martedì 26 settembre 2017

Liza Marklund, "Il testamento di Nobel" 2009 Intervista

                                                vento del Nord
                                        cento sfumature di giallo



So bene che è uno stereotipo ma, quando incontro Liza Marklund, che mi pare la perfetta giovane donna svedese dell’immaginario collettivo, penso di avere davanti non lei, bensì il suo personaggio Annika Bengtzon. Perché è così me la raffiguro, bionda, sottile, alta, lo sguardo vivace, nonostante che non ci sia nulla nelle pagine dei libri della Marklund a guidarmi in questa identificazione. E glielo chiedo subito.

 Assomiglia a Lei Annika Bengtzon? Oppure: che cosa ha messo di Lei nel suo personaggio?
     Devo dirle una cosa: non so che aspetto abbia Annika, so che non è alta di statura. E di me ho messo in lei la mia maniera di lavorare, quando ero, per così dire, un carro armato con i tacchi a spillo. Non sono mai stata giornalista di cronaca nera, mi occupavo di politica ed economia, ma Annika ed io condividiamo la maniera di pensare giornalisticamente.
Annika nei telefilm
 Fra le eroine dei romanzi di indagine poliziesca Annika è un personaggio insolito, prima di tutto perché non è un’ ispettrice di polizia ma una giornalista. Ha fatto di lei una giornalista perché si differenziasse dagli altri personaggi sulla scena?
      In realtà dapprima avevo pensato di fare di lei un’ispettrice di polizia, ma non so nulla sui poliziotti. Allora ho scelto la soluzione più facile per me, visto che conosco molto bene il mondo del giornalismo perché ci lavoro da 25 anni. E poi volevo anche descrivere il potere dei media e come i media abusino di questo potere.

Ho letto anche “Il lupo rosso” e ho osservato che in entrambi i romanzi la storia poliziesca non è incentrata su un delitto banale, ma è sempre collegata a qualche argomento di maggior rilievo: usa il genere del romanzo poliziesco per trattare di altri problemi, per far riflettere i lettori?
    Proprio così. Scrivo sempre dei romanzi vasti, ho sempre due filoni di storie, due storie parallele che trattano lo stesso soggetto, una storia con delitto e una storia privata. Ma sono collegate dallo stesso problema. I miei romanzi non sono in realtà sul delitto, ma sul potere e sull’abuso di potere. Sono ossessionata dal potere. Si badi bene: non voglio potere per me, sono stata capo direttore, mi piace avere il potere sulla mia situazione, su me stessa, ma sono affascinata da quello che la gente arriva a fare per avere il potere.

  
In questo romanzo ci sono parecchi temi che vale la pena di discutere. Ad esempio, mi ha interessato lo sfondo per il primo delitto, durante il ricevimento per i premi Nobel. E mi ha anche divertito, in un certo senso, perché ogni anno ci sono polemiche sui criteri con cui i premi vengono aggiudicati. Mi domandavo se anche in Svezia ci sono queste discussioni, oppure si polemizza solo all’estero.
      Anche in Svezia si discute molto sull’assegnazione dei Nobel. C’è anche una barzelletta che circola sull’uomo che grida entusiasticamente ‘finalmente!’ ogni volta che viene annunciato il premio ad un perfetto sconosciuto. Mi è capitato solo una volta che avessi già letto i libri di uno scrittore prima che gli venisse dato il premio Nobel, si trattava di Coetzee, uno scrittore che amo molto. Negli ultimi dieci anni la scelta è caduta su autori anti-sociali: la Jelinek vive del tutto isolata, Herta Müller non voleva neppure aprire la porta ai giornalisti…Ad Oz o a Roth il premio non viene dato perchè rilasciano troppe interviste, non sono abbastanza antisociali.

Allora la traccia di ironia macabra era intenzionale…
     Sì, non faccio mai niente che non sia intenzionale.

Il premio Nobel per la medicina nel libro viene dato a due dottori che fanno ricerca sulle cellule staminali: qual è l’opinione più diffusa in Svezia riguardo a queste ricerche?
     Quando ho scritto il libro c’era una grossa discussione sull’argomento in Svezia. La Svezia è un paese liberale e 4 o 5 anni fa gli unici contro la ricerca sulle cellule staminali erano i cristiani di destra, i cristiani di Bush per intenderci. I più ragionevoli pensano che si debbano fare ricerche. Lo penso anche io, e penso anche che si debbano fare esperimenti sugli animali, come si fa altrimenti? Mi spiace, ma è così.


Un filone della trama riguarda le nuove leggi restrittive per paura del terrorismo in Svezia e il razzismo che ne deriva: la democrazia svedese era un mito. La Svezia sta facendo dei passi indietro?
    Una legge recente, di un anno fa, della destra, ci porta più lontano di tutti gli altri paesi europei nel controllo e nello spionaggio esercitato sulla popolazione indiscriminatamente. Il governo può leggere le e-mail di chiunque, può intercettare le telefonate di chiunque senza nessun motivo. Ora, se ci sono motivi seri per sospettare di una persona, per impedire un attentato, è giusto che si intercettino le telefonate, ma è scandaloso che le conversazioni di gente normale vengano ascoltate. E’ un abuso di potere molto pericoloso. Molte delle misure che sono state prese contro il terrorismo sono peggio del terrorismo stesso.

Un altro mito viene infranto nel suo libro: il mito degli uomini svedesi che aiutano le donne a casa. Annika è arrabbiata con il marito perché la divisione dei compiti a casa è impari. Era un mito falso?
    Guardi, secondo un sondaggio recente il 25% delle donne in Svezia si accolla il 100% dei lavori domestici. Il fatto è che secondo lo stesso sondaggio, gli uomini interrogati dichiarano di condividere il lavoro delle mogli esattamente a metà. La realtà è che in Svezia le donne lavorano molto di più in casa. Solo quando la donna lavora a tempo pieno e l’uomo è disoccupato, è l’uomo a fare i lavori. Ben magra consolazione.

l'intervista e la recensione sono state pubblicate su www.wuz.it





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