domenica 24 agosto 2014

Anne-Marie Garat, "Il quaderno ungherese"- Intervista 2009

                                                       Voci da mondi diversi. Francia                                          
                                                        il libro ritrovato

               

INTERVISTA  ad Anne –Marie Garat, autrice de “Il quaderno ungherese”


   Sono lieta di intervistare Anne-Marie Garat, perché ho vissuto- letteralmente vissuto- in compagnia dei personaggi del suo libro per una settimana e continuo a pensare a loro, anche a lettura terminata. Mi interessa saperne di più e sono felicissima di sentire che ne saprò veramente di più, perché “Il quaderno ungherese” è il primo romanzo di una trilogia, e, soprattutto, che posso anche abbandonare il lutto per uno dei personaggi che credevo morto- no, è solo disperso in guerra, non è morto…Ma ascoltiamo quello che Anne-Marie Garat ci dice del suo libro.
  
Il suo romanzo è straordinario, cioè fuori dell’ordinario, uno straordinario tour-de-force narrativo in cui il tempo in cui si svolge la trama è breve, ma i personaggi sono molti e molti i filoni intrecciati. Come è nata l’idea, quanto tempo le ha richiesto la ricerca e la preparazione del materiale?
       All’inizio il tema del romanzo era il soggetto- in due pagine- per uno sceneggiato televisivo. Non ha funzionato- questo era quindici anni fa. L’ho messo da parte, l’ho dimenticato- no, non è vero, è rimasto dormiente nella mia testa, ha proliferato con intrighi e personaggi. Ma non l’ho scritto perché sarebbe stato un romanzo diverso da quelli ‘che andavano’- sarebbe stato un romanzo fiume, drammatico, anzi, melodrammatico. E tutto questo era un genere proibito. Io stessa, che avevo scritto finora tutt’altro genere di romanzi, dovevo liberarmi dagli schemi per poterlo scrivere: alla fine mi sono regalata il piacere di scrivere questo romanzo. E’ stata un’impresa enorme e tuttavia le difficoltà mi appassionavano.
Quanto al tempo della ricerca: non ho fatto nessuna ricerca organizzata. Ho letto molto, documenti, saggi, ho anche fatto delle ricerche quasi maniacali, ma solo quando ne avevo bisogno. Per me viene prima la forma romanzesca, l’intrigo, la forza dei personaggi. Perciò ho cercato delle informazioni scientifiche solo quando il romanzo lo richiedeva. Andavo in biblioteca a leggere la stampa dell’epoca, i dibattiti politici e poi i giorni della Settimana Rossa a Venezia: per l’intrigo avevo bisogno che ci fosse l’incontro tra bellezza e violenza.

E, sempre parlando della ‘costruzione’ del romanzo: è l’affascinante personaggio di Gabrielle il primo che ha creato? Perché ‘doveva’ essere ungherese?
     No, il libro inizia con l’immagine della vecchia e dell’orfana: sono due figure che fanno parte dell’immaginario collettivo, che tutti riescono a immaginare. In tutto il libro ci sono continui riferimenti alla letteratura del secolo XIX e XX- ma non voglio intimidire il lettore, non voglio fare delle lezioni di storia o di cultura: il lettore deve essere trascinato via da quello che legge. Deve solo sapere che ci sono fotografie, film, citazioni, a cui rendo amorosamente omaggio. Ci sono delle opere- come il quadro del Giorgione, “La tempesta”- che contano nella mia vita e non li trasferisco come fantasmi nel romanzo.
“Il quaderno ungherese” è un romanzo di oggi: io, donna del XXI secolo, posso scrivere questo oggi perché prima di me tutto questo è stato fatto. Io sono formata da questa eredità e le rendo omaggio.

Il tema centrale del libro: le armi chimiche e le potenze che ci sono dietro. Il romanzo è ambientato nel 1913- la prima guerra mondiale che sta per scoppiare vedrà per la prima volta l’uso dei gas letali. Ma noi naturalmente pensiamo anche alla guerra più recente in Iraq: c’era anche nella sua mente, questo parallelo, mentre scriveva il romanzo?
     Ha ragione per quello che riguarda la guerra chimica: io, come donna della mia epoca, rivisito quel tempo. La guerra del ‘14-‘18 inaugura il secolo ed è la fonte di tutte le questioni di oggi. In fin dei conti il 1914 è ieri mattina; tutte le questioni moderne, l’esplosione di scoperte scientifiche, l’immunologia, la genetica, le armi chimiche, l’automobile, l’aereo: noi siamo i figli di questo secolo. Così anche Sarajevo, la questione dei Balcani- tutta la questione dell’Europa deriva da lì.
  
