Diaspora ebraica
Casa Nostra. Qui Italia
FRESCO DI LETTURA
Yigal Leykin, “Una vita qualunque”
Ed. Giuntina, pagg.294, Euro
15,00
Sentii il bisogno di uscire all’aria aperta.
Le lacrime colavano, spontanee, sulle mie
guance.
Non era un pianto di
disperazione. Non riuscivo ancora a pensare al peggio. Era semplicemente una
specie di malinconia per un mondo che non sarebbe più stato lo stesso.
Dentro di me regnava la certezza
che loro, tutti, erano vivi da qualche parte. Non mi era chiaro il perché di
tale convinzione, eppure per me erano salvi, sicuramente rifugiati in un luogo
sicuro.
Non è affatto una vita
qualunque quella di Mitia Rabin (o Mitia Leykin?) che suo figlio Yigal Leykin
ci racconta in “Una vita qualunque”. Ad iniziare da quei due cognomi: Rabin
come si era chiamato fino ai diciott’anni, o Leykin, il cognome del suo vero
padre che aveva appreso proprio il giorno del suo diciottesimo compleanno, nel
1937? Non si è mai soffermato molto a pensare alla sua vita, Mitia Leykin- è
meglio non rivangare nella memoria ricordi dolorosi. Ma diventa quasi
inevitabile farlo quando, a due settimane dal compiere novant’anni, riceve una
telefonata nell’abitazione protetta in cui
risiede in Israele. Non riconosce né la voce né il nome, ma l’uomo parla
in polacco e in yiddish con l’accento di Kovel, la città in cui Mitia ha
passato l’infanzia. Era un compagno di scuola di Telinka, la sorella di Mitia,
ora vive in Canada, è venuto in Israele per trovare la figlia, ‘ti devo raccontare
la storia di Telinka.’ L’appuntamento è da lì a dodici giorni, il 24 marzo.
Dodici giorni per ricordare, per scavare nella sua vita qualunque, per rendersi
conto di quante volte il caso o il destino abbiano scelto per lui.
La narrazione di Mitia alterna passato e
presente, dove il presente di lui anziano è ogni tanto avvolto dalla nebbia in
una confusione di tempi che gli fa sembrare di avere ancora vicino le due
persone che più ha amato, la moglie Bussia e la sorella Telinka, mentre il
passato ripercorre i passi della sua famiglia, dalla Russia da cui veniva sua
madre a Kovel, a Lodz, a Leopoli, ancora la Russia per lui, Mitia, arruolato
nell’Armata Rossa, Rostov e Stalingrado, e poi Berlino, e infine il viaggio
verso Israele, quando ormai molti di loro erano scomparsi, annientati dalla
furia nazista.
E’ impossibile pensare di riassumere le
vicissitudini di Mitia e della sua famiglia. Certo, molte delle loro esperienze
non sono dissimili da quelle di altre famiglie ebree dell’Europa centro-orientale-
l’agiatezza e la levatura culturale e i dissesti economici, l’incredulità di
fronte alle leggi razziali imposte dai nazisti e la cieca fiducia
nell’impossibilità di risoluzioni estreme, la vita nel ghetto, l’essere
testimoni dei rastrellamenti e della scomparsa dei propri cari.
E, tuttavia, ci
sono dei personaggi indimenticabili che emergono da questo racconto, che
contribuiscono all’unicità di questa vita qualunque. La madre, prima di tutti,
la ragazza diciottenne che a San Pietroburgo si era innamorata del ragazzo
rivoluzionario che l’aveva messa incinta, ma lei aveva poi sposato Noè Rabin
che le dava la sicurezza al posto della passione e da questa unione era nata
Telinka. E’ ancora viva Telinka, nel 2009, quando Mitia si prepara ad
incontrare l’amico che deve parlargli di lei? la madre le aveva dato uno
spintone, buttandola giù dal camion della morte, forse salvandola- questo a
Mitia già lo avevano detto. E poi? Possibile fosse riuscita a sgusciare tra gli
spari? Bellissima anche la figura della domestica polacca che sfida le
proibizioni per aiutare i Rabin. Bella ed elusiva quella di Bussia, moglie
rimpianta, pure lei con una travagliata storia alle spalle, e una forza morale
impareggiabile. Le figure degli uomini, poi. Il nonno materno che aveva fatto
il suo preferito del nipote ‘illegittimo’, ma anche Noé Rabin che era stato il
vero padre di Mitia, come questi aveva capito, anche se aveva voluto cambiare
cognome dopo il trauma della rivelazione che aveva considerato un tradimento.Leopoli |
C’è tutta la storia d’Europa nella storia
di famiglia di Mitia Leykin. Storia geografica di confini che si spostano e di
famiglie che migrano, storia politica dei due grandi blocchi che si
fronteggiarono nel ‘900, storia di guerra vissuta nelle file dell’esercito russo,
storia o storie d’amore- per i genitori, per la sorella, per la moglie, per
quell’unico figlio che ha seguito- in un viaggio lunghissimo- Mitia e Bussia da
Leopoli a Israele e che ringrazia il padre per ‘avergli donato la propria
storia’. Che poi è più di una semplice storia, perché il vero dono è tutto
quello che vi è contenuto- onore, coraggio, lealtà, volontà di non lasciarsi
abbattere. Mai. Di guardare avanti, di permettersi solo alla fine lo sguardo
indietro.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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