Voci da mondi diversi. Asia
cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Vikram Chandra, “Giochi sacri”
Ed. Mondadori, trad. Francesca
Orsini, pagg. 1164, Euro 22,00
Sartaj Singh, ispettore sikh
della polizia di Bombay, riceve una telefonata grazie alla quale viene “preso”
il boss mafioso Ganesh Gaitonde che si uccide prima che la polizia entri a
forza nell’edificio in cui si è barricato. Prima di morire Ganesh inizia a
raccontare la storia della sua vita e il romanzo procede in lunghi capitoli in
cui si alternano sulla scena Sartaj, con le sue indagini che non riguardano
solo Ganesh, e Ganesh stesso: una ricchezza incredibile di vicende e di
personaggi, adeguata alla brulicante, puzzolente, problematica ma affascinante
Bombay.
Ganesh Gaitonde: che rotonda sonorità in
questo nome. Non può che essere straordinario un personaggio che ha scelto di
chiamarsi così, con il nome della divinità dalla testa di elefante, il dio
Ganesh della saggezza e dell’intelligenza, il dio della prudenza che rimuove
tutti gli ostacoli. C’è un’arrogante consapevolezza delle proprie capacità nel
Ganesh Gaitonde che è uno dei due (o forse tre?) personaggi principali del
romanzo “Giochi sacri” dell’indiano Vikram Chandra- “Sono Ganesh Gaitonde e ti
dico che andrà tutto bene. E’ Ganesh Gaitonde che te lo dice”: sono le parole
di Ganesh alla figlia dell’amico che gli chiede aiuto per sposare l’uomo che
ama. Non importa che poi, in questo caso, tutto non vada affatto bene, che la
ragazza finirà per suicidarsi. Importa che Ganesh Gaitonde sappia quale è il
suo potere, quale è il carisma che esercita, quali sono le armi di cui può
servirsi. Figura affascinante e sfaccettata, questo Ganesh Gaitonde; in un
libro di quasi 1200 pagine dobbiamo arrivare quasi alla fine per conoscere la
risposta a due enigmi intorno alla figura di Ganesh: chi ha fatto la telefonata
che lo ha consegnato nelle mani della polizia? “Vuoi Ganesh Gaitonde?”, aveva
detto la voce all’ispettore Sartaj Singh, facendolo uscire immediatamente dal
sonno. E qual è la realtà complessa dell’identità di Ganesh Gaitonde, chi è
veramente l’uomo che, prima di uccidersi, chiede al poliziotto, “Sartaj, tu
credi in Dio?”.
Sartaj Singh, il poliziotto onesto figlio
di un poliziotto onesto (una rarità a Bombay), il sikh bello come un attore del
cinema, e Ganesh Gaitonde, che una volta si chiamava Kiran e che continua a
vedere- come fosse il fantasma di Banquo- lo spettro del compagno che ha ucciso
all’inizio della sua vita da criminale: sono i due personaggi che animano il
romanzo, figure speculari che hanno stranamente qualcosa in comune. Un nocciolo
di tristezza interna, la solitudine in cui sono rimasti dopo che uno è stato
lasciato dalla moglie e all’altro la moglie è stata ammazzata, il senso
dell’amicizia che li rende responsabili nei confronti finanche delle famiglie
degli amici e che li danna senza redenzione quando invece questi amici essi tradiscono.
Perché la storia di “Giochi sacri” è una storia di cupidigia e desiderio di
potere, di monopolio di contrabbandi e di spionaggio, di traffico di armi e di
scontri a fuoco, amori e vendette. E di tradimenti, a tutti i livelli, da
quello banale del caso classico del triangolo moglie-marito-amante su cui
indaga Sartaj ad altri che coinvolgono Sartaj e Ganesh, segnandoli in
profondità. Che tutte queste vicende- quelle più avventurose raccontate in
prima persona da Ganesh- possano essere una sorta di “giochi” è chiaro, diventano “sacri” quando
un terzo personaggio entra in scena, certamente il più ambiguo e misterioso.
