Adam Johnson, “Il Signore degli Orfani”
Ed. Marsilio, trad. Fabio
Zucchella, pagg. 554, Euro 21,00
Titolo originale: The Orphan Master’s Son
Nella Prigione 33 a poco a poco
rinunciavi a tutto, a cominciare dal tuo domani a da tutto ciò che avrebbe
potuto essere. poi se ne andava anche il tuo passato, e all’improvviso ti
risultava incomprensibile l’idea di aver appoggiato la testa su un cuscino, di
aver usato una saponetta o una stanza da bagno, l’idea che un tempo al tua bocca
avesse conosciuto dei sapori, che i tuoi occhi avessero visto colori diversi
dal grigio, dal marrone, dalla tonalità di nero assunta dal sangue. Prima di
rinunciare a te stesso- e G aveva provato quella sensazione, simile
all’intorpidimento che coglie le membra congelate- ti staccavi da tutti gli
altri, da tutte le persone che conoscevi.
John Doe è, in inglese, il nome che
indica il signor Nessuno, o l’uomo qualunque. Si chiama Jun Do il protagonista
dello straordinario romanzo di Adam Johnson, “Il Signore degli Orfani”. A Jun
Do il nome venne dato come avviene di prassi per gli orfani nella Corea del
Nord, scegliendolo tra quelli dei centoquattordici martiri della Patria, anche
se Jun Do non era un vero e proprio orfano, era il figlio del direttore
dell’orfanotrofio la cui moglie (e madre del bambino) era scomparsa. Ma sono
talmente tante le persone che scompaiono nella terra governata dal Caro Leader
Kim Jong-Il che è meglio non fare mai domande su dove siano finite.
Prendiamo
gli anziani, ad esempio. A quanto pare tutti
gli anziani si godono la meritata tranquillità della pensione nella città di
mare di Wonsan. Nessuno si è mai fatto vivo con una lettera? Ebbene, hanno il
diritto di stare finalmente in pace e di non preoccuparsi di niente e di
nessuno. Quando l’attrice Sun Moon dice al Caro Leader che desidererebbe tanto
avere notizie di sua madre che si trova a Wonsan, lui la rassicura: riceverà
certamente una lettera da lei, scritta a
macchina. Ma questo accade in un incontro cruciale verso la fine del
romanzo, quando il lettore ha già capito che niente di quanto viene detto
corrisponde alla realtà nella Repubblica Democratica Popolare di Corea, che c’è
un risvolto buio per tutto, che la vita quotidiana è più o meno identica a
quella descritta da Orwell in “1984”, che la differenza tra un Caro Leader, un
Piccolo Padre o un Grande Timoniere, è solo nell’inventiva pateticamente e
grottescamente affettuosa con cui i dittatori si scelgono il titolo con cui
vogliono essere chiamati (tutto sommato, “Duce” era più dignitoso)- tutti loro sono
padroni della vita e della morte dei cittadini, tutti, esattamente come il Big
Brother orwelliano, spiano anche i pensieri di coloro che sono democraticamente i loro sudditi,
dettandogli la maniera di interpretare gli eventi nazionali e internazionali.Wonsan |
“Il Signore degli Orfani” è un terribile
romanzo di formazione e, nello stesso tempo, è romanzo di avventura, storia
d’amore e satira politica che va al di là di qualunque distopia. C’è un ‘prima’
e un ‘dopo’ nella vita di Jun Do, così come ci sono due parti nel romanzo- la
prima intitolata “La biografia di Jun Do” e la seconda “Le confessioni del
Comandante Ga”. Il ‘prima’ di Jun Do ci racconta degli anni in cui- come gli
altri orfani- viene mandato a perlustrare i tunnel della zona demilitarizzata
tra le due Coree, passando poi di grado quando il suo compito diventa quello di
rapire delle persone e infine, imbarcato su un peschereccio, deve captare i
messaggi radio dei nemici, siano essi americani o giapponesi. Jun Do è l’unico
scapolo a bordo del peschereccio: una moglie e una famiglia sono la leva più
forte per ricattare gli uomini, nessuno si azzarderà a disertare se sa che a
terra ha lasciato chi verrà punito al suo posto. E ogni pescatore ha l’immagine
della moglie, come segno di riconoscimento, tatuata sul petto. Anche a Jun Do
verrà tatuata un’immagine di donna- quella della bellissima attrice che
rappresenta il meglio della Corea, Sun Moon, la preferita del Caro Leader,
moglie del temuto Comandante Ga, Ministro delle Prigioni. Le imprese di Jun Do
sono molte- riporta delle ferite di una lotta con uno squalo (una storia tutta
inventata per salvare più di una vita), viene mandato in missione in Texas (la
sua meraviglia sembra quella del Selvaggio John in “Coraggioso Nuovo Mondo” di
Huxley), finisce nella Prigione 33 dove impara a mangiare falene per
sopravvivere. Finché…esce dalla prigione nei panni del Comandante Ga che lui
stesso ha ucciso, e ne prende il posto, anche come marito di Sun Moon: dopo
tutto, non ha l’immagine di lei tatuata sul petto? E un individuo è la storia che racconta di sé.
Adam Johnson ci racconta una storia
terribile di cui spesso tocca al lettore interpretare il significato- della
gente che ruba i fiori nel cimitero per mangiarli, delle torture raffinatamente
crudeli nelle carceri, dei campi di lavoro in cui neppure la metà degli
internati sopravvive, dei prigionieri lobotomizzati per stroncare ogni
ribellione, dei test di lealtà, delle delazioni incoraggiate, delle ricerche
per gli armamenti nucleari a scapito del benessere della popolazione (l’11 di
febbraio di quest’anno la Corea ha portato a termine il suo terzo test di
esplosione nucleare). E lo fa cambiando spesso registro narrativo, passando da
un narratore onnisciente ad un altro che è un addetto gli interrogatori e poi
alla voce degli altoparlanti che martellano la verità ufficiale e indiscutibile
nella testa degli ascoltatori.
Non possiamo aspettarci un lieto
fine, in un romanzo come “Il Signore degli Orfani”. Anche se la forza
redentrice dell’amore è un messaggio di speranza, anche se il comportamento di
Jun Do è adeguato a quello del martire da cui ha preso il nome. A noi resta
impressa un’immagine cruenta che non viene descritta e che ci ricorda una
macabra novella di Roald Dahl intitolata “Pelle”: il Male non sopporta di
venire beffato, la virulenza con cui reagisce è tremenda.
Una nota storica: il Caro Leader
Kim Jung-Il è morto nel 2011. Chissà come è stato accolto nell’aldilà.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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