venerdì 1 settembre 2017

Eka Kurniawan, “La bellezza è una ferita” ed. 2017

                                                    Voci da mondi diversi. Asia
            saga 
            FRESCO DI LETTURA

Eka Kurniawan, “La bellezza è una ferita”
Ed. Marsilio, trad. Norman Gobetti, pagg. 489, Euro 19,90


   Il pomeriggio di un fine settimana di marzo Dewi Ayu risorse dopo ventun anni che era morta. 
Questo l’inizio del romanzo “La bellezza è una ferita” dello scrittore indonesiano Eka Kurniawan, un inizio che ci catapulta nell’atmosfera del libro, ambientato a Giava, nella immaginaria cittadina di Halimunda, in un tempo che va da poco prima della seconda guerra mondiale, quando gli olandesi sono ancora padroni dell’isola, agli anni seguenti alla presidenza di Suharto. Perché la resurrezione di Dewi Ayu è solo uno dei tanti avvenimenti ‘magici’ che accadono nel romanzo- donne che saltano da una rupe e volano via, amanti che si baciano e fiamme escono dalle loro bocche, un maiale che diventa un uomo, un uomo contro cui nulla fanno pugnalate o pallottole. Il tutto sullo sfondo storico (tenue, peraltro) dell’occupazione giapponese, l’arrivo degli alleati, rivoluzioni e proteste sindacali- una spolverata della storia dell’Indonesia nel secolo scorso. Realismo magico sulla scia di Gabriel García Marquez? Forse, però il realismo magico ha fatto il suo tempo e di Gabriel García Marquez ce n’è uno solo.

   Dewi Ayu è la prostituta più famosa, quella più richiesta, quella con cui tutti gli uomini che contano a Halimunda sono andati a letto. Non era nel suo destino, diventare prostituta. Di famiglia olandese, era figlia di un fratello e una sorella che avevano lo stesso padre e madre diversa (non è l’unico accoppiamento fuori norma del libro). I genitori erano fuggiti, abbandonandola con i nonni (ricompaiono molto dopo, i genitori, esterrefatti nello scoprire la dubbia fama della figlia, e scompaiono una seconda volta, un po’ troppo in fretta). Lei era bellissima, come avviene spesso ai sangue misto. Nel campo di prigionia giapponese dove era stata internata aveva scoperto il valore del suo corpo come merce di scambio e lo avrebbe usato così per tutta la vita, gestendo con intelligenza le sue ricchezze. La storia di Dewi Ayu e delle sue figlie (tre bellissime come lei e la quarta bruttissima- meglio così, perché ‘la bellezza è una ferita’ e può essere una maledizione se si guarda che cosa è successo alle figlie belle) sembra essere il filone narrativo principale del romanzo che però si dirama in una miriade di altre storie, con personaggi che si dileguano e poi riappaiono, che non sono i protagonisti di una storia ma lo diventano in un’altra- il rivoluzionario che diventa criminale, il comandante militare dell’isola, il comunista idealista. E’ come ascoltare Sheherazade che racconta e aggancia una storia con un’altra, per non finire mai.


    C’è troppo, nel romanzo di Eka Kurniawan. E quando c’è troppo, c’è anche il rischio di essere ripetitivi. Possiamo cercare di farci un’idea della cultura indonesiana, leggendo “La bellezza è una ferita”, e pensare che sia una cultura animistica in cui il confine tra morte e vita è labile, che i fantasmi camminano davvero ancora sulla terra, visibili a tutti, che la maledizione di uno spirito cattivo sia responsabile dell’infelicità della famiglia di Dewi Ayu (il prezzo da pagare per aver fatto parte dei colonialisti oppressori?). E tuttavia siamo portati a pensare che sia anche una cultura terribilmente misogina- le donne sono descritte in base ai loro attributi fisici e servono solo ad una cosa, gli uomini sono brutali e, eccezion fatta per l’idealista comunista, pensano ad una cosa soltanto. Alla fine ci stanchiamo di tutto questo sesso, di donne che si concedono o si mettono mutande di ferro o dicono di essere state stuprate da un cane per nascondere la verità, di uomini violenti, di massacri di uomini o di cani. E non ci sembra che ci sia rimasto nulla, dentro, dopo la lettura.

lo scrittore sarà presente al Festival della Letteratura di Mantova


per contattarmi: picconem@yahoo.com

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