Quel sadhu che Ganesh chiama Guruji, che si muove su una sedia a
rotelle e tiene degli incontri di tipo mistico-religioso che attirano una folla
incredibile. Ganesh è cambiato dopo aver incontrato il guru, ha acquistato una nuova dimensione di profondità. Ganesh non
fa nulla senza consultarsi con il guru,
sorta di profeta e di psicologo della cui limpidezza non siamo mai certi. E’
più facile rispondere alla difficile domanda su chi sia veramente Ganesh che a
quella su chi sia in realtà questo Guruji
che manipola Ganesh e gli fa importare di nascosto materiale nucleare, che
trama per accelerare la fine dello sciagurato ciclo di tempo in cui viviamo,
convinto che l’apocalisse sia necessaria prima di una nuova età dell’oro. E’
l’insospettabile quasi divino Guruji
il grande Traditore?
E’ difficile etichettare il romanzo di
Vikram Chandra per inserirlo in un genere e soddisfare chi ama sapere in
anticipo che tipo di libro si accinge a leggere. Dire che è un thriller perché
uno dei personaggi è un poliziotto è limitativo per questo ambizioso e vasto
affresco di Bombay, “quella grande puttana di una città”, rappresentata in veste noir, contesa da bande
criminali, controllata da una polizia tanto corrotta quanto i suoi uomini
politici. Piuttosto romanzo epico che spazia nella complessa storia dell’India,
specchio più vasto di lotte tra musulmani e indù, fratture insanabili tra etnie
diverse, con una memoria sempre viva di una tragica Spartizione. Quanto alla
mole del romanzo, non c’è una regola per come i lettori reagiscano davanti al
numero delle pagine: c’è chi si spaventa e non lo prende neppure in mano e c’è
chi ama sapere che passerà un po’ di tempo in compagnia dei personaggi del
libro. Che sono straordinari.
Stilos ha intervistato Vikram Chandra, in una
conversazione che ha arricchito ulteriormente il significato del romanzo.
Quello che colpisce la nostra attenzione è il quadro realistico che Lei
fa dell’India e di Bombay: è intenzionale questo contrasto con il quadro
oleografico e colorato dell’India a cui siamo abituati?
No, non era mia intenzione scrivere
qualcosa in opposizione a qualcos’altro. Penso che la forma del libro sia stata
dettata dai contenuti e dai temi che volevo esplorare, in particolare la vita quotidiana
della gente a Bombay e come questa sia influenzata dal mondo del crimine
organizzato. Può darsi che nel futuro torni ad altre tecniche letterarie del
tipo che chiamiamo “realismo magico”, dipende da quello che voglio scrivere. Di
fatto è l’argomento di cui parlo nel breve saggio che ho preparato per il
Festival delle Letterature, dal titolo “trovare una forma”: è proprio sul
contrasto, sulla tensione tra il realismo magico psicologico e la forma più
tradizionale di realismo magico. In qualche maniera è connesso con la storia
del colonialismo: una delle giustificazioni intellettuali offerte dall’Impero
per la sua presenza in India era che gli indiani sono inclini al pensiero
magico, all’irrazionalità. Studiosi hanno fatto di recente ricerche sull’uso
pedagogico del romanzo inglese nell’India coloniale. Mi interessa la questione
del realismo e ciò che viene considerato reale e perché ci attacchiamo a certe
rappresentazioni che chiamiamo ‘realistiche’. E’ una risposta lunga per dire
che il mio uso della narrativa non è in risposta ad un altro.
I tre personaggi principali sono un sikh, un boss tentato dalla
spiritualità e un guru: qual è l’importanza della religione nella vita degli
uomini?
