vento del Nord
cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Arnaldur Indriđason, “Un corpo nel lago”
Ed.
Guanda, trad. Silvia Cosimini, pagg.318, Euro 16,50
E’ impossibile confondere Arnaldur Indriđason,
lo scrittore che vive in Islanda, l’isola “nel buco del culo del mondo” (sono
parole sue, in bocca ad uno dei suoi personaggi), con qualunque altro autore
nordico di thriller. Perché i suoi romanzi di indagine poliziesca sono
veramente unici, come unico è il suo protagonista, il commissario Erlendur
Sveinsson, attratto come da una calamita dai casi delle persone scomparse. “Sei
sempre coinvolto nei casi di persone scomparse”- gli dice un collega. “Che
interesse hai? Che cosa cerchi sempre?” “Non lo so”, risponde Erlendur. Ma non
è vero. Erlendur sa benissimo che cosa lo attiri ad interessarsi di questi
casi, e ce lo ha raccontato- suo malgrado, perché Erlendur è un solitario e un
taciturno- in uno dei romanzi precedenti. Il suo fratellino è scomparso durante
una tormenta; erano insieme, ad un certo punto le loro manine si erano
staccate; neppure il corpo del bambino era mai stato ritrovato e tuttora,
periodicamente, Erlendur ritorna su quel pianoro, esplora le montagne e i
dirupi nelle vicinanze, sperando l’impossibile.
Il colpo di genio di Arnaldur Indriđason è stato di attribuire questa ossessione
al suo personaggio e di creare poi delle storie diverse dalle altre a cui siamo
abituati- senza scie di morti, senza serial killer, senza rincorse per impedire
ulteriori delitti. Quello che doveva succedere è già accaduto, non c’è più
sangue vicino ai cadaveri. Eppure Indriđason, riesce a tenere legata la nostra
attenzione, costruendo vicende che affondano nel passato, dicendoci molto sulla
gente e sulla cultura di un’isola che conta poco più di 300.000 abitanti e in
cui la criminalità è pressoché nulla (lo scrittore stesso, durante
un’intervista, giustificò in questa maniera la creazione del suo singolare
personaggio).
“Un corpo nel lago” incomincia con il
ritrovamento di uno scheletro in un lago, incatenato ad una ricetrasmittente
russa. La data sull’apparecchiatura, leggibile per quanto limata, è il 1961. Si
riesce a circoscrivere il lasso di tempo in cui, presumibilmente, l’uomo è
stato ucciso- massimo una decina d’anni, e da questo dato parte la ricerca delle
persone scomparse prima del 1970. Serve a qualcosa o a qualcuno questa ricerca
su cui Erlendur si intestardisce? A lui senz’altro, per dar pace alla sua
ossessione; alla donna che, una sera di tanto tempo prima, ha aspettato invano
un uomo che era sempre stato puntuale; a tutti quanti, perché viene fuori una
realtà insospettata: per quanto incredibile, c’erano delle spie anche in
Islanda, durante la Guerra Fredda ,
perché ci siamo dimenticati che l’isola era “la portaerei degli Stati Uniti”.
La narrazione è duplice, e si passa
dall’una all’altra senza mai un calo di interesse. Una riguarda le indagini
(mentre al vecchio tormento di Erlendur si aggiunge quello nuovo della
consapevolezza dei suoi errori come padre); l’altra segue i ricordi di un uomo
in attesa della polizia: aveva creduto nell’ideale comunista, aveva studiato a
Lipsia negli anni ‘50, laggiù si era innamorato e laggiù aveva anche aperto gli
occhi- agli arresti, alle delazioni, al regime di sospetto e di paura, alla
violenta repressione in Ungheria. Quando il suo tutore gli aveva detto, “La
questione è molto semplice. O sei un comunista o non lo sei”, lui aveva
ribattuto, “No. O sei un essere umano o non lo sei”. Il lettore scoprirà come
tutto questo abbia a che fare con lo scheletro nel lago.
Ma intanto è chiaro che il romanzo di Indriđason è
molto di più che la storia di un uomo scomparso e riapparso dalle sabbie di un
lago. E’ un romanzo sulla scomparsa,
sulla perdita- del fratello ma anche della figlia di Erlendur, sulla cui
disintossicazione lui non ha più molte speranze; di almeno tre uomini che un
tempo si erano frequentati a Lipsia; della ragazza arrestata di cui non si era
saputo più nulla, neppure quando era stato possibile consultare gli archivi
della Stasi; degli ideali, infine, e questa è forse la perdita più triste: Avevamo degli ideali. Non so se la gente li
ha ancora. I giovani, voglio dire. Ideali sinceri, di una società migliore e
più giusta. Nessuno adesso ci pensa più, credo. Adesso si pensa solo a fare
soldi, sempre più soldi. Allora nessuno pensava a fare soldi o ad avere il più
possibile. Non c’era questo consumismo sfrenato. Nessuno aveva niente, se non
splendidi ideali.
Un thriller che è capace di far pensare a
queste cose non è solo un libro da intrattenimento. E’ un libro da leggere per
riflettere.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.it
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