Voci da mondi diversi. Francia
il libro ritrovato
INTERVISTA ad Anne –Marie Garat,
autrice de “Il quaderno ungherese”
Sono lieta di intervistare Anne-Marie Garat, perché ho vissuto- letteralmente
vissuto- in compagnia dei personaggi del suo libro per una settimana e continuo
a pensare a loro, anche a lettura terminata. Mi interessa saperne di più e sono
felicissima di sentire che ne saprò veramente di più, perché “Il quaderno
ungherese” è il primo romanzo di una trilogia, e, soprattutto, che posso anche
abbandonare il lutto per uno dei personaggi che credevo morto- no, è solo
disperso in guerra, non è morto…Ma ascoltiamo quello che Anne-Marie Garat ci
dice del suo libro.
Il suo romanzo è straordinario, cioè fuori dell’ordinario, uno
straordinario tour-de-force narrativo in cui il tempo in cui si svolge la trama
è breve, ma i personaggi sono molti e molti i filoni intrecciati. Come è nata
l’idea, quanto tempo le ha richiesto la ricerca e la preparazione del
materiale?
All’inizio il tema del romanzo era il
soggetto- in due pagine- per uno sceneggiato televisivo. Non ha funzionato-
questo era quindici anni fa. L’ho messo da parte, l’ho dimenticato- no, non è
vero, è rimasto dormiente nella mia testa, ha proliferato con intrighi e
personaggi. Ma non l’ho scritto perché sarebbe stato un romanzo diverso da
quelli ‘che andavano’- sarebbe stato un romanzo fiume, drammatico, anzi,
melodrammatico. E tutto questo era un genere proibito. Io stessa, che avevo
scritto finora tutt’altro genere di romanzi, dovevo liberarmi dagli schemi per
poterlo scrivere: alla fine mi sono regalata il piacere di scrivere questo
romanzo. E’ stata un’impresa enorme e tuttavia le difficoltà mi appassionavano.
Quanto al tempo della ricerca:
non ho fatto nessuna ricerca organizzata. Ho letto molto, documenti, saggi, ho
anche fatto delle ricerche quasi maniacali, ma solo quando ne avevo bisogno.
Per me viene prima la forma romanzesca, l’intrigo, la forza dei personaggi.
Perciò ho cercato delle informazioni scientifiche solo quando il romanzo lo
richiedeva. Andavo in biblioteca a leggere la stampa dell’epoca, i dibattiti
politici e poi i giorni della Settimana Rossa a Venezia: per l’intrigo avevo
bisogno che ci fosse l’incontro tra bellezza e violenza.
E, sempre parlando della ‘costruzione’ del romanzo: è l’affascinante
personaggio di Gabrielle il primo che ha creato? Perché ‘doveva’ essere ungherese?
No, il libro inizia con l’immagine della
vecchia e dell’orfana: sono due figure che fanno parte dell’immaginario
collettivo, che tutti riescono a immaginare. In tutto il libro ci sono continui
riferimenti alla letteratura del secolo XIX e XX- ma non voglio intimidire il
lettore, non voglio fare delle lezioni di storia o di cultura: il lettore deve
essere trascinato via da quello che legge. Deve solo sapere che ci sono
fotografie, film, citazioni, a cui rendo amorosamente omaggio. Ci sono delle
opere- come il quadro del Giorgione, “La tempesta”- che contano nella mia vita
e non li trasferisco come fantasmi nel romanzo.
“Il quaderno ungherese” è un romanzo
di oggi: io, donna del XXI secolo, posso scrivere questo oggi perché prima di
me tutto questo è stato fatto. Io sono formata da questa eredità e le rendo
omaggio.
Il tema centrale del libro: le armi chimiche e le potenze che ci sono
dietro. Il romanzo è ambientato nel 1913- la prima guerra mondiale che sta per
scoppiare vedrà per la prima volta l’uso dei gas letali. Ma noi naturalmente
pensiamo anche alla guerra più recente in Iraq: c’era anche nella sua mente,
questo parallelo, mentre scriveva il romanzo?
Ha ragione per quello che riguarda la
guerra chimica: io, come donna della mia epoca, rivisito quel tempo. La guerra
del ‘14-‘18 inaugura il secolo ed è la fonte di tutte le questioni di oggi. In
fin dei conti il 1914 è ieri mattina; tutte le questioni moderne, l’esplosione
di scoperte scientifiche, l’immunologia, la genetica, le armi chimiche,
l’automobile, l’aereo: noi siamo i figli di questo secolo. Così anche Sarajevo,
la questione dei Balcani- tutta la questione dell’Europa deriva da lì.
Perché Gabrielle doveva essere un’orfana e perché ungherese?