Mi interessava mostrare, nel libro, quanto
gli esseri umani abbiano bisogno di una narrativa e perciò di un significato
nel mondo che li circonda. La forma della detective story sembra un luogo
giusto per questa domanda. Una storia poliziesca è in realtà sulla ricerca di
conoscenza in maniera attiva. In genere inizia con il ritrovamento di un
cadavere, un segno di cui non sappiamo il significato. Il detective, usando la
ragione, costruisce una teoria, è una sorta di spiegazione dell’ignoto che alla
fine porta ordine nell’universo. Nel libro tutti cercano un modo di portare
ordine, di dare un significato alle loro vite; in quel senso la religione
diventa una di quelle narrative che ti permette di posizionarti nel tempo e
nella Storia e di dare un senso alla tua vita. Come altre cose, le ideologie di
marxismo-leninismo, o il nazionalismo. Sono tutte maniere di sistemare il tempo
in maniera da estrarne il significato. Quello che Guruji offre a Gaitonde in un
momento in cui è vulnerabile è impegnarsi in un’azione che fa parte di qualcosa
con un significato più vasto e perciò di trovare un significato nella sua
stessa vita. Penso che sia quello che la religione ci offre e mi auguro che al
lettore non sembri che la fede sia una forma di debolezza. Come ogni altra
narrativa, una delle possibilità è che essa ci separi dagli altri. Ci dice una
storia su di noi e la nostra comunità che lascia fuori gli altri. La religione
è un’arma a doppio taglio che usiamo per dare un senso alla vita.
Una domanda banale ma sempre nuova ad ogni libro: che cosa l’ha spinta
a scrivere “Giochi sacri”?
Mentre scrivevo un
altro libro ho conosciuto dei poliziotti con cui sono rimasto in contatto- mi
raccontavano storie di quello che succedeva dietro ai titoli dei giornali.
Vivendo a Bombay negli anni ‘80 e ‘90 non si poteva fare a meno di osservare il
potere in continuo aumento detenuto dal mondo del crimine organizzato a tutti i
livelli, negli affari, nella politica…Il livello di violenza aumentava in
maniera incredibile, veri e propri imperi furono costruiti sul crimine. Tutto
questo si è veramente “avvicinato” a me, perché la mia famiglia lavora nell’industria
del cinema e il mondo del cinema è un bersaglio tipico per le estorsioni. Sono
rivolte soprattutto ai produttori: quando esce un film, si pensa che abbiano
molto denaro liquido e allora si ricevono delle telefonate e qualcuno
dall’altro capo del filo ti dice che il boss tal-dei-tali vuole dei soldi per
un certo giorno. Iniziano i negoziati e se non si cede si può essere uccisi.
Conosco persone che hanno fatto questa fine.
Mia sorella minore è sposata con
un produttore regista che ha ricevuto una di queste telefonate, si è rifiutato
di pagare ed è iniziata per la loro famiglia una vita di paura, sorvegliati da
guardie notte e giorno. I miei nipotini sono cresciuti abituati a vedere
intorno a loro persone armate, le pistole facevano parte della loro vita
quotidiana. Quello che mi ha impressionato, però, è stato la facilità con cui
ci si abitua a qualcosa che all’inizio pare spaventoso: in un paio di settimane
si era lì a chiacchierare con le guardie…Mi sono sentito provocato e ho
iniziato a pensare a quest’atmosfera di paura in cui vivevamo e mi sono messo a
chiedere agli amici poliziotti di presentarmi a qualcuno con cui potessi
parlare- altri poliziotti, sociologi, giornalisti, dottori, cittadini che
avevano perso dei parenti, e poi anche con qualcuno dall’altra parte della
linea legale.
Tra tutto questo materiale che stava raccogliendo, come ha deciso con
che cosa incominciare?
Quando inizio un libro sono portato dalla
curiosità e non so bene che cosa succederà, ho incominciato con l’immagine di
Sardaj seduto che parla con il boss barricato dentro la casa- un’immagine che
chiaramente mi è venuta da un rovesciamento della situazione che avevo visto
nella famiglia di mia sorella, la paura e il desiderio di chiudersi dietro
porte e finestre. Poi è emersa la storia, sono venuti fuori gli altri
personaggi. Dopo le prime 300 pagine ho capito la direzione che la storia
prendeva e la struttura del libro e sono tornato indietro, ma non è così male
come sembra, non è che abbia perso tutto il lavoro già fatto.
E come ha scelto i suoi personaggi?
