domenica 15 febbraio 2015

Adam Johnson, “Il Signore degli Orfani” ed. 2013

                                                             Voci da mondi diversi. Asia
                                                             il libro ritrovato


Adam Johnson, “Il Signore degli Orfani”
Ed. Marsilio, trad. Fabio Zucchella, pagg. 554, Euro 21,00
Titolo originale: The Orphan Master’s Son

Nella Prigione 33 a poco a poco rinunciavi a tutto, a cominciare dal tuo domani a da tutto ciò che avrebbe potuto essere. poi se ne andava anche il tuo passato, e all’improvviso ti risultava incomprensibile l’idea di aver appoggiato la testa su un cuscino, di aver usato una saponetta o una stanza da bagno, l’idea che un tempo al tua bocca avesse conosciuto dei sapori, che i tuoi occhi avessero visto colori diversi dal grigio, dal marrone, dalla tonalità di nero assunta dal sangue. Prima di rinunciare a te stesso- e G aveva provato quella sensazione, simile all’intorpidimento che coglie le membra congelate- ti staccavi da tutti gli altri, da tutte le persone che conoscevi.

          John Doe è, in inglese, il nome che indica il signor Nessuno, o l’uomo qualunque. Si chiama Jun Do il protagonista dello straordinario romanzo di Adam Johnson, “Il Signore degli Orfani”. A Jun Do il nome venne dato come avviene di prassi per gli orfani nella Corea del Nord, scegliendolo tra quelli dei centoquattordici martiri della Patria, anche se Jun Do non era un vero e proprio orfano, era il figlio del direttore dell’orfanotrofio la cui moglie (e madre del bambino) era scomparsa. Ma sono talmente tante le persone che scompaiono nella terra governata dal Caro Leader Kim Jong-Il che è meglio non fare mai domande su dove siano finite.
Prendiamo gli anziani, ad esempio. A quanto pare tutti gli anziani si godono la meritata tranquillità della pensione nella città di mare di Wonsan. Nessuno si è mai fatto vivo con una lettera? Ebbene, hanno il diritto di stare finalmente in pace e di non preoccuparsi di niente e di nessuno. Quando l’attrice Sun Moon dice al Caro Leader che desidererebbe tanto avere notizie di sua madre che si trova a Wonsan, lui la rassicura: riceverà certamente una lettera da lei, scritta a macchina. Ma questo accade in un incontro cruciale verso la fine del romanzo, quando il lettore ha già capito che niente di quanto viene detto corrisponde alla realtà nella Repubblica Democratica Popolare di Corea, che c’è un risvolto buio per tutto, che la vita quotidiana è più o meno identica a quella descritta da Orwell in “1984”, che la differenza tra un Caro Leader, un Piccolo Padre o un Grande Timoniere, è solo nell’inventiva pateticamente e grottescamente affettuosa con cui i dittatori si scelgono il titolo con cui vogliono essere chiamati (tutto sommato, “Duce” era più dignitoso)- tutti loro sono padroni della vita e della morte dei cittadini, tutti, esattamente come il Big Brother orwelliano, spiano anche i pensieri di coloro che sono democraticamente i loro sudditi, dettandogli la maniera di interpretare gli eventi nazionali e internazionali.
Wonsan

    “Il Signore degli Orfani” è un terribile romanzo di formazione e, nello stesso tempo, è romanzo di avventura, storia d’amore e satira politica che va al di là di qualunque distopia. C’è un ‘prima’ e un ‘dopo’ nella vita di Jun Do, così come ci sono due parti nel romanzo- la prima intitolata “La biografia di Jun Do” e la seconda “Le confessioni del Comandante Ga”. Il ‘prima’ di Jun Do ci racconta degli anni in cui- come gli altri orfani- viene mandato a perlustrare i tunnel della zona demilitarizzata tra le due Coree, passando poi di grado quando il suo compito diventa quello di rapire delle persone e infine, imbarcato su un peschereccio, deve captare i messaggi radio dei nemici, siano essi americani o giapponesi. Jun Do è l’unico scapolo a bordo del peschereccio: una moglie e una famiglia sono la leva più forte per ricattare gli uomini, nessuno si azzarderà a disertare se sa che a terra ha lasciato chi verrà punito al suo posto. E ogni pescatore ha l’immagine della moglie, come segno di riconoscimento, tatuata sul petto. Anche a Jun Do verrà tatuata un’immagine di donna- quella della bellissima attrice che rappresenta il meglio della Corea, Sun Moon, la preferita del Caro Leader, moglie del temuto Comandante Ga, Ministro delle Prigioni. Le imprese di Jun Do sono molte- riporta delle ferite di una lotta con uno squalo (una storia tutta inventata per salvare più di una vita), viene mandato in missione in Texas (la sua meraviglia sembra quella del Selvaggio John in “Coraggioso Nuovo Mondo” di Huxley), finisce nella Prigione 33 dove impara a mangiare falene per sopravvivere. Finché…esce dalla prigione nei panni del Comandante Ga che lui stesso ha ucciso, e ne prende il posto, anche come marito di Sun Moon: dopo tutto, non ha l’immagine di lei tatuata sul petto? E un individuo è la storia che racconta di sé.
    Adam Johnson ci racconta una storia terribile di cui spesso tocca al lettore interpretare il significato- della gente che ruba i fiori nel cimitero per mangiarli, delle torture raffinatamente crudeli nelle carceri, dei campi di lavoro in cui neppure la metà degli internati sopravvive, dei prigionieri lobotomizzati per stroncare ogni ribellione, dei test di lealtà, delle delazioni incoraggiate, delle ricerche per gli armamenti nucleari a scapito del benessere della popolazione (l’11 di febbraio di quest’anno la Corea ha portato a termine il suo terzo test di esplosione nucleare). E lo fa cambiando spesso registro narrativo, passando da un narratore onnisciente ad un altro che è un addetto gli interrogatori e poi alla voce degli altoparlanti che martellano la verità ufficiale e indiscutibile nella testa degli ascoltatori.

Non possiamo aspettarci un lieto fine, in un romanzo come “Il Signore degli Orfani”. Anche se la forza redentrice dell’amore è un messaggio di speranza, anche se il comportamento di Jun Do è adeguato a quello del martire da cui ha preso il nome. A noi resta impressa un’immagine cruenta che non viene descritta e che ci ricorda una macabra novella di Roald Dahl intitolata “Pelle”: il Male non sopporta di venire beffato, la virulenza con cui reagisce è tremenda.
Una nota storica: il Caro Leader Kim Jung-Il è morto nel 2011. Chissà come è stato accolto nell’aldilà.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it



    

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