Un’orfana: la scomparsa della madre e la
questione dell’affiliazione è un tema che ritorna nella letteratura. L’orfana è
una figura del melodramma ma è anche una questione a cui non ho ancora trovato
risposta- ho scritto cose sulla pittura, su quadri con la nascita,
l’annunciazione…Perché Gabrielle è ungherese? Cerco di rispondere a questa
domanda in un libro di 50 pagine che ho scritto, intitolato per l’appunto,
“Ungheria”. Perché l’Ungheria? Non sono ungherese. Perché l’ungherese è la
lingua a me più straniera nell’Europa. Mi serve da scrittura nel quaderno
segreto, è come una lingua cifrata. Per me scrittrice la lingua cifrata è
quella che non conosco, che devo cercare come scrittrice, come lingua della
letteratura. Diventa una figura simbolica, perché è la lingua più enigmatica in
Europa. E il mio soggetto è l’Europa, come si vedrà negli altri tre libri della
serie, ambientati nel 1933 e nel 1963.
Il titolo originale è “Dans la main du diable”, in italiano “Il
quaderno ungherese” che è meno, per così dire, infernale. Che cosa voleva
sottolineare, con le parole del titolo?
In realtà il titolo
italiano è quello che io avevo dato originariamente al mio romanzo. Il titolo
francese rispecchia un modo di dire francese: essere in mano del diavolo
significa che il mio destino è tragico, che sono nelle mani di chi mi vuole
male. Ma per me è la mano dello scrivano: prima della caduta di Adamo ed Eva
non c’è alcuna storia, sono in un non tempo nel giardino dell’Eden. Il tempo
umano incomincia con la colpa, quando vengono cacciati diventano mortali e
iniziano una storia. E’ il diavolo che comincia la storia che non può essere
che tragica: è il diavolo lo scrivano, è lui che disegna il destino.
Leggendo “Il quaderno ungherese”, sono tanti i richiami ai romanzi
famosi che ci vengono alla mente, tutti trasformati e adattati ad un’altra
realtà sociale. Ad iniziare dal personaggio di Gabrielle- pensiamo a Jane Eyre,
la più famosa istitutrice della letteratura. E tuttavia Gabrielle è già sulla strada
del femminismo…
Gabrielle è una Jane
Eyre emancipata, ma lo sono anche tutte le altre donne, Sophie, e Mathilde che
dove essere l’uomo che non è. Persino Blanche che si mutila è in segno di
rivolta alla condizione femminile. Anche Mauranne, vittima di incesto: tutte le
donne sono nel XX secolo e le donne del 1914 hanno preso su di sé tutto il
lavoro degli uomini. Gabrielle è un personaggio d’amore, non sentimentale, è
vitale: sfida le forze del Male. La nostra letteratura contemporanea, Houellebecq
ad esempio, è la letteratura della disperazione che interroga il Male
vittorioso. Gabrielle no: Gabrielle ripara la tazza tanto amata da Mathilde.
Gabrielle è una riparatrice, riunisce i pezzi, aggiusta.
Per le scene ambientate in Birmania, ci viene in mente “Cuore di
tenebra” di Conrad, anche se questo si svolge in Congo; e naturalmente pensiamo
a Balzac nella pittura della borghesia francese, e anche a Thomas Mann, sia “I Buddenbrook”
sia “Morte a Venezia”…Ho trovato
affascinante il percorso di richiami letterari nel suo romanzo. Ma non è
finita, perché- per quello che riguarda il filone degli assassinii e dello
spionaggio- quali sono gli autori di riferimento, per lei?
L’assassinio di Clarisse è un’immagine
popolare tratta dalla rivista dell’epoca, Petit
Journal Illustré. Era una rivista con una grande immagine in prima pagina e
notizie sensazionali, storie di anarchici, di attentati. Per il resto non mi
pare di aver fatto riferimento alla letteratura di genere dell’epoca.
Il quadro che Lei fa del matrimonio è agghiacciante: anche in questo
tema c’è un’allusione al rovesciamento della situazione, alla progressiva
scomparsa del matrimonio nella nostra epoca?
La crisi della
condizione femminile va di pari passo con la crisi del matrimonio. Nel romanzo
ci sono però storie di passione, come quella di Gabrielle e Pierre, che
continua nei libri seguenti.
Ah, allora non è morto, Pierre!
“Il quaderno ungherese”
resta ambiguo su di questo, Pierre scompare nella guerra, ma no, non è morto, anche
se bisogna vedere a che prezzo sopravvive, come tutti gli uomini che hanno
combattuto nel 1914. E’ un uomo spezzato, un uomo che è uscito dalla tomba.
Gabrielle va a cercarlo. Ricorda la spilla che Gabrielle riceve in regalo da
Sophie? Quella con l’immagine di Orfeo? Nella spilla c’è il suo destino, è
quello che fa lei. Gabrielle ha la forza di scendere nella tomba e tirar fuori
Pierre. Gabrielle sfida anche la morte, è capace di cercare la vita.
l'intervista è stata pubblicata su www.stradanove.net
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