Voci da mondi diversi. Russia
il libro ritrovato
Vasilij Grossman, “Vita e destino”
Ed. Adelphi, trad. Claudia
Zonghetti, pagg. 827, Euro 34,00
Erano giornate straordinarie!
Krymov aveva l’impressione che la
storia non fosse più un libro, ma che fosse confluita nella vita vera, confondendosi
con essa.
Ci sono dei libri che sono di più che dei semplici romanzi. Sono dei
libri-mondo, perché racchiudono tutto il mondo dentro di sé e, a lettura
terminata, lasciano una sensazione di completezza, come se niente altro potesse
venire aggiunto a quanto essi contengono. I libri-mondo sono quelli che
sceglieremmo se dovessimo essere confinati su un’isola deserta, perché siamo
certi di poterli rileggere senza fine, godendone ogni volta, anzi di più,
perché scopriremmo nuovi significati ad ogni nuova lettura.
“Vita e destino” del russo Vasilij Grossman
è un libro-mondo che non ha bisogno di aggettivi per qualificarsi. Ma lo
diciamo ugualmente: è straordinario. Un libro-mondo ad iniziare dal titolo, che
fa pensare a quello tolstojano di “Guerra e pace”, ma è più complesso. Il
titolo di Grossman non gioca su due opposti, piuttosto suscita la riflessione
su quale sia il legame tra la vita e il destino, e la risposta verrà solo alla
fine, nel caso non l’avessimo appresa dalle 800 pagine precedenti. Perché “in
epoche tremende l’uomo non è più artefice del proprio destino”, anzi, “è il
destino del mondo ad arrogarsi il diritto di condannare o concedere la grazia,
di portare gli allori o di ridurre in miseria…”. Che cosa può fare allora
l’uomo, nelle grinfie della Storia, succube della collera dello Stato? Soltanto
cercare di difendere, a tutti i costi, il suo diritto di chiamarsi uomo.
E’ questa la preoccupazione costante dei protagonisti di
“Vita e destino” e a noi lettori italiani, nella cui memoria è indelebile il
“Se questo è un uomo” di Primo Levi, pare di guardare la scena dal lato opposto
di una lente. Oppure dall’alto di una scala da cui non si è ancora precipitati.
Così Sof’ja Osipovna si avvia verso la camera a gas stringendo la manina di un
bambino non suo; così il prigioniero russo Chnel’kov avverte di essere più
colpevole dell’uomo con cui lavora a smistare cadaveri- perché questi è
scagionato dall’essere nato mostro, mentre lui, Chnel’kov, è nato uomo e non
mostro; così lo scienziato Viktor Pavlovič Strum, dopo aver firmato una
lettera di falsa accusa contro due medici, prova schifo verso se stesso e
promette di lottare, per ogni giorno e ogni ora e ogni anno a venire, “per
conquistarsi il diritto di essere uomo”.
E’ difficile
cogliere il punto da cui iniziare a parlare di un libro-mondo, ma, dopotutto,
il mondo è sferico e di ardua presa. Qui il nodo centrale è dato dall’assedio
di Stalingrado che durò dall’autunno 1942 al 2 febbraio 1943: momento cruciale
della guerra che, terminando con l’inattesa sconfitta della VI armata tedesca,
segnò l’inversione delle sorti e diede il via all’Armata Rossa verso Berlino.
Come l’insediarsi di Napoleone a Mosca era stato tutt’altro che una vittoria,
ma il presupposto per la ritirata. E, proprio come Tolstoj aveva dipinto un
enorme affresco della guerra contro i francesi, con due grandi famiglie- i
Rostov e i Bolkonskj- in primo piano, Vasilij Grossman ritrae la lotta dei
russi contro i tedeschi (l’umiliazione delle sconfitte dapprima, la tenace
resistenza poi e infine la vittoria russa e la cattura del generale Paulus come
prigioniero), seguendo nel contempo le vicende della famiglia Šapošnikov- c’è
chi è sfollato a Kazan (Ljudmila Šapošnikov con la madre, la figlia e Viktor
Strum, suo secondo marito) per poi tornare a Mosca, chi combatte a Stalingrado
(Krymov, il primo marito di Ženja, sorella di Ljudmila), chi viene deportato
dal ghetto (“Vivi, vivi per sempre…”, sono le ultime parole dell’ultima lettera
della madre al figlio Viktor, personaggio che è riflesso dell’autore stesso), chi
è in un lager stalinista ( “Invidio chi sta nei lager tedeschi”- dice il primo
marito di Ljudmila- “Che bellezza! Sapere che a picchiarti è un nazista. A noi,
invece, è toccata una sorte tremenda: siamo prigionieri dei nostri stessi
compagni”), chi muore (il giovane figlio di Ljudmila) e chi nasce (sì, si viene
al mondo anche sotto le bombe, anche su una chiatta, come succede al bimbo di
Vera, nipote di Ljudmila).
