuale e a Mao non erano graditi gli intellettuali, perciò sono stata mandata in un campo di rieducazione per tre o quattro anni: il lavoro era molto pesante, mi sono ammalata, ho avuto problemi con la schiena…Mao non ha dato fiducia alla classe intellettuale. E per me è stato un grande riconoscimento, aver ricevuto ora un premio da parte del governo comunista per questo romanzo.

Nel romanzo è citato un libro, “Il sogno della camera rossa”, che ho trovato menzionato anche in altri romanzi di autori cinesi: è un testo così fondamentale nella cultura cinese?

    Per me non è un libro molto importante, non mi piace neppure. E’ sempre citato perché non venivano scritti romanzi nella letteratura cinese, il romanzo è una forma letteraria occidentale. Le opere più belle della letteratura cinese sono quelle di poesia, di un tipo di poesia in forma libera che può avere anche un solo carattere in un verso. E’ una forma di poesia che è l’opposto di quella rigida tradizionale che segue regole ferree. Ci vuole preparazione per questa poesia e ci sono pochi lettori. E ci sono solo tre o quattro romanzi classici nella storia della letteratura cinese.

Ho letto con entusiasmo il suo romanzo, rallegrandomi che sia stato tradotto. In un libro di uno scrittore cinese che ho letto di recente, un personaggio accusa il mondo occidentale di sapere poco della letteratura cinese, mentre i cinesi conoscono piuttosto bene i grandi scrittori del mondo occidentale. Di chi è la responsabilità per la nostra mancanza di cultura? Della scarsa curiosità degli occidentali o della cortina di segretezza che ha sempre avvolto fino a tempi recenti l’Oriente?
     Per nessuno dei due motivi. E’ un problema di lingue troppo diverse, questo è stato l’ostacolo per lo scambio culturale. La traduzione italiana di questo romanzo, ad esempio, ha una ventina di pagine in meno dell’originale, perché troppo difficile da tradurre.

E tuttavia la diversità delle lingue non ha frenato la traduzione dalle altre lingue, dall’inglese ad esempio, in cinese- come mai?
     Perché i cinesi sono così intelligenti e ci sono tanti studiosi che conoscono benissimo l’inglese… Il cinese è curioso e aperto e supera le difficoltà. Ritengo che i cinesi siano più intelligenti degli ebrei che hanno la fama di essere intelligentissimi. Sono curiosi e sopportano la fatica, sono più temprati. Non so quanti scrittori ci siano, come me, che impiegano dodici anni per scrivere un romanzo. Ho fatto grande fatica ma sono ricompensata- anche se questa ricompensa mi è costata lacrime di fatica.

Lei ha vissuto in prima persona i più grandi e traumatizzanti avvenimenti del secolo XX e ora assiste ad un grande cambiamento. Ma è radicalmente cambiata la Cina o lo è solo in superficie che è diversa?

    La Cina è veramente cambiata molto: vent’anni fa, ad esempio, mai avrei potuto pubblicare questo romanzo, per la censura. E ora la Cina è aperta al mondo, si sa tutto immediatamente- ad esempio lo scandalo del latte ha avuto subito risonanza. Una volta non sarebbe successo che la notizia trapelasse. Niente ormai può fermare la Cina: l’economia cinese fa parte dell’economia mondiale.

l'intervista è stata pubblicata su www.wuz.it

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