Casa Nostra. Qui Italia
FRESCO DI LETTURA
Pina Ligas, “Solo il mio silenzio”
Ed. Pintore, pagg. 202, Euro
15,00
“No che non va bene! Tu hai sbagliato e
tutti noi paghiamo il tuo sbaglio, cosa credi che se ti intestardisci come un
asino tutto si risolve? Pensa solo a questo figlio come dovrà crescere. Pensa a
noi, ai tuoi fratelli e a Juanne che dovremo abbassare la testa quando ci
faranno il verso del bue. A tua sorella quando verrà additata come la sorella
della bagassa”.
Diciamo, ‘Sardegna’. E pensiamo a sole, mare di un blu che è inutile
andare a cercarlo alle Seychelles, spiagge di sabbia bianca, Costa Smeralda,
estate, atmosfera spensierata di vacanza. Non pensiamo all’altra Sardegna
carica di tradizioni e di un peso millenario di stenti, sfruttamento, malattie
endemiche come la malaria o il favismo che hanno alterato la struttura ossea
degli abitanti. Non pensiamo alla chiusura che è propria di un’isola dove è
giocoforza che le idee innovative e i cambiamenti arrivino con ritardo e
vengano accolti con diffidenza. E’ questa Sardegna dove il colore dominante è
il nero dei fazzoletti che coprono il capo delle donne che fa da sfondo nel
romanzo dolente di Pina Ligas.
Si intitola “Solo il mio silenzio”, perché
il silenzio è il muraglione di difesa dell’isola e degli isolani, solo il
silenzio può sviare una vendetta o una rappresaglia, può difendere fino alla
morte un segreto gelosamente custodito. Il silenzio pesa su cinque generazioni
di Ferrai: quando Vittoria, figlia di Juanne Ferrai, mette al mondo un figlio
senza essere sposata, nessuno e niente riesce a farle dire il nome di chi l’ha
messa incinta. Il bimbo è biondo, ha gli occhi chiari, quando mai il padre le
ha permesso di andare a servizio da dei continentali? Vittoria tace, sa fin
troppo bene che un nome darebbe inizio ad una catena di sangue. Chiama il
figlio Vincenzo, non è un nome di famiglia. Sempre, in ogni luogo, un bastardo
è oggetto di canzonature e insulti, figurarsi in Sardegna. Burdiscu. E’ un marchio che Vissente
si porterà dietro tutta la vita. Insisterà a chiedere a sua madre fin sul letto
di morte di dirgli il nome del padre. La sua famiglia vivrà chiusa, ‘blindata’
in un’isola chiusa- Vincenzo non permetterà che alle sue figlie succeda quello
che è successo a sua madre. Peggio ancora, le sue figlie non si sposeranno
neppure, ci penserà lui ad allontanare i pretendenti. E peccato che nessuna di
loro voglia entrare in convento, sposare Cristo come hanno fatto due cugine.
Soltanto una di loro, la piccola Silvia, sfuggirà alla sorveglianza paterna,
solo lei si sposa. Ma finirà veramente con lei l’ossessione della verginità e
dell’onore?
Se questa è la storia di fondo
che scorre nelle pagine del romanzo, altre piccole storie ampliano la vicenda
famigliare, ci fanno conoscere la vita della Sardegna di fine ‘800 e della
prima metà del ‘900, quali siano state le conseguenze negative dell’unità
d’Italia per l’isola, il durissimo lavoro in miniera senza alcuna tutela per i
minatori (Giulio, uno dei figli di Vincenzo, emigra in America per sfuggire al
buio tombale della miniera di carbone), la migrazione degli abitanti della
marina verso la montagna per salvarsi dal clima insalubre, la diffusione della
malaria che falcia vittime in ogni famiglia prima delle bonifiche mussoliniane,
quell’altra malattia, il favismo, che è diventata parte del patrimonio genetico
sardo e che colpisce la bimba Silvia.
Il linguaggio che impiega Pina Ligas per
raccontarci la sua Sardegna è colloquiale, popolare e spontaneo, e ben ci
stanno alcuni termini dialettali, muccadore, valentia, biddunchi, burdiscu (niente
paura, una nota a pié pagina traduce le parole), non solo perché danno colore,
ma perché sono quelli ‘giusti’ in questo contesto, aggiungono forza e
drammaticità alla narrazione.
Il romanzo di Pina Ligas ha il
sapore del realismo verghiano. Nonostante i colori che balenano nelle
descrizioni della natura, “Solo il mio silenzio” è come un film in bianco e
nero. Anzi, è come se il bianco e il nero- soprattutto il nero- lottassero per
spegnere i colori, per soffocare l’anelito alla gioia, come se questa fosse una
colpa. Un romanzo aspro e ruvido quanto i cespugli di lentisco o di ginestra
che ricoprono l’isola.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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