domenica 10 settembre 2017

José Carlos Somoza, “Clara e la penombra” ed. 2005

                                                     Voci da mondi diversi. Penisola iberica
                                                      cento sfumature di giallo
      il libro ritrovato

José Carlos Somoza, “Clara e la penombra”
Ed. Frassinelli, trad. Francesca Lazzarato, pagg. 527, Euro 18,00


     Non è necessario distruggere un mondo per crearne un altro. Grandi scrittori sono riusciti a creare nuovi mondi allontanando i confini di quello presente, forzando solo un poco la realtà di quello che ci circonda, portando alle estreme conseguenze dati di fatto già accettati. E’ proprio questo che fa lo scrittore José Carlos Somoza nel suo secondo romanzo, “Clara e la penombra”, straordinario come il precedente, “La caverna delle idee”.
      Come già Orwell e Huxley, Somoza immagina il mondo di domani, non l’evoluzione aberrante della politica o della società, ma quella dell’arte. In questo futuro immediato (la vicenda del libro arriva a compimento il 15 luglio 2006, nel quattrocentesimo anniversario della nascita di Rembrandt) la corrente artistica in auge è l’iperdrammatismo: le persone sono i quadri, cessano di vivere come essere umani per diventare prima delle tele e poi delle opere d’arte. Firmate, con un tatuaggio, dai grandi pittori del momento- Bassan e Kalima, Stein e Rayback, Mavalaki e Niemeyer. E, venerato da tutti, il Maestro, quello da cui ogni tela vorrebbe essere dipinta, Bruno Van Tysch.
Ancora come in “1984” e “Il nuovo mondo”, c’è uno stupefacente apparato linguistico che rende intellettualmente e visivamente immaginabile questo mondo dell’arte che può esprimersi con figure statiche, o azioni da esterno, o incontri interattivi: la prima operazione a cui le tele devono sottostare è l’imprimitura, che le prepara per essere dipinte; ci sono poi gli esercizi per allenare i muscoli a raggiungere o a mantenere la posizione che l’artista richiede, per raggiungere la Quiete che isola da qualunque turbamento ambientale. Ogni parte del corpo può essere dipinta per creare effetti speciali, anche i canali uditivi, o l’interno della bocca o l’uretra. Quando poi interviene il pittore, le sue pennellate non vanno intese nel senso tradizionale, sono metaforiche, sono il tocco del genio che crea l’espressione del volto, la postura del corpo: il modello deve provare i sentimenti che il pittore vuole che esprima. Ci sono poi forme di arte minori: le decorazioni, appendiabiti, vassoi, lampade, tavolini, sedie, portacenere, portasapone. Tutti umani (ma lo sono ancora?), tutti con un prezzo, tutti sostituibili nel tempo. E ci sono una serie di dipartimenti preposti alla cura delle opere d’arte: Assistenza, Restauro, Conservazione, Sicurezza.
       Quando, all’inizio del romanzo, una ragazzina viene trovata morta, non è la quattordicenne Anneck che è stata uccisa, è un’opera d’arte intitolata Deflorazione che è stata distrutta. E c’è qualcuno che ha un piano per distruggere le opere più significative di Van Tysch, tocca ai Mostri dopo- nessun rimpianto per le persone nel quadro, sono dei volgari criminali, ma è un’opera quotata milioni di euro. Quale sarà il prossimo obiettivo, il giorno dell’inaugurazione della collezione Rembrandt, con quadri che reinterpretano in chiave umana le più famose tele del grande olandese? E’ una corsa contro il tempo per salvare…che cosa? delle opere d’arte o delle persone?


       Un romanzo stupefacente, che unisce alla tensione della trama una straordinaria capacità inventiva e un lucido invito alla riflessione su tematiche angoscianti del nostro tempo: la mancanza di confini netti tra il bene e il male (viviamo in una continua “penombra”, come accenna il titolo), la mercificazione delle persone, il bisogno continuo di emozioni a qualunque prezzo, la sostituzione della bellezza con l’orrore, la fugacità di tutto- che sia effimera anche l’opera d’arte, quindi, non esiste più l’eternità.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


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