giovedì 11 dicembre 2014

Arnaldur Indriđason, "Sotto la città" ed. 2005

                                                               vento del Nord
                                                               cento sfumature di giallo
  il libro ritrovato


Arnaldur Indriđason, “Sotto la città”
Ed. Guanda, trad. Silvia Cosimini, pagg. 274, Euro 14,50


Non è comune in un romanzo di indagine poliziesca che si provi compassione per l’assassino e soddisfazione per la morte della vittima. E’ quello che succede al lettore di “Sotto la città”, dello scrittore islandese Arnaldur Indriđason. L’uomo ucciso è sulla settantina, si chiamava Holberg, è stato colpito alla testa da un pesante portacenere, un messaggio sibillino sul suo cadavere, “Io sono LUI”. Non è l’unico messaggio difficile da decifrare, ce n’è un altro che una ragazza ha lasciato come commiato prima di scomparire dalla festa del suo matrimonio e che dice, “è un mostro”. L’ispettore Erlendur si occupa di risolvere il caso di omicidio e, marginalmente, di trovare la giovane sposa.
      Un tipo interessante, questo Erlendur. Un solitario, con una moglie con cui non parla da più di vent’anni, due figli che hanno entrambi dei problemi- Eva si droga e il figlio maschio beve. Forse è anche perché si sente in colpa per aver abbandonato i figli quando erano piccoli che accoglie in casa sua Eva, che è incinta e vorrebbe smettere di farsi. Forse è anche per quel bambino che è ancora un embrione che sente tanta compassione per una bimba morta di tumore al cervello a quattro anni. Figlia di una donna che il morto ammazzato aveva stuprato più di vent’anni prima. Erlendur non è un ispettore brillante, è uno che macina lento, che sembra deviare le ricerche verso avvenimenti di un passato che non ha attinenza con le indagini in corso. L’Islanda del romanzo di Indriđason è un paese cupo, grigio di pioggia, il rione in cui abitava Holberg era stato costruito su una palude e il basamento di molte case- quella di Holberg inclusa- sprofondava lentamente: ecco perché quel tanfo in casa sua, ecco perché sciami di scarafaggi erano usciti dalle fondamenta, una volta che si era scavato. E non c’erano solo scarafaggi. “E’ tutto un gran pantano”, dice Erlendur.

     Quando le indagini lo portano a scoprire la Città dei Barattoli, dove vengono conservati gli organi di persone decedute a scopo di studio, Erlendur è sconvolto e non avrà pace finché non avrà restituito le parti mancanti al corpicino della bimba nella bara bianca. E questa è una delle parti più interessanti del romanzo, perché l’Islanda è un paese piccolo, le relazioni di parentela sono più strette che altrove e questa omogeneità porta ad una scarsa diversificazione genetica.  La ricerca di un certo tipo di malattie dovrebbe essere segreta e qualunque informazione strettamente riservata, ma si può capire se qualcuno vuole andare a fondo per capire una morte inspiegabile in famiglia.
     Per fortuna ci sono due note positive in chiusura del romanzo- Eva che sembra uscire dal tunnel della droga e la sposa che torna da un marito che comprende il trauma che lei ha subito- perché l’ultima drammatica scena si svolge nel cimitero e Erlendur si domanda, “Perché uno dovrebbe volersi immischiare in tutto questo? In questo schifo….Vedere come si diverte la gente come Holberg. Leggere denunce di stupro. Scavare nelle fondamenta di case piene di piattole e merda. Riesumare piccole bare.”

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net




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