venerdì 13 febbraio 2015

Audrey Magee, “Quando tutto sarà finito” ed. 2015

                                    Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
                                                              seconda guerra mondiale
                                                              FRESCO DI LETTURA


Audrey Magee, “Quando tutto sarà finito”
Ed. Bollati Boringhieri, trad. Carlo Prosperi, pagg. 317, Euro 18,00, e-book Euro 5,99
Titolo originale: The Undertaking

“Tu perché stai combattendo, Faber?”
“Per proteggere mia moglie e mio figlio. Per garantire loro un futuro”.
“Storie. Non avevi né moglie né figlio quando è iniziata la guerra. Voglio un motivo reale”.
“E’ questo il motivo reale”.
“E’ un motivo balordo”.
Faber lo fissò, senza vedere nulla nel buio pesto.
“E’ l’unico che ho”.
“E’ per questo che ti sei sposato? In modo da avere una scusa per ammazzare?”
“Mi sono sposato per avere una licenza”.
“Ci si pugnala una gamba, per ottenere una licenza. Non ci si sposa”.


  Un inizio sottilmente inquietante, perché non ci è chiaro se quanto accade celi una violenza di qualche genere. Un uomo scosta del filo spinato da un palo e ci attacca la fotografia di una donna, legandola con uno spago. Quando un cappellano arriva sulla scena capiamo che la violenza è nel mondo circostante dilaniato dalla guerra. Peter Faber sposa per procura Katharina Spinell che, alla stessa ora, partecipa ad un’analoga cerimonia a Berlino. Non si sono mai visti, si sono scelti sulle fotografie. Il motivo di lui per sposarsi: avere dieci giorni di licenza, per allontanarsi da quel ‘letamaio’. Il motivo di lei: godere della pensione, nel caso rimanga vedova.
   Nel suo primo romanzo la scrittrice irlandese Audrey Magee ci riporta alla seconda guerra mondiale, ad una storia d’amore che incomincia come tante altre storie di matrimoni di guerra, soltanto che poi accade l’imprevisto- Peter e Katharina si innamorano. Se lui pensava di aver già vissuto all’inferno, si sarebbe ricreduto a Stalingrado. Se lei era certa, perché suo padre le diceva così, che la guerra sarebbe finita presto e naturalmente i tedeschi avrebbero vinto, si sarebbe accorta che le notizie che arrivavano alla popolazione erano falsamente ottimiste, che neppure il Führer poteva impedire che Berlino venisse rasa al suolo e tantomeno fermare l’avanzata dell’Armata Rossa.
Sullo sfondo di avvenimenti storici che ben conosciamo Audrey Magee conduce la vicenda dei suoi personaggi su un duplice binario- Katharina che vive la guerra a Berlino e Peter che combatte in Russia. Soprattutto- e qui le è di grande aiuto lo stile asciutto e privo di fronzoli- Audrey Magee ritrae la zona grigia di una nazione in guerra, quella abitata da tutti coloro che ‘dopo’ avrebbero detto che non sapevano nulla, che non avevano visto nulla, che avevano eseguito degli ordini. Così Peter Faber (professione maestro), nei dieci giorni di licenza prolungati grazie all’onnipotente dottor Weinart amico del suocero, invece di limitarsi a stare a letto con la mogliettina, prende parte a spedizioni notturne per cacciare gli ebrei dalle loro case, senza alcuna pietà per bambini piangenti.  Questo è l’uomo che, al fronte, porterà vicino al cuore la foto della moglie e del bambino nato nove mesi dopo la licenza (nessun permesso speciale per vedere il bambino, da Stalingrado non si muove nessun soldato, a meno che non si spari in un piede). Così Katharina segue i genitori in una casa nuova, grande e lussuosa. Se ha degli scrupoli, non sono per i legittimi proprietari la cui sorte non l’interessa, ma per timore che Peter non la trovi quando tornerà. Quando lei e la madre usano vestiti e piatti e posate che appartenevano agli ebrei che abitavano lì, si dicono l’un l’altra con cinismo che intanto a ‘loro’ non servono più. Fino quasi alla fine Peter Faber continua a credere nella propaganda, che sia il diritto della Germania espandersi per assicurare un futuro glorioso alle prossime generazioni, che i soldati tedeschi siano migliori di quei russi selvaggi.
Quando gli è chiaro che nessuno li tirerà fuori da Stalingrado, lui che ha tenuto duro perché vuole una sola cosa- rivedere Katharina e il piccolo Johannes- fa l’unica cosa che gli resta da fare, sperando di vivere e non morire. A Berlino Katharina è più lucida, non si fa illusioni- no, loro non sono migliori dei russi, i tedeschi hanno fatto cose tremende e quello che i russi fanno e faranno a loro è ampiamente meritato.
     Come può terminare un libro in cui la guerra è la grande protagonista? Bene e male. A tutti i lettori, leggendo la fine tristissima, verrà in mente la scena desolata dell’incontro tra gli ex amanti appassionati Winston e Julia in “1984” di Orwell. A me è venuto anche in mente Angel Clare e la sua reazione, quando, in “Tess” di Thomas Hardy, apprende del passato di Tess che ha appena sposato.
Il merito di Audrey Magee è di aver ‘rinfrescato’ la Storia- poche descrizioni e le parole dei dialoghi, vivi e realistici, che esprimono i pensieri meglio di qualunque dissertazione.



la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


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