domenica 21 dicembre 2014

Arnaldur Indriðason, "Un grande gelo" ed. 2010

                                                                 vento del Nord
                                                                  cento sfumature di giallo
      il libro ritrovato



Arnaldur Indriðason, “Un grande gelo”
Ed. Guanda, trad. Silvia Cosimini, pagg. 300, Euro 17,00

    E’ un romanzo agghiacciante, questo “Un grande gelo” dello scrittore islandese Arnaldur Indriðason. A lettura terminata sembra di avere il cuore in una morsa di ghiaccio, e non perché si svolge nella gelida Islanda, non perché ci siamo imbattuti in una serie di morti raccapriccianti, non perché sia un tipo di thriller che ci fa controllare se la porta di casa è ben chiusa e se abbiamo abbassato le tapparelle. Tutt’altro: muore ‘solo’ un bambino, all’inizio del romanzo, e non abbiamo mai veramente il timore che ci possa essere un’altra vittima. Ma, quando si scopre il colpevole, quando ascoltiamo le motivazioni del crimine, la banalità del male ci sconvolge più di quanto potrebbe fare la sua eccezionalità. E ci rendiamo conto che il Male non ha confini, che non c’è una geografia del Male. E che spesso non è solo l’esecutore del crimine ad essere colpevole.
     Tutti parlavano bene del bambino che è stato trovato morto nell’area dei giardini condominiali del grosso edificio in cui abitava. Era un bel bambino di dieci anni, bruno. Assomigliava alla mamma thailandese e non al padre islandese. I genitori erano separati, il piccolo Elías aveva un fratello maggiore che la madre aveva avuto da una relazione precedente, in Thailandia. Il commissario Erlendur Sveinsson, che abbiamo appreso a conoscere bene nella serie dei romanzi di indagine poliziesca di Arnaldur Indriðason, indaga sul delitto, insieme a Sigurður Óli e a Elínborg. Il primo luogo dove si svolgono le ricerche e si fanno domande è la scuola frequentata da Elías. Quello che salta fuori è sconcertante. In una nuova realtà sociale di forte immigrazione, in Islanda come negli altri paesi europei, affiora un forte razzismo nei confronti degli stranieri, e proprio nella scuola, che dovrebbe essere un luogo di cultura dove si suppone che la conoscenza debba sconfiggere i pregiudizi dettati dall’ignoranza.
Ci sono stati episodi di bullismo tra gli alunni, sono volati pesanti insulti, c’è stato qualche scazzottamento. Niente di tremendamente grave, ma un segnale d’allarme. Soprattutto c’è qualche insegnante che fomenta l’intolleranza, che pronuncia frasi pericolosamente estreme, “l’Islanda agli islandesi”, che vorrebbe sbattere fuori gli stranieri, rimandarli là da dove sono venuti (purtroppo certi slogan sono uguali ovunque). E’ stato un delitto di matrice razzista? Il colpevole è l’insegnante con cui Niran, il fratello interamente tailandese di Elías, aveva litigato? Oppure c’è altro dietro la morte di Elías, è stato forse ucciso da un pedofilo riapparso dopo anni sulla scena?
     Mi stupisco sempre (anche se ormai non dovrei più stupirmi) della capacità che gli scrittori nordici di gialli o noir hanno di elaborare una trama profonda, partendo da uno spunto non originale, di ampliare la tematica, di riproporla sotto la forma di storie diverse, di trovare in piccole storie agganci con la storia principale. Così, in “Un grande gelo”, c’è un’idea centrale che è una forte denuncia della discriminazione. Ma è esaminata da diverse angolature, prospettandoci dapprima il fascino dell’esotico che gli uomini del Nord sentono, quando vanno in vacanza nei paradisi d’Oriente, la maniera in cui sfruttano a loro vantaggio l’attrattiva di una sicurezza economica sconosciuta alle donne di laggiù, e poi le difficoltà che gli immigrati incontrano- lo shock del clima, la barriera della lingua, la ricchezza che si rivela essere un inganno, dato il costo della vita. In più, c’è il problema dei figli, presi tra due mondi e due culture, due lingue e spesso due nomi diversi.
Oltre a questo, c’è anche un risvolto più intimo e personale, perché l’assassinio del piccolo Elías tocca corde diverse nei tre poliziotti che conosciamo. Elínborg, l’unica donna, avverte più degli altri lo strazio della madre, perché è madre anche lei e ha appena avuto la figlia ammalata (ma che cosa è un’influenza a paragone della morte?); Sigurður è toccato in un’altra duplice maniera: qui c’è un bambino morto e lui e sua moglie non riescono ad avere figli; qui c’è un bambino morto che è thailandese e sua moglie insiste per adottare un bambino straniero. Quanto al nostro Erlendur, i cui figli sono adulti e gli danno sempre problemi, rivede in Elías e Niran se stesso e il suo fratellino, il senso di colpa di Niran che non ha saputo proteggere Elías è quello di Erlendur che non si perdonerà mai di aver lasciato andare la manina del fratello nella tormenta di neve.

    Anche questa volta Arnaldur Indriðason non ci ha deluso.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net


Nessun commento:

Posta un commento