In un
libro-mondo c’è tutto, tutti i sentimenti- dai più abietti ai più generosi-,
tutti i legami- di amicizia e di amore, tutte le ambizioni e tutte le paure. In
un libro-mondo che è la storia d’Europa negli anni centrali del XX secolo c’è
anche lo scontro tra i blocchi delle due maggiori ideologie e la constatazione sconfortante
che le somiglianze tra nazismo e comunismo sono di più delle loro differenze,
perché qualunque dittatura si regge su una sorta di ipnosi con cui ottiene
l’obbedienza, su una nuova maniera di plagiare gli esseri umani riducendoli ad
una condizione di remissività totale, ad una sorta di paralisi estrema dei
cuori. I campi di concentramento hitleriani si equivalgono a quelli di Stalin
(cambia, forse, un’incredibile ingenuità che non vuole abbandonare un mito: “Ma
fammi capire: Stalin le sa, queste cose?”), la punizione per il dissenso è
uguale ed uguale è pure la visione megalomane del futuro in entrambe le
dittature. “E’ come se ci guardassimo allo specchio”, dice il nazista Liss al
bolscevico prigioniero. “”E’ la tragedia della nostra epoca: odiando noi odiate
voi stessi.”
Terminare di
parlare di un libro-mondo è altrettanto difficile quanto incominciare a
parlarne. Perché non si finirebbe più- sono talmente tante le cose da dire e
speriamo di non aver tralasciato quelle essenziali, che invitano ad aprire il
libro. Lasciamo al lettore scoprire le altre, addentrandosi nella mente dei
personaggi e imparando a conoscerli dopo il problema iniziale (non mentiamo, è un piccolo problema) di districarsi
tra nomi composti da un primo nome, un secondo nome che è il patronimico, il
cognome e, spesso, il diminutivo del nome.
Ancora un cenno alla storia di “Vita
e destino”, avventurosa quanto le vicende che contiene. Il primissimo titolo
della prima stesura sarebbe dovuto essere “Stalingrado”, sostituito con “Per
una giusta causa”, più palatabile per la censura, e il libro uscì in fascicoli
nel 1952. Dopo la morte di Stalin nel 1953, Grossman rimise mano al romanzo, in
pratica lo riscrisse, dandogli il titolo che conosciamo. E però la rivista a
cui lo inviò per pubblicazione lo consegnò immediatamente al Kgb che non solo
sequestrò il romanzo, ma addirittura requisì la macchina da scrivere di
Grossman: di certo lo scrittore sarebbe finito in Siberia se Stalin fosse stato
ancora vivo. Comunque Grossman cercò di protestare- il capo della sezione
ideologica del partito, dopo averlo convocato, gli disse che il suo romanzo
probabilmente non avrebbe visto la luce prima di due o trecento anni. La
fortuna di noi lettori sta nel fatto che Vasilij Grossman (morto nel
E vogliamo
lasciare il lettore con una delle tante immagini molto belle che costellano il
libro, pur nell’asciuttezza dello stile. Perché ci richiama alla mente una
pagina joyciana e assume un valore metaforico, con la candida neve a coprire le
brutture del mondo: La neve si posava
sulle spalle di Bach ed era come se il silenzio scendesse a fiocchi sul Volga
ammutolito, sulla città morta, sulle carcasse dei cavalli; nevicava ovunque,
non solo sulla terra, ma anche sulle stelle, l’universo era pieno di neve. E
sotto la neve tutto spariva: i cadaveri dei caduti, le armi, i vestiti putridi,
i sassi, il ferro ritorto.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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