vento del Nord
cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Arnaldur Indriđason,
“Sotto la città”
Ed. Guanda, trad. Silvia Cosimini, pagg. 274, Euro 14,50
Non è comune in un romanzo di indagine poliziesca che si
provi compassione per l’assassino e soddisfazione per la morte della vittima.
E’ quello che succede al lettore di “Sotto la città”, dello scrittore islandese
Arnaldur Indriđason. L’uomo ucciso è sulla settantina, si chiamava Holberg, è
stato colpito alla testa da un pesante portacenere, un messaggio sibillino sul
suo cadavere, “Io sono LUI”. Non è l’unico messaggio difficile da decifrare, ce
n’è un altro che una ragazza ha lasciato come commiato prima di scomparire
dalla festa del suo matrimonio e che
dice, “è un mostro”. L’ispettore Erlendur si occupa di risolvere il caso di
omicidio e, marginalmente, di trovare la giovane sposa.
Un tipo
interessante, questo Erlendur. Un solitario, con una moglie con cui non parla
da più di vent’anni, due figli che hanno entrambi dei problemi- Eva si droga e
il figlio maschio beve. Forse è anche perché si sente in colpa per aver
abbandonato i figli quando erano piccoli che accoglie in casa sua Eva, che è
incinta e vorrebbe smettere di farsi. Forse è anche per quel bambino che è
ancora un embrione che sente tanta compassione per una bimba morta di tumore al
cervello a quattro anni. Figlia di una donna che il morto ammazzato aveva
stuprato più di vent’anni prima. Erlendur non è un ispettore brillante, è uno
che macina lento, che sembra deviare le ricerche verso avvenimenti di un
passato che non ha attinenza con le indagini in corso. L’Islanda del romanzo di
Indriđason è un paese cupo, grigio di pioggia, il rione in cui abitava Holberg era
stato costruito su una palude e il basamento di molte case- quella di Holberg
inclusa- sprofondava lentamente: ecco perché quel tanfo in casa sua, ecco
perché sciami di scarafaggi erano usciti dalle fondamenta, una volta che si era
scavato. E non c’erano solo scarafaggi. “E’ tutto un gran pantano”, dice
Erlendur.
Quando le
indagini lo portano a scoprire la
Città dei Barattoli, dove vengono conservati gli organi di
persone decedute a scopo di studio, Erlendur è sconvolto e non avrà pace finché
non avrà restituito le parti mancanti al corpicino della bimba nella bara
bianca. E questa è una delle parti più interessanti del romanzo, perché l’Islanda
è un paese piccolo, le relazioni di parentela sono più strette che altrove e
questa omogeneità porta ad una scarsa diversificazione genetica. La ricerca di un certo tipo di malattie
dovrebbe essere segreta e qualunque informazione strettamente riservata, ma si
può capire se qualcuno vuole andare a fondo per capire una morte inspiegabile
in famiglia.
Per fortuna ci
sono due note positive in chiusura del romanzo- Eva che sembra uscire dal
tunnel della droga e la sposa che torna da un marito che comprende il trauma
che lei ha subito- perché l’ultima drammatica scena si svolge nel cimitero e
Erlendur si domanda, “Perché uno dovrebbe volersi immischiare in tutto questo?
In questo schifo….Vedere come si diverte la gente come Holberg. Leggere denunce
di stupro. Scavare nelle fondamenta di case piene di piattole e merda.
Riesumare piccole bare.”
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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