Casa Nostra. Qui Italia
la Storia nel romanzo
Fresco di lettura
INTERVISTA A CARLA MARIA RUSSO
Carla Maria Russo mi ha dato appuntamento
in un delizioso caffè-pasticceria di Milano. Ero ansiosa di incontrarla perché
la lettura de “La bastarda degli Sforza” mi aveva talmente affascinato da
spingermi a leggere, uno dopo l’altro, i quattro romanzi precedenti con
protagoniste femminili, riprovando sempre lo stesso entusiasmo. E avrei
proseguito con “Il cavaliere del giglio”, curiosa di vedere come la scrittrice
avrebbe ‘trattato’ un personaggio maschile, se ne avessi avuto il tempo. Lo
leggerò in seguito.
In questo anno che vede Milano come regina del mondo, ci voleva proprio
un libro con un’eroina della famiglia Sforza. Ci ha pensato, quando l’ha scelta
come protagonista? E’ stato un suo omaggio a Milano?
No, è proprio una coincidenza. Scelgo una storia perché sono catturata
dalla storia del protagonista. Non ho mai fatto nessun calcolo, neppure quello
del genere del libro: i miei romanzi sono etichettati come libri storici ma io
non mi propongo di scrivere libri storici. Incontro una storia che mi dà una
forte emozione e la lascio nel periodo in cui si è verificata. I miei libri
sono anche libri storici. Nel caso di
Caterina Sforza, è la sua storia che mi ha catturato, facendomi provare grandi
emozioni. E sì, è un omaggio a Milano, anche se non ci avevo pensato.
Siamo avvisati, all’inizio del libro, che questo è un romanzo di
invenzione. Comprendiamo bene che i pensieri e i sentimenti di Caterina siano
frutto del suo immedesimarsi nel personaggio, ma qual è il limite tra
invenzione e storia?
Sicuramente lo sfondo che approfondisco con
le mie ricerche è fedele al contesto storico. Non modifico gli eventi reali
perché non ne ho la necessità. Anzi, ho bisogno del contrario: sono fedele alla
ricostruzione storica per creare nel lettore una sorta di fiducia. E’ come se
gli dicessi, ‘guarda che quello che ti narro è la verità’. Mi piace
approfondire ogni aspetto del periodo storico, la struttura del pensiero, la
moda…Naturalmente la Storia ti informa di quello che è accaduto, poi sta allo
scrittore interpretare tutto- l’anima, il cuore, i modi di pensare- e fare
accadere nella realtà quei fatti. Deve accadere nella realtà inventata dei
fatti. Il romanzo è un ossimoro: è inventare la realtà. Ci devono entrare la
sensibilità, il cuore, la passione e l’abilità dello scrittore. Ogni scrittore
inventa la realtà anche quando parla di temi fuori della realtà, quando inventa
mondi fantastici.
Caterina nel cinema |
Ho osservato che, ad eccezione de “La sposa normanna”, Lei usa un
diario della protagonista o uno scambio di lettere ne “La regina irriverente”:
è il mezzo per darci la possibilità di guardare dietro le quinte, per farci
palpitare con la vita interiore dei personaggi?
Immagino di sì. Dico ‘immagino’ perché mi
viene spontaneo e molto dal profondo. Non scelgo la tecnica narrativa. Sono
un’autrice disordinata che non si fa degli schemi. Lavoro di istinto, mi fido
dell’istinto e del subconscio. Ci penso, finché non arriva l’ispirazione.
L’ispirazione mi dice di scegliere quella formula. Ne “La bastarda degli
Sforza” c’è una persona che entra in prima persona- è una rimeditazione sulla
sua vita scegliendo me, scrittrice, come strumento, come fossi un medium. Il
fatto è che un personaggio entra dentro di te e acquista una personalità che
devi rispettare. All’autore compete ascoltare questa voce della storia e
seguirla. Come dice Michelangelo, la statua è già nel marmo, lo scultore deve
scalpellare per tirarla fuori. Così è anche per l’autore: sta a te far venire
fuori i personaggi con le loro caratteristiche, rispettando la loro voce.
Scrivere romanzi storici implica un grande lavoro di ricerca, non solo
per quello che riguarda i fatti ma anche per i costumi, le usanze, il
linguaggio. Non ha mai il timore di cadere in qualche anacronismo? E qual è la
parte più difficile da scrivere: la storia o la finzione?
Nessun anacronismo dovrebbe accadere nei
miei libri, se non come lapsus, come incidente, ma non dovrebbe: tengo in mano
l’epoca di cui scrivo. Per me è semplice, non avendo fratture. Non mi propongo
di scrivere un romanzo storico, ma una storia che mi ha affascinato. La nostra
vita si svolge all’interno di un contesto, non credo che la vita di un singolo
si sviluppi in maniera autonoma, ma interagendo con il suo ambiente e il
momento politico in cui vive. Io narro una storia personale che interagisce con
questi fattori, proprio come se narrassi la mia
storia. Io non narro la Storia, ma una storia privata che fatalmente
interagisce con la Storia della società. Considero molti miei romanzi come
romanzi di formazione che finiscono per essere storici. Di Caterina, ad
esempio- io racconto il suo venire alla vita, trovarsi di fronte all’arido vero
e scontrarsi con questo, ricomporre poi una sorta di ordine e infine dominare
la realtà.
Immagino che i suoi libri possano essere guardati con una certa aria di
superiorità da parte degli storici: come si difende dalla loro opinione?
