martedì 1 luglio 2014

Sabine Gruber, "Stillbach o della nostalgia" ed. 2014


                                                        fresco di lettura


Sabine Gruber, “Stillbach o della nostalgia”
Ed. Marsilio, trad. Cesare De Marchi, pagg. 315, Euro
Titolo originale: Stillbach oder die Sehnsucht

  Cazzolini- era la prima volta che sentivo quella parola. Non riuscivo ad addormentarmi. Paul aveva parlato dei nazisti, che avevano fatto di tutto per impedire i matrimoni tra italiani e tedeschi. Avevo una compagna di scuola, Orthhild, che suo padre aveva minacciato di cacciare di casa se si fosse messa con un italiano.


     Stillbach, che, nell’Alto Adige italianizzato a forza dopo la prima guerra mondiale, era diventato Rio Silente. Roma, la capitale che attirava le ragazzotte tedesche in cerca di lavoro, soprattutto in quella fase storica di simpatia verso i tedeschi, prima che si aprisse una frattura tra Hitler e Mussolini, prima che venisse divulgato che per l’alleato tedesco solo gli italiani arianizzati del nord erano accettabili, mentre quelli del sud erano ‘negroidi’ subumani. La narrativa del bel romanzo di Sabine Gruber, “Stillbach o della nostalgia”, si alterna tra Stillbach e Roma, tra il paese della nostalgia e la città della vita reale: si sogna Stillbach, si rimpiange Stillbach, ma poi, chi tornerebbe mai a vivere là, arrotolandosi di nuovo le trecce intorno alla testa, calzando gli zoccoli, adattandosi alle chiacchiere di paese? Non vi è tornata Emma Manente, che ne era venuta via negli anni ‘30 e non vi è tornata neppure Ines, che è arrivata a Roma alla fine degli anni ‘70 ed è andata a lavorare nell’albergo dei Manente.        

   Ci sono due romanzi, uno dentro l’altro, in “Stillbach o della nostalgia”, e i due romanzi sono racchiusi in una cornice con una terza protagonista femminile, Clara, che è un terzo romanzo in abbozzo.
Ines è morta, improvvisamente. Sua madre ha chiesto a Clara, l’ amica più cara di Ines che ora vive a Vienna, di andare a Roma per mettere ordine tra le sue cose e sbrigare le formalità del caso. E Clara trova quello che sarebbe dovuto essere un romanzo in più volumi, scritto da Ines- la storia di Emma Manente e di Ines stessa in quel 1978 dell’assassinio di Aldo Moro quando lei, che non aveva ancora completato gli studi liceali, era venuta a lavorare qualche mese a Roma come cameriera nell’albergo di cui Emma era diventata padrona dopo la morte del marito.
Clara nel presente, nel 2009, Ines nel 1978, Emma nel 1943 e negli anni precedenti lo scoppio della guerra- sono questi i tre filoni che si inseguono e si sovrappongono. Il romanzo che Ines ha scritto affonda nella storia: Ines si interessava a Priebke, l’ufficiale delle SS che spuntava i nomi delle vittime all’eccidio delle Fosse Ardeatine, eseguito per rappresaglia contro l’attentato partigiano in via Rasella. Perché il fidanzato altoatesino di Emma era morto in quell’attentato e non c’entrava proprio niente, non era un nazista. Se Johann non fosse morto, Emma non si sarebbe lasciata mettere incinta dal figlio del proprietario dell’albergo Manente, perché non era vero che era un’arrivista. Ed aveva pagato caro per quel figlio- l’ostracismo di Stillbach, la rottura con la sua famiglia che non voleva saperne di avere per parente un signor Cazzolini, come venivano chiamati gli italiani. In quel breve periodo come cameriera Ines aveva amoreggiato con un ospite dell’albergo, Paul Vogel che si pagava gli studi facendo la guida turistica. Ora, nel 2009, Ines aveva incontrato di nuovo Paul Vogel e Clara gli darà un appuntamento per sapere qualcosa di più sull’amica. Paul non ricorda nulla di una storia avuta con Ines nel 1978, un dettaglio importante. Quanto c’è di vero e quanto di romanzato nelle pagine scritte da Ines? Se Paul non era andato a letto con lei, allora forse non era neppure vero che un fantomatico Johann fosse morto in via Rasella. Ma a Stillbach qualcuno conosceva Johann…

   Fantasmi del passato, inimicizie mai sopite, il disagio nei rapporti tra altoatesini e italiani, tra chi ha vissuto come un sopruso il dover cambiare nome e lingua e identità nazionale e chi ha reclamato un territorio in base alla geografia, chi ha colonizzato l’Alto Adige con la stessa arroganza con cui ha messo piede in Abissinia. Emma Manente in un ricovero per anziani, Priebke che si aggira libero nel parco (Ines aveva fatto ricerche sulla connivenza dei conventi altoatesini con i nazisti in fuga), Ines che non c’è più ma che ha vissuto la vita che voleva, Clara che vorrebbe seguire l’esempio libertario dell’amica e che pensa di contattare Sabine Gruber per farle avere il romanzo scritto da Ines: ecco che compare un altro nome dietro il romanzo che stiamo leggendo. L’autrice del libro, Sabine Gruber, diventa un altro personaggio, quasi un alter ego di Clara che scrive di storie d’amore di personaggi famosi a Venezia (Sabine Gruber è stata lettrice all’Università Ca’ Foscari a Venezia) ed è un aggancio con la realtà per farci capire che tutto quello che abbiamo letto non è