vento del Nord
il libro ritrovato
Henning Mankell, “Scarpe italiane”
Ed. Marsilio, trad. Giorgio
Puleo, pagg. 332, Euro 18,00
Titolo originale: Italienska skor
Una figura nera si stagliava contro la
distesa bianca.. Il sole era vicino all’orizzonte. Socchiusi gli occhi per
distinguere chi fosse. Vidi che era una donna, sembrava appoggiata a una
bicicletta. Ma poi mi resi conto che si trattava di un deambulatore. Tremavo
per il freddo.. Chiunque fosse, non potevo restare lì nudo, accanto al mio
buco. Mi affrettai a tornare in casa chiedendomi se avessi avuto una visione.
C’è un tipo di solitudine che è solamente nordica: è questa la nostra
prima riflessione, dopo aver terminato la lettura di “Scarpe italiane” di
Henning Mankell. Perché ci pare impossibile identificare la solitudine
assoluta, quella del corpo e dell’anima, con il blu del cielo e del mare del
Mediterraneo, con il calore del sole. Mentre il bianco di ghiaccio e neve a
perdita d’occhio, il gelo che stringe il cuore in una morsa, sono l’assenza di
colore di chi vive da solo e la mancanza di palpiti di chi non ha affetti. Come
è per il protagonista di questo romanzo dell’età matura di Mankell, un uomo di
sessantasei anni che una volta era un chirurgo e adesso vive nella casa dei
nonni, in un’isola di un arcipelago al largo di Stoccolma. Assolutamente solo,
con un vecchio cane, un gatto e un formicaio, la sua solitudine interrotta
dalle visite del postino che arriva a giorni fissi in hydrocopter. Ogni mattina
lui fa un buco nel ghiaccio e si immerge nell’acqua gelida. Per sentirsi vivo. Per
punirsi, forse. Perché Fredrik Welin accenna ripetutamente al fatto di aver
interrotto la carriera tredici anni prima, senza dircene il motivo fino a quasi
metà libro, ma possiamo anche immaginarlo. Un giorno sul ghiaccio appare una
figura- e questa è una scena così incisiva, che intuiamo così densa di
significato, da sembrare quella di un film in bianco e nero, magari un film di
Bergman (che, non è un caso, era il suocero di Mankell). Perché la figura
intabarrata avanza spingendo davanti a sé un girello ed è la donna che Welin
aveva amato e lasciato in asso trentasette anni prima.
E pur se le scarpe sono una metafora
amorosa e sessuale- e si ritorna spesso nel libro sul tema dell’importanza
delle calzature-, “Scarpe italiane” non è un romanzo d’amore, piuttosto un
romanzo sul rimpianto d’amore, sull’incapacità di riconoscere il valore dei
sentimenti nel momento in cui li viviamo, sulla pietas che finisce per prendere
il posto dell’amore. Ed è anche un romanzo sulla capacità di affrontare le
proprie colpe, pagando il prezzo che c’è da pagare. Perché la donna che cammina
sul ghiaccio del passato è gravemente ammalata ed è venuta a cercare
l’innamorato di un tempo per esigere da lui l’adempimento di una promessa: che
la porti a vedere il lago di cui le aveva parlato, dove suo padre aveva portato
lui, bambino di dieci anni.
Inizia quindi il viaggio di questi due personaggi, verso dove? Il lago
incantato? L’attimo magico dell’amore della giovinezza? O la morte?
Perché la
morte sembra essere sempre in agguato in queste pagine; come se l’alce morto, o
il cane, o il gabbiano, o la vecchia signora alla cui casa arrivano guidati da
un cane fedele, o la ragazza che gira con una spada da samurai, non fossero
altro che un’anticipazione della morte di Harriet, tenuta a bada da medicine e
alcool, mentre Welin si prende cura di lei con tiepido affetto che non è certo
amore. Il viaggio dei giovani è sempre un viaggio di scoperta, o di formazione;
un viaggio di due persone anziane è un viaggio di resa dei conti, anche se c’è
una scoperta che Welin farà. E chissà se la sua vita sarebbe stata diversa, se
avesse saputo prima. E comunque la consapevolezza improvvisa di aver causato
tanto dolore lo porta inevitabilmente anche a riaprire la pagina della sua
sconfitta come medico.
Alla fine del libro, dopo che
così tanto è successo in così poco tempo, Fredrik Welin è un uomo diverso, non
sente più la necessità di immergersi nel buco nel ghiaccio e la solitudine gli
pesa- c’è sempre ammenda possibile per chi ha il coraggio di riconoscere gli
errori.
Forse c’è troppo, nel romanzo di Mankell.
Forse alcune delle vicende, quella delle ragazze problematiche ad esempio, sono
in eccesso, e tuttavia “Scarpe italiane” è un libro molto bello, che ha la
tristezza di un tramonto su una distesa ghiacciata, la malinconia della vita
che sta per terminare. Ed è meglio tenersi pronti per la fine.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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