domenica 26 aprile 2015

Miriam Toews, “Un complicato atto d’amore” ed. 2005

                                                   Voci da mondi diversi. Canada
                                                               il libro ritrovato


Miriam Toews, “Un complicato atto d’amore”
Ed. Adelphi, trad. Monica Pareschi, pagg. 275, Euro 16,00

Nel 1540 il riformista olandese Menno Simons diede origine ad una comunità a cui impose regole molto severe, proibendo qualunque divertimento: la vita deve essere vissuta come una fase di passaggio in attesa della vita eterna dopo la morte. La voce narrante del romanzo, la sedicenne Nomi Nickels, appartiene ad una comunità mennonita che si è stabilita nel Manitoba, in Canada, vicino al confine con l’America. Sua sorella e sua madre se ne sono andate, incapaci di tollerare più a lungo la mancanza di libertà e Nomi è rimasta con il padre- infelici entrambi nel continuo ricordo di Tash e di Trudie. La ribellione di Nomi cresce lentamente fino a quando il padre compie il “complicato atto d’amore” che può rendere Nomi libera.

INTERVISTA A MIRIAM TOEWS, autrice di “Un complicato atto d’amore”

“Questo paese è così serio. Così silenzioso. Mi fa impazzire questo silenzio. Chissà se di silenzio si può morire.”: è Nomi Nickel che parla, la protagonista del romanzo “Un complicato atto d’amore” della scrittrice canadese Miriam Toews. E’ la sua voce che sentiamo per tutto il libro, voce fresca di adolescente che cerca di capire il mondo che la circonda- e non le piace e lo critica mordacemente e si ribella. Facendosi delle canne, rasandosi la testa, prendendo la pillola, saltando lezioni a scuola, ponendo domande inopportune nella severissima comunità mennonita diretta da una figura di grande sacerdote che è anche suo zio e che lei e la sorella hanno soprannominato “la Bocca”. Perché la Bocca ha parole di proibizione per tutto, una lista infinita di cose che non si possono fare: in pratica niente che sia piacevole si può fare. Niente cinema, niente televisione, niente balli, niente rossetto, men che mai comportamenti “liberi” con l’altro sesso.
Una volta Nomi, in classe, ha detto che le sembrava un grande rischio puntare tutto quello che si poteva avere in questo mondo nella possibilità che ce ne fosse un altro. Una volta aveva pregato, “caro Dio, hai una pessima fama da queste parti. Salvami immediatamente. Potremmo fuggire insieme”. La sorella di Nomi era fuggita- con la benedizione della madre-, e poi anche la madre se n’era andata: un atto d’amore favorire la partenza della figlia, un atto d’amore andarsene dopo essere stata “scomunicata”, per non obbligare il marito a scegliere tra lei e la Chiesa. E adesso che manca “la metà più bella” della famiglia, Nomi sa che non potrà mai lasciare suo padre, che svuota la casa vendendo i mobili per ricompensare il vuoto che sente dentro e che la sua religione non gli permette di ammettere. Eppure la metà mancante della famiglia ritorna in ogni pagina nelle parole di Nomi, ricordi della madre immersa nelle letture, la madre che apriva scatolette per pranzo, la sorella che ascoltava musica “proibita”, che stava fuori la notte, che diceva di essere atea, e ancora la madre che disegnava cavalli, che andava incontro alla vita “a braccia aperte”. E forse faceva male- dice Nomi. Quando scompare il padre di Nomi, nell’ultimo atto d’amore, vogliamo credere anche noi lettori, come Nomi ci ha detto più volte, che si ritroveranno tutti a New York, nel vero East Village da cui la cittadina mennonita ha preso il nome. Stilos ha intervistato Miriam Toews.

 La mia prima domanda è di pura curiosità: il suo è un cognome insolito, di dove è originaria la sua famiglia?
     Della provincia di Friesland, in Olanda. E’ il luogo da dove provengono i Mennoniti. Nel corso degli anni sono stati costretti a fuggire in paesi diversi perché erano perseguitati per il loro credo religioso. Il clan mennonita a cui appartiene la mia famiglia è finito in Russia e poi, verso la fine dell’800, è arrivato in Canada. Qui fu data loro della terra da coltivare, con la promessa che sarebbero stati lasciati in pace dal governo.

