Voci da mondi diversi. Penisola balcanica
seconda guerra mondiale
il libro ritrovato
Bora Ćosić, “Il libro dei mestieri”
Ed.
Zandonai, trad. Maja Vranješ, pagg. 130, Euro 14,00
Belgrado, gli
anni della seconda guerra mondiale. Belgrado in quella che era ancora Jugoslavia,
prima occupata dai tedeschi, bombardata poi dagli alleati, invasa dai russi,
liberata dai partigiani di Tito. E’ questa città, sono questi i tempi che ci
vengono raccontati con la voce di un Bora Ćosić bambino. Per dirci della
guerra, per mostrarcela attraverso occhi infantili, lo scrittore sceglie una
cornice insolita a racchiudere i suoi bozzetti, le scene in cui gli attori sono
i membri della sua famiglia e gli altri abitanti del condominio, con l’aggiunta
di soldati- tedeschi, russi- e di partigiani serbi. Tutto può essere
interpretato come un mestiere, qualunque attività quotidiana è, dopotutto, una professione- allora, quando era piccolo,
anche essere un russo era parso un mestiere a Bora Ćosić. E così, via via di
seguito, fare il barabba (l’imbroglione), fare il donnaiolo (non si contano le
ragazze o le donne che sono state vittime dello zio), il calzolaio (che magari
faceva un paio di scarpe da vendersi scompagnate a chi era rimasto con una sola
gamba), il barbiere, il tipografo, il macellaio (che poteva ritrovarsi a
tagliare carne umana), il cameriere, l’imbianchino (quanti cambiamenti di
colori da un regime all’altro!), il sarto (che tinge, rigira, restringe il
cappotto di un soldato per Bora)…e altri ancora.
Belgrado dopo i bombardamenti del 1941 |
Se dapprima
siamo perplessi davanti a questa singolare interpretazione della guerra,
continuando la lettura ne siamo conquistati, presi nel godimento delle scene,
nei frizzanti scambi di battute tra i personaggi che non sempre il bambino
capisce e che quindi riferisce con un’ambiguità divertente. La sua famiglia è
composta da un nonno le cui parole sembrano riportare tutti alla realtà dei
fatti, dalla mamma che cerca di mantenere l’equilibrio in famiglia e buoni
rapporti con il vicinato, dal padre sempre ubriaco (eppure si scherza anche sul
suo vizio del bere), da due zie che mantengono l’allegria nonostante tutto. E
poi c’è un carosello di altri personaggi- gli amichetti di Bora e le loro
mamme, la ragazza a cui verrà rasato il capo perché se l’intendeva con i
tedeschi, il tenente che dà ordine di togliere di mezzo i cadaveri dei tedeschi
perché puzzano come immondizia, il russo che spara in bocca ad un tedesco e,
alla debole rimostranza del padre di Bora, dice ‘Non fa niente’…
Ogni breve capitolo è un miscuglio di frammenti di Storia
(di difficile comprensione per un adulto, figurarsi per un bambino) e di
episodi di vita quotidiana, di personaggi storici mitici, che vengono
smitizzati e ridicolizzati (Stalin che si liscia i baffi e Hitler che urla come
un pazzo), e di uomini e donne comuni che cercano di sopravvivere alla
giornata. Gli anni, che si sono impressi nella memoria del bambino, sono
indicati con la lettera maiuscola (‘si era nel Millenovecentoquarantaquattro’)
e vengono ripetuti spesso, ossessivamente, come se uno di quegli anni di guerra
avesse una durata più lunga di un anno normale. Finché arriva il
Millenovecentoquarantacinque con dei nuovi mestieri: il mestiere di far festa
(finalmente), il mestiere (più difficile) di studiare (arduo ricordare, senza
errori, chi siano gli amici e chi i nemici), il mestiere del passante:
ad un certo punto erano scomparsi i passanti dalle strade, ora sono tornati, ma
la vera arte del passante è avere in mente che tutto passa. Uomini e regimi.
Ironico,
inconsapevolmente critico, buffo, drammatico, uno sguardo insolito sulla guerra
da un angolo insolito d’Europa.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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