mercoledì 8 aprile 2015

Yigal Leykin, “Una vita qualunque” ed. 2015

                                                                     Diaspora ebraica    
        Casa Nostra. Qui Italia
        FRESCO DI LETTURA

Yigal Leykin, “Una vita qualunque”
Ed. Giuntina, pagg.294, Euro 15,00


  Sentii il bisogno di uscire all’aria aperta.
 Le lacrime colavano, spontanee, sulle mie guance.
Non era un pianto di disperazione. Non riuscivo ancora a pensare al peggio. Era semplicemente una specie di malinconia per un mondo che non sarebbe più stato lo stesso.
Dentro di me regnava la certezza che loro, tutti, erano vivi da qualche parte. Non mi era chiaro il perché di tale convinzione, eppure per me erano salvi, sicuramente rifugiati in un luogo sicuro.

      Non è affatto una vita qualunque quella di Mitia Rabin (o Mitia Leykin?) che suo figlio Yigal Leykin ci racconta in “Una vita qualunque”. Ad iniziare da quei due cognomi: Rabin come si era chiamato fino ai diciott’anni, o Leykin, il cognome del suo vero padre che aveva appreso proprio il giorno del suo diciottesimo compleanno, nel 1937? Non si è mai soffermato molto a pensare alla sua vita, Mitia Leykin- è meglio non rivangare nella memoria ricordi dolorosi. Ma diventa quasi inevitabile farlo quando, a due settimane dal compiere novant’anni, riceve una telefonata nell’abitazione protetta in cui  risiede in Israele. Non riconosce né la voce né il nome, ma l’uomo parla in polacco e in yiddish con l’accento di Kovel, la città in cui Mitia ha passato l’infanzia. Era un compagno di scuola di Telinka, la sorella di Mitia, ora vive in Canada, è venuto in Israele per trovare la figlia, ‘ti devo raccontare la storia di Telinka.’ L’appuntamento è da lì a dodici giorni, il 24 marzo. Dodici giorni per ricordare, per scavare nella sua vita qualunque, per rendersi conto di quante volte il caso o il destino abbiano scelto per lui.

     La narrazione di Mitia alterna passato e presente, dove il presente di lui anziano è ogni tanto avvolto dalla nebbia in una confusione di tempi che gli fa sembrare di avere ancora vicino le due persone che più ha amato, la moglie Bussia e la sorella Telinka, mentre il passato ripercorre i passi della sua famiglia, dalla Russia da cui veniva sua madre a Kovel, a Lodz, a Leopoli, ancora la Russia per lui, Mitia, arruolato nell’Armata Rossa, Rostov e Stalingrado, e poi Berlino, e infine il viaggio verso Israele, quando ormai molti di loro erano scomparsi, annientati dalla furia nazista.
    E’ impossibile pensare di riassumere le vicissitudini di Mitia e della sua famiglia. Certo, molte delle loro esperienze non sono dissimili da quelle di altre famiglie ebree dell’Europa centro-orientale- l’agiatezza e la levatura culturale e i dissesti economici, l’incredulità di fronte alle leggi razziali imposte dai nazisti e la cieca fiducia nell’impossibilità di risoluzioni estreme, la vita nel ghetto, l’essere testimoni dei rastrellamenti e della scomparsa dei propri cari.
E, tuttavia, ci sono dei personaggi indimenticabili che emergono da questo racconto, che contribuiscono all’unicità di questa vita qualunque. La madre, prima di tutti, la ragazza diciottenne che a San Pietroburgo si era innamorata del ragazzo rivoluzionario che l’aveva messa incinta, ma lei aveva poi sposato Noè Rabin che le dava la sicurezza al posto della passione e da questa unione era nata Telinka. E’ ancora viva Telinka, nel 2009, quando Mitia si prepara ad incontrare l’amico che deve parlargli di lei? la madre le aveva dato uno spintone, buttandola giù dal camion della morte, forse salvandola- questo a Mitia già lo avevano detto. E poi? Possibile fosse riuscita a sgusciare tra gli spari? Bellissima anche la figura della domestica polacca che sfida le proibizioni per aiutare i Rabin. Bella ed elusiva quella di Bussia, moglie rimpianta, pure lei con una travagliata storia alle spalle, e una forza morale impareggiabile. Le figure degli uomini, poi. Il nonno materno che aveva fatto il suo preferito del nipote ‘illegittimo’, ma anche Noé Rabin che era stato il vero padre di Mitia, come questi aveva capito, anche se aveva voluto cambiare cognome dopo il trauma della rivelazione che aveva considerato un tradimento.
Leopoli

    C’è tutta la storia d’Europa nella storia di famiglia di Mitia Leykin. Storia geografica di confini che si spostano e di famiglie che migrano, storia politica dei due grandi blocchi che si fronteggiarono nel ‘900, storia di guerra vissuta nelle file dell’esercito russo, storia o storie d’amore- per i genitori, per la sorella, per la moglie, per quell’unico figlio che ha seguito- in un viaggio lunghissimo- Mitia e Bussia da Leopoli a Israele e che ringrazia il padre per ‘avergli donato la propria storia’. Che poi è più di una semplice storia, perché il vero dono è tutto quello che vi è contenuto- onore, coraggio, lealtà, volontà di non lasciarsi abbattere. Mai. Di guardare avanti, di permettersi solo alla fine lo sguardo indietro.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it





Nessun commento:

Posta un commento