 Abbiamo imparato parecchio riguardo agli Amish, grazie anche a dei film o servizi fotografici, ma non sappiamo quasi nulla dei Mennoniti, come mai?
     In realtà gli Amish sono pure mennoniti, ma se ne differenziano per la maniera di vestire e per l’avversione totale nei confronti della tecnologia e di qualunque modernità. Gli Amish sono arrivati nel nord dell’America nel ‘600, mentre gli altri gruppi mennoniti giunsero più tardi, nell’800 e all’inizio del ‘900. Penso che gli Amish siano più conosciuti perché sono arrivati prima e hanno vissuto più a lungo nel nord degli Stati Uniti, e anche perché sono il ramo più conservatore e più facilmente riconoscibile dei Mennoniti. Vengono anche chiamati i “Mennoniti del Vecchio Ordine”.

In che area vivono i Mennoniti? Costituiscono una comunità grande?

    I Mennoniti vivono ovunque, ma le comunità piccole, molto conservatrici e religiose risiedono soprattutto nelle province centrali del Canada e negli stati del mid-west americano. I Mennoniti Amish vivono per lo più in Pennsylvania e vengono anche chiamati “gli olandesi della Pennsylvania”. Ci sono pure molte colonie di Mennoniti che si sono stabilite nell’America centrale e del sud, come nel Belize e nel Paraguay. Sono colonie estremamente isolate  e primitive.

Volevo chiederle il perché del suo interesse verso i Mennoniti, ma adesso mi pare chiaro, visto che la sua famiglia è mennonita.
     Sì, sono una mennonita e sono cresciuta in una cittadina mennonita molto conservatrice, qui, nelle praterie canadesi. Come la Nomi del romanzo, ho un rapporto complicato con i Mennoniti e volevo esplorarlo nel mio libro. E tuttavia non avrei scritto questo libro se mio padre fosse stato vivo, perché era un mennonita devoto e praticante e il mio romanzo lo avrebbe confuso e ne sarebbe rimasto turbato. Forse una piccola parte di lui avrebbe capito la mia frustrazione ma, ugualmente, lo avrebbe intristito. Mia madre, invece, adesso è un membro di una Chiesa mennonita molto liberale qui in città e mi è stata di sostegno. Ma le piccole città mennonite sono ancora molto conservatrici e fondamentaliste- anche se ci sono vari gradi di conservatorismo all’interno della chiesa mennonita.

Il pericolo maggiore di questo tipo di comunità è nel potere carismatico dei capi, come sembra di capire nel suo romanzo?
     Sì e no. Credo che certamente siano i capi della chiesa a fissare il tono e il passo delle comunità. Negli anni ‘70 ci fu una purga nella mia cittadina. Era come se fosse sopraggiunto un nuovo regime e avesse dichiarato che la scuola pubblica era male, ad esempio, e così, all’improvviso, tutto un gruppo di ragazzi che erano in classe con me scomparvero, letteralmente, un giorno per l’altro. Istituirono le loro scuole oppure semplicemente i genitori tennero i figli a casa e li misero a lavorare nelle fattorie, e io non li vidi più. Moltissimi Mennoniti sono remissivi, non è che necessariamente approvino le prese di posizione del ministro, ma non si ribellano né criticano, perché sarebbe considerato caparbio e peccaminoso. E penso che dopo un po’ gran parte di quelle stupidaggini a proposito di fuoco e zolfo, di pene apocalittiche, venga accettata e assimilata e la gente sia troppo spaventata o indifferente per combatterle, e quell’assenso e quel silenzio sono altrettanto pericolosi quanto l’individuo che li ha instillati. Molti predicatori mennoniti sono- come dice lei- persone carismatiche con grande potere di persuasione e capacità di far sentire i fedeli della loro chiesa colpevoli, peccatori indegni, e non appena riescono in questo, hanno il potere di fare qualunque cosa vogliano.

