Voci da mondi diversi. Cina
il libro ritrovato
Follia pubblica e privata in Cina
Ha Jin, “Pazzia”
Saggezza nella follia, come in
“Amleto” e “Re Lear”, in questo nuovo romanzo dello scrittore cinese Ha Jin. E’
veramente pazzo il professor Yang, dopo l’ictus che ha avuto, o dice quello che
pensa usando lo schermo della follia? Lo studente Jian, che lo assiste in
ospedale, ascolta sconcertato, con stupore e a volte con disgusto, il suo
stimato professore ripetere le frasi fatte della propaganda maoista di
vent’anni prima (ma non era stato una vittima della Rivoluzione Culturale?),
parlare con lascivia di una donna che non è certo sua moglie, recitare a
memoria dei versi di Dante interrogandosi sulla salvezza della sua anima. Ma è
soprattutto quello che il professore dice sulla sua scelta di vita a turbare Jian
che finirà per abbandonare gli studi per il dottorato: tutti gli studiosi, tutti quelli che si nutrono di carta e di
inchiostro e che credono nella poesia, sono dei pazzi. Non c’è niente di vero
nella poesia, “è tutta la vita che mi imbroglia. La gente che se ne frega della
poesia vive benissimo e sguazza nel benessere e nelle comodità”. E gli
intellettuali in Cina sono solo degli stupidi impiegati del governo, degli
automi senz’anima. E mentre tutte le certezze crollano intorno a Jian che perde
anche la possibilità di diventare un funzionario e viene abbandonato dalla
fidanzata, fuori dalle mura dell’ospedale un’altra follia sta maturando.
E’
l’aprile del 1989 e a Pechino gli studenti preparano la manifestazione contro
la corruzione dei burocrati, ma la manifestazione finirà in un bagno di sangue,
quando l’esercito spara sulla folla. Non resta che la via dell’esilio per Jian
che si è unito agli studenti, perché ormai è un controrivoluzionario, e
riflette con amarezza che la Cina è “come una vecchia megera decrepita, così
pazza da divorare i propri figli pur di mantenersi in vita”. Un romanzo
profondo e bellissimo che ruota intorno a due personaggi che sono, alla fin
fine, la stessa persona in due età diverse della vita, o quello che uno sarebbe
potuto diventare se avesse fatto delle scelte diverse e che si interroga
sull’eterno contrasto tra valori spirituali e materiali, tra beni di consumo e
oggetti di cultura. E se il grido finale del professor Yang morente è “Salvala!”, intendendo forse che Jian debba salvare la sua anima o forse strappare la sua ex-fidanzata da un matrimonio opportunista, altrettanto angosciante è l’altra implorazione, “Salvate i libri! Non bruciateli”, che evoca immagini di falò di libri in epoca nazista e lanciafiamme in “Fahrenheit 451”. Pazzia privata e pazzia pubblica in un libro da leggere e su cui riflettere.
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