Sardaj e Ganesh mi sono
venuti immediatamente. Ero interessato al tradizionale doppio presente nelle
storie poliziesche, l’eroe e il malvagio. Gli altri sono venuti fuori
esplorando la vita di queste due persone e anche da persone vere intorno a me:
ho conosciuto molte donne come l’attrice Zoya, anche se non la si può
identificare con nessuna. Anche il Guru fa parte del paesaggio indiano. Ci sono
molti guru che usano anche la televisione per diffondere il loro messaggio. Il
guru è l’esempio cristallizzato dell’ala destra indù, che è affascinata dalla
tecnologia e dal potere ma che continua ad avere una visione dell’Età dell’Oro
fissa nel passato, continua a parlare di una gloria lontana e vuole farla
rivivere. Eppure, stranamente, anche qualcuno come Guruji fa parte dell’India
moderna ed è in grado di offrire a Ganesh una visione seducente della vita e
della Storia.
Il Guru finisce per tradire Gaitonde: è il tradimento uno dei temi
importanti del libro?
Il Guru tradisce
Gaitonde e anche la carriera di Gaitonde inizia con un tradimento. Penso che le
questioni di lealtà, tradimento e amore siano sempre presenti. La domanda che
si pone è: a quanto siamo disposti a rinunciare per attuare l’idea che abbiamo
di noi stessi nel mondo? Ad iniziare da Gaitonde che uccide il suo mentore per
incominciare la sua ascesa, parecchi personaggi nel libro si confrontano con la
stessa domanda : anche Sardaj deve affrontarla, quando gli offrono di salvare
la vita di alcune persone ma tradendo qualcuno. E l’altra importante questione
è- quanto di te stesso tradisci in questa visione che hai? Guruji fa parte di
questo modello: per lui questa gigantesca visione apocalittica che ha supera
qualunque lealtà verso l’individuo, niente ha valore accostato a questo.
L’effetto delle ideologie è il seguente: quando esplori i prezzi da pagare,
diventa chiaro che la vita individuale non ha alcun valore.
Ha accennato al fatto che la sua famiglia lavori nel mondo del cinema,
una lunga sezione del libro è ambientata nel mondo del cinema: perché ha dato
tanto rilievo a questa parte?
Per parecchi motivi, uno
è che penso sia impossibile scrivere dell’India contemporanea senza considerare
il ruolo del cinema. In un paese in cui il 39% della popolazione è analfabeta,
questo mezzo visivo è molto importante. Dopo l’indipendenza gran parte delle
nostre conversazioni su chi siamo, dove stiamo andando, che cosa abbiamo perso
e che cosa abbiamo guadagnato sono proseguite attraverso il cinema. Il cinema è
molto popolare in India, mi sembrava facesse parte della vita delle persone
intorno a me, di come costruiscono il significato della vita e che i loro
valori fossero connessi con il cinema. E poi ci sono forti connessioni tra la
malavita e il cinema: spesso i finanziamenti per il film vengono dalla
malavita, è un tipo di affare conveniente per i criminali, ottimo per lavare il
denaro sporco. E poi agli uomini del crimine piacciono il fascino e le donne del mondo del cinema…E fa anche
parte di una maniera di vedere se stessi: sappiamo di gangster che hanno dato
suggerimenti per la trama del film da loro finanziato. Costruiscono una visione
epica di se stessi, si raffigurano più grandi ancora di quello che sono nella
vita reale, ricavandone un senso di importanza. Gaitonde vuole vedersi non più
solo come un individuo solitario ma come facente parte di un significato più
ampio. La parola giusta da usare è “epica”: vogliono una visione epica di se
stessi.
Ganesh Gaitonde è un boss della mafia, i lettori italiani non possono
non rilevare la sua somiglianza con i boss della mafia siciliana. Certamente
non è “buono” e tuttavia lo ammiriamo: perché? Forse perché è anche una sorta
di re “illuminato”?
Quello che mi è successo
è che all’inizio ero pieno di paura e rabbia, mi domandavo chi fossero questi
mostri, come potevo confrontarmi con loro. E poi ad un certo punto mi sono reso
conto che la cosa più spaventosa era che non sono mostri, sono persone
ordinarie capaci di fare cose terribili. La loro ordinarietà era importante da
mantenere e da mettere su pagina anche per il lettore: volevo che il lettore
non liquidasse Ganesh come un mostro all’opera, un folle, etichetta facile da
applicare a persone che commettono atti che troviamo inaccettabili. Mi sembrava
importante che il lettore fosse implicato nelle sue paure, nel suo
sradicamento, nella sua ambizione, nelle sue gioie, vittorie, la sua
soddisfazione nell’essere il protettore della sua gente.