Confesso che io li trovo un approccio straordinario alla Storia per chi non
affronterebbe mai un testo storico.
Finora non mi è mai successo, sono fuori
dagli ambienti dotti, faccio il mio lavoro per passione. Una volta che mi sono
distaccata da un libro, questo si fa la sua strada e io me ne disinteresso. Se
dovessi ricevere critiche da parte di storici, risponderei con una frase dura:
la Storia non esiste, la ricostruzione storica è un’ipotesi come lo sono i miei
romanzi. La Storia si basa su documenti che sono stati manipolati, non sapremo
mai come sono accadute le cose realmente, eppure continueremo a studiare la
Storia. E’ giusto che l’uomo ricerchi una verità anche se piccola, sapendo però
che non possederemo mai la verità. Sia la Storia sia il romanzo sono
verosimili, sono delle ipotesi. Proprio perché il romanzo ricostruisce la sfera
dei sentimenti, si può avvicinare di più alla Storia: gli eventi storici sono
determinati in molti casi dai moti dell’animo umano.
Costanza d’Altavilla, Eleonora d’Aquitania, Caterina Dolfin Tron,
Caterina Sforza: cè qualcosa in comune tra queste donne. Come sceglie le sue
eroine?
Il filo conduttore sono io con la mia
personalità. Uno scrittore, al di là delle figure con cui si narra, parla
sempre di se stesso. L’elemento unificante sono io con la mia personalità. I
miei personaggi hanno in comune un tratto che io chiamo contemporaneità, nel
senso di cum temporis, insieme con i
tempi, qualunque tempo. Si è contemporanei quando si ha il coraggio di andare
controcorrente rispetto al conformismo sociale, alle tendenze della società di
schiacciarti con il conformismo. E per questo ci vogliono doti che ammireremo
sempre: coraggio, determinazione, forza interiore. E i miei personaggi sono
quasi tutti donne perché è molto più difficile essere anticonformisti quando si
è donna. Incarnare questa forza, questa libertà di pensiero, questo coraggio è
più difficile per una donna. Questo spiega anche la mia predilezione per le
donne del passato. Oggi è più facile essere anticonformiste, mentre le donne
del passato rischiavano la vita. Queste figure incarnano, per noi donne di
oggi, il bisogno della donna di affermare la libertà di pensiero contro
l’ideologia che la vorrebbe diversa. Non voglio chiamarle ‘eroine’: sono donne
a tutto tondo, con i pregi e i difetti, la forza di carattere per essere libere
ma anche debolezze- sono giovani, impulsive, hanno dentro di sé una carica di
coraggio che le rende irrequiete.
E come ha scelto la prima protagonista, Costanza d’Altavilla?
Tutti questi personaggi incarnano aspetti di me. La prima protagonista,
Costanza, tira fuori il coraggio che non sapeva di avere in occasione della
maternità. Per difendere il figlio
Costanza deve reagire. La maternità le fa scoprire di possedere una forza di
cui era all’oscuro. Incarna l’impatto della donna con la maternità: volevo
descrivere quanto la maternità possa cambiare una donna.
“Il cavaliere del giglio” è l’unico romanzo con un protagonista
maschile. Voleva mettersi alla prova?
No, non tanto quello. Anche Farinata
incarna le mie passioni e i miei ideali: per me Farinata è un luogo della
memoria, l’ho ammirato ai tempi del liceo, quando ero appassionata dell’Inferno
di Dante e della Firenze di Dante e di Farinata degli Uberti. Scrivere “Il
principe del giglio” è stato un rivisitare, un ripercorrere luoghi e momenti e
personaggi cari alla memoria. Il protagonista incarna un ideale di grande coerenza
che ammiro molto. Farinata è coerente al punto di sacrificare se stesso, la
famiglia e le sue sostanze. Torniamo alla contemporaneità di certe figure, la
capacità di avere coraggio, determinazione, volontà e libertà di pensiero.
Farinata è convinto di essere nel giusto e non si lascia corrompere. Spinge la
lotta fino all’estremo.
“Lola nascerà a diciott’anni” è invece l’unico suo romanzo senza una
protagonista che appartiene alla storia.
Il tema fondamentale di Lola è l’impatto
devastante che la guerra ha sulla vita di tutti gli esseri umani, come la
guerra ti cambia non solo la vita ma i modi di pensare, spingendoti a compiere
cose che mai avresti pensato, ti fa conoscere aspetti di te che mai avresti
immaginato. E’ in parte un giallo- c’è il cadavere di un generale fascista-,
c’è una forte storia d’amore tra la protagonista che appartiene alla buona
società e un operaio, e la ricostruzione di Milano nel ‘42 e ‘43 con poi una ripresa
degli eventi negli anni ‘60.
Ci ha promesso un seguito a “La bastarda degli Sforza”. Lo avremo? Io
ne avrei voluto uno anche per “La regina irriverente”…
I miei romanzi non sono biografie, per
questo non proseguo. Sono un flash su un momento particolare della vita delle
persone. Nel caso di Caterina Sforza ho promesso che scriverò un seguito perché
il libro si chiude in un momento epico: ci sto già lavorando e manterrò la
promessa.
l'intervista è stata pubblicata su www.wuz.it
Il libro è bellissimo, sono rasta affascinata dal personaggio di Caterina, donna audace, intelligente e "femminista" per quei tempi. Aspetto con ansia il seguito di questo libro.
RispondiEliminaSimona