Perché Gabrielle doveva essere un’orfana e perché ungherese?
     Un’orfana: la scomparsa della madre e la questione dell’affiliazione è un tema che ritorna nella letteratura. L’orfana è una figura del melodramma ma è anche una questione a cui non ho ancora trovato risposta- ho scritto cose sulla pittura, su quadri con la nascita, l’annunciazione…Perché Gabrielle è ungherese? Cerco di rispondere a questa domanda in un libro di 50 pagine che ho scritto, intitolato per l’appunto, “Ungheria”. Perché l’Ungheria? Non sono ungherese. Perché l’ungherese è la lingua a me più straniera nell’Europa. Mi serve da scrittura nel quaderno segreto, è come una lingua cifrata. Per me scrittrice la lingua cifrata è quella che non conosco, che devo cercare come scrittrice, come lingua della letteratura. Diventa una figura simbolica, perché è la lingua più enigmatica in Europa. E il mio soggetto è l’Europa, come si vedrà negli altri tre libri della serie, ambientati nel 1933 e nel 1963.

Il titolo originale è “Dans la main du diable”, in italiano “Il quaderno ungherese” che è meno, per così dire, infernale. Che cosa voleva sottolineare, con le parole del titolo?

   In realtà il titolo italiano è quello che io avevo dato originariamente al mio romanzo. Il titolo francese rispecchia un modo di dire francese: essere in mano del diavolo significa che il mio destino è tragico, che sono nelle mani di chi mi vuole male. Ma per me è la mano dello scrivano: prima della caduta di Adamo ed Eva non c’è alcuna storia, sono in un non tempo nel giardino dell’Eden. Il tempo umano incomincia con la colpa, quando vengono cacciati diventano mortali e iniziano una storia. E’ il diavolo che comincia la storia che non può essere che tragica: è il diavolo lo scrivano, è lui che disegna il destino.

Leggendo “Il quaderno ungherese”, sono tanti i richiami ai romanzi famosi che ci vengono alla mente, tutti trasformati e adattati ad un’altra realtà sociale. Ad iniziare dal personaggio di Gabrielle- pensiamo a Jane Eyre, la più famosa istitutrice della letteratura. E tuttavia Gabrielle è già sulla strada del femminismo…
      Gabrielle è una Jane Eyre emancipata, ma lo sono anche tutte le altre donne, Sophie, e Mathilde che dove essere l’uomo che non è. Persino Blanche che si mutila è in segno di rivolta alla condizione femminile. Anche Mauranne, vittima di incesto: tutte le donne sono nel XX secolo e le donne del 1914 hanno preso su di sé tutto il lavoro degli uomini. Gabrielle è un personaggio d’amore, non sentimentale, è vitale: sfida le forze del Male. La nostra letteratura contemporanea, Houellebecq ad esempio, è la letteratura della disperazione che interroga il Male vittorioso. Gabrielle no: Gabrielle ripara la tazza tanto amata da Mathilde. Gabrielle è una riparatrice, riunisce i pezzi, aggiusta.

Per le scene ambientate in Birmania, ci viene in mente “Cuore di tenebra” di Conrad, anche se questo si svolge in Congo; e naturalmente pensiamo a Balzac nella pittura della borghesia francese, e anche a Thomas Mann, sia “I Buddenbrook” sia “Morte  a Venezia”…Ho trovato affascinante il percorso di richiami letterari nel suo romanzo. Ma non è finita, perché- per quello che riguarda il filone degli assassinii e dello spionaggio- quali sono gli autori di riferimento, per lei?
    L’assassinio di Clarisse è un’immagine popolare tratta dalla rivista dell’epoca, Petit Journal Illustré. Era una rivista con una grande immagine in prima pagina e notizie sensazionali, storie di anarchici, di attentati. Per il resto non mi pare di aver fatto riferimento alla letteratura di genere dell’epoca.

Il quadro che Lei fa del matrimonio è agghiacciante: anche in questo tema c’è un’allusione al rovesciamento della situazione, alla progressiva scomparsa del matrimonio nella nostra epoca?
        La crisi della condizione femminile va di pari passo con la crisi del matrimonio. Nel romanzo ci sono però storie di passione, come quella di Gabrielle e Pierre, che continua nei libri seguenti.

Ah, allora non è morto, Pierre!

     “Il quaderno ungherese” resta ambiguo su di questo, Pierre scompare nella guerra, ma no, non è morto, anche se bisogna vedere a che prezzo sopravvive, come tutti gli uomini che hanno combattuto nel 1914. E’ un uomo spezzato, un uomo che è uscito dalla tomba. Gabrielle va a cercarlo. Ricorda la spilla che Gabrielle riceve in regalo da Sophie? Quella con l’immagine di Orfeo? Nella spilla c’è il suo destino, è quello che fa lei. Gabrielle ha la forza di scendere nella tomba e tirar fuori Pierre. Gabrielle sfida anche la morte, è capace di cercare la vita.

l'intervista è stata pubblicata su www.stradanove.net


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