Voci da mondi diversi. Cina
FRESCO DI LETTURA
Ma Jian, “La via oscura”
Ed. Feltrinelli, trad. Katia
Bagnoli, pagg. 393 Euro 19,00
Titolo originale: The Dark Road
Diretta a casa, Meili sente che la pancia diventa più pesante e ha male
sul fondo della schiena. Quando partorirò la bambina, Kongzi potrebbe venderla
all’Ufficio dell’assistenza sociale, si dice fra sé. E se gli dico adesso che è
una femmina, mi costringerà ad abortire. Non mi rimane che stare zitta e
lasciare la bambina esattamente dov’è. ricorda i brividi del suo ventre quando
l’ago aveva penetrato la carne entrando nella testa di Felicità. Ricorda il
sorriso del suo bambino che giaceva morto nel sacchetto di plastica sul
pavimento. Ricorda Figlia dell’Acqua che
le fissava una ciocca di capelli mentre succhiava il latte dal suo seno. Il mio
ventre è il tuo rifugio, piccolo Cielo, sussurrava piano. Fino a quando sarò
viva, ti proteggerò.
This is not a country for old
men, dice il verso di una famosa poesia di Yeats ripreso poi dal titolo di
un romanzo di Cormac McCarthy, “Non è un paese per vecchi”, adattato per lo
schermo dai fratelli Cohen. “Questo non è un paese per donne”, scrive Ma Jian
nel suo nuovo romanzo, “La via oscura”, molto bello, molto forte, per molti
versi sconvolgente. Perché, se, dentro di noi, riusciamo ad accettare che i
vecchi siano fuori gioco e che il loro avviarsi verso il tramonto sia una legge
della natura, è esattamente il contrario per la donna, portatrice di vita, che
dovrebbe essere onorata come fondamento della società.
“La via oscura” di Ma Jian è ambientato
negli anni ‘80 nella Cina delle leggi sulla pianificazione famigliare dove un
solo figlio è consentito ad ogni coppia, pena l’interruzione forzata della
gravidanza, uccisione dei bambini già messi al mondo, multe salate. Il libro
inizia con una scena violenta, l’irruzione in un villaggio dei funzionari che
seminano terrore e morte per far osservare la legge- i neonati sono le loro
vittime, le donne incinte sono l’oggetto della violenza che dissacra il loro
corpo. Kongzi e Meili aspettano il secondo figlio, hanno già una bimba di due
anni. Decidono di fuggire prima che la gravidanza di Meili sia evidente,
altrimenti i loro genitori sarebbero puniti in loro assenza (come infatti
succederà, la casa distrutta, la spirale inserita a forza alle madri anziane).
“La via oscura” diventa un singolare romanzo “on the road” dell’orrore, un
viaggio sul fiume Yangze dalle acque rosse come il ‘té Oolong’ per
l’inquinamento, perché vivere sull’acqua non richiede alcun permesso di
soggiorno ed è più facile evitare i controlli.
La meta finale sarà un luogo
chiamato Paradiso, uno scenario bruegheliano di rifiuti tossici dove l’aria è
così mefitica da causare la sterilità- si dice che sia impossibile restare
incinte a Paradiso, ed è quello che vuole ormai Meili dopo che il secondo
figlio è stato strangolato sotto i suoi occhi, dopo che il terzo (una bimba con
un qualche handicap concepita nonostante la spirale) è stato dato via da Kongzi
e non si sa che fine possa avere fatto: ne saranno stati venduti gli organi?
sarà obbligata a chiedere l’elemosina come tanti bambini resi storpi di
proposito?
I romanzi della distopia di Orwell e di
Swift (pensiamo ad “Una modesta proposta” e alle sue ricette di come cucinare
la tenera carne dei bambini irlandesi perché non siano un fardello per i
genitori, quando leggiamo dei feti venduti ai ristoranti in Cina)
impallidiscono in confronto alle scene descritte da Ma Jian- e sappiamo che non
sono inventate, che lo scrittore ha visto quello di cui parla. Perché, pur
lasciando costante il dolente e crudele tema della forzata pianificazione
famigliare con aborti raccapriccianti e la violazione del corpo femminile,
l’attacco di Ma Jian alla nuova società cinese che ha solo il denaro come
aspirazione si fa più selvaggio e più ampio.
I cinesi hanno smarrito la loro
coscienza, ogni senso etico è soffocato in una montagna di rifiuti (non
fingiamo però di non sapere che gli enormi container colmi di apparecchiature
elettroniche in disuso arrivano dall’Europa), la loro inventiva e la smania del
guadagno li porta ad adulterare i cibi (salsa di soia fatta con capelli
fermentati, latte in polvere arricchito di proteine derivanti dalle tomaie
delle scarpe) e l’intero paese sembra seguire ciecamente un pifferaio magico
dal cui piffero escono yuan invece di note musicali: un burrone puzzolente gli
si spalanca davanti, storpi fantasmi, ombre dalla pelle chiazzata, esseri
deformi guizzano tra le immondizie.
Una esile voce di fondo, quella dello
spirito bambino in attesa di riincarnarsi, accompagna la narrazione, i titoli
di ogni capitolo sono le parole chiave da impostare in un motore di ricerca, la
Cina del passato riaffiora nel ricordo di Confucio (Kongzi è il suo
settantaseiesimo discendente diretto: è degno di esserlo?), nei versi delle
poesie Tang che Kongzi, un tempo insegnante, fa imparare alla figlia, nei riti
propiziatori alla Dea del Parto a cui si rivolge Meili che ha tenuto dentro di
sé, in una gestazione durata cinque anni, il quarto figlio, per proteggerlo,
per dargli il tempo di venire alla luce quando gli sarà permesso di vivere.
La vena
metaforica è un soffio di speranza in questo romanzo nerissimo in cui,
tuttavia, risplende il personaggio di Meili, ragazzotta ignorante all’inizio
che diventa l’abile direttrice di un’impresa alla fine, una lottatrice che non
si lascia abbattere, una donna per cui vorremmo un destino diverso in questo
mondo oscuro dove conduce la via oscura che è il canale attraverso cui si
affacciano alla vita i bambini. Se si permette loro di nascere.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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