Il titolo del film finanziato da Gaitonde è “International Damakha”,
cioè “Esplosione internazionale”: il titolo del film, il fatto che il film sia
un fiasco, sono in qualche modo un riferimento alla trama nascosta, quella del
pericolo nucleare?
Giocavo con tutte queste
idee, pensavo di smascherare l’infrastruttura tipica di un thriller. Il lettore
avrebbe capito che il romanzo stesso rompe tutte le regole- così come Gaitonde
pretende di dire come si dovrebbe fare il film. Perché queste persone della
malavita cercano una storia che gli spieghi la loro vita? In fin dei conti facciamo
tutti la stessa cosa, anche io faccio la stessa cosa, organizzando una storia
che catturi l’attenzione del lettore. Quando i personaggi parlano di questo
film che è su un gangster coinvolto in un intrigo internazionale, è anche un’auto-riflessione
ironica su Ganesh stesso e pure sul mio romanzo. Il libro rompe le regole, uno
dei temi centrali è proprio la domanda, come spieghiamo la nostra vita? Quanto
siamo capaci di capire e di sapere? Trovavo divertente smascherare o
giustapporre la maniera in cui uno scrittore organizza la narrativa per il
lettore: il film parla del libro che il lettore sta leggendo- spero che non
sembri troppo metaletteratura. Il titolo del film parla di un’esplosione
internazionale, riflette la trama del libro, quello che succede ai personaggi
del libro e a noi che nella vita reale facciamo resistenza a questa narrativa.
E’ come se Ganesh dicesse, ‘so che non mi crederete, perché avete visto questa
scena in un film’.
Il personaggio di Anjali che lavora nei servizi segreti è elusivo e
intrigante: un nuovo ruolo per una donna indiana?
Mi piaceva il personaggio
di Anjali: il fatto che lavori nell’Intelligence Service in India la rende
un’estranea e lei se ne rende conto. La sua posizione è parallela a quella di
Sardaj, un sikh nel dipartimento di polizia di Bombay. In India ci sono delle
donne nell’Intelligence Service, non molte, ma alcune sì. Mi intrigava che ci
fosse qualcuno come Anjali che facesse il suo lavoro usando l’analisi, non con
le azioni spericolate di James Bond ma con la capacità di vedere degli schemi
in quanto accade. Anjali cerca di raccogliere informazioni e metterle insieme.
E’ ancora la mia ossessione con le persone che cercano di costruire una storia
e di capire il significato di quello che sta succedendo.
Il racconto degli avvenimenti principali è interrotto, nel romanzo, da
alcuni inserti che contengono altre storie che vanno a riempire dei vuoti o a
svelare misteri dei racconti principali: perché ha impiegato questi inserti?
Per un paio di motivi:
pensavo a questa idea di simmetria di cui parla il guru, al doppio delle storie
poliziesche. Gli inserti rompono questa simmetria che è un’idea semplificata
dell’universo. Gli inserti balzano fuori nel mezzo delle due narrazioni
principali e introducono complicazioni al di fuori di questo schema principale.
Volevo creare come l’immagine di un mandala- e Sartaj infatti va a vedere un
mandala. In apparenza gli inserti parlano di avvenimenti cronologicamente
distanti e di cui non capiamo il nesso, ma l’artista sistema il mandala in
maniera che chi lo guarda è invitato a cercarne il senso. Lo schema del mandala
è più complicato del semplice doppio. In una detective story vuoi sapere perché
succeda qualcosa. La struttura del libro ci porta a qualcosa di opposto: non possiamo
sapere perché sia successo qualcosa, perché quello che fa un romanzo è
presentarti dei personaggi in primo piano e altri periferici che sono soggetti
all’azione principale. Ma se uno di questi personaggi secondari fa qualcosa che
non dovrebbe fare, tutto cambia. Nel centro della nostra vita noi non possiamo
capire tutto- se io sto nel centro del mandala non posso capire quello che mi
circonda. Questa è una delle consolazioni che ci offre la letteratura: la
sensazione di completezza, il suggerimento a capire il tutto.
recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos
Nessun commento:
Posta un commento