Che attrattiva ha questa setta sui giovani? La maggior parte dei giovani del suo romanzo sembra ribellarsi, tutti sognano di scappare.
     Nella mia comunità proprio i ragazzi che sembravano essere più ribelli sono stati anche quelli che, alla fine, si sono rivelati i più conservatori e pii. E’ stata una cosa strana. Molti dei giovani della mia generazione sono diventati persino più fondamentalisti, con una mentalità più ristretta e con un atteggiamento più da eterni giudici dei loro genitori. Ma ci sono stati anche molti ragazzi che se ne sono andati e hanno abbandonato del tutto la religione oppure hanno trovato una via di mezzo, una Chiesa che era più tollerante e tendente al perdono, dove potessero sentirsi ben accolti. Penso che la semplicità del fondamentalismo sia di attrattiva a un certo tipo di persone, a quelli che preferiscono seguire degli ordini e non pensare. Fa sembrare loro la vita meno difficile, in bianco e nero- e ci sono persone a cui questo piace.


Voleva tracciare un parallelo tra la tirannide religiosa e quella politica? Anche qui ci sono processi e scomuniche che sono simili a spedire la gente in un gulag.
    Non l’ho fatto consapevolmente ma c’è questo parallelismo, definitivamente sì. Entrambe le forme di tirannide sono basate sul potere e sul controllo delle persone per mezzo della paura. Appena la gente smette di aver paura, o smette di credere nell’inferno o in Dio vendicatore o in qualunque altra cosa, il potere viene indebolito. Volevo soprattutto mostrare come quel tipo di corruzione e di controllo colpisce l’individuo, e come può distruggere una famiglia. E, poiché la mia protagonista ha sedici anni, non è in grado di articolare queste idee, o sapere con esattezza che cosa la opprima. Sa solo che non riesce ad inserirsi e questo la sconcerta.

In genere, nei regimi tirannici, c’è un Occhio che vede tutto, una spia che controlla ogni momento della vita delle persone. Qui il potere è rappresentato dalla Bocca: la Parola è così importante?
    Sì, penso che le parole possano veramente ingarbugliare una persona. Se ti viene ripetuto di continuo che commetti dei peccati, che andrai all’inferno, che devi ammettere di essere indegno e affidarti ad un potere più alto, è sicuro che ci saranno delle conseguenze. E la Bocca usa la Bibbia per rinforzare le sue leggi, citando le scritture e usandole per controllare la congregazione.

Il titolo inglese è “A complicated kindness”: perché “una gentilezza” e non un “atto d’amore” come dice il titolo italiano? E’ un enorme atto d’amore, quello fatto dai genitori di Nomi.
    
E’ vero, ma in inglese la gentilezza è un tipo di amore. La frase “Un complicato atto di gentilezza” viene direttamente dal romanzo, quando Nomi parla della sua città e dice qualcosa come: ‘c’è della gentilezza laggiù, ma è una gentilezza complicata ’. Così il titolo ha due significati. Da una parte si riferisce all’atto d’amore compiuto dai genitori di Nomi, e dall’altra si riferisce agli atti di gentilezza compiuti nella comunità. Ci sono atti di gentilezza, ma spesso sono in diretto conflitto con quello che vuole la Chiesa. Per esempio, se un ragazzo si ubriaca o una ragazza resta incinta, i genitori di quei giovani possono reagire con compassione, perdonando e sostenendo i figli, ma la Chiesa invece ordinerebbe che venissero puniti duramente, magari scomunicati, certamente non aiutati. Ecco come quel tipo di gentilezza viene complicata dalla Chiesa. Decisamente, però, il significato più profondo del titolo si riferisce all’atto d’amore compiuto dai genitori di Nomi.

la recensione e l'intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos

a giorni metterò il post sul nuovo romanzo di Mriam Toews, "I miei piccoli dispiaceri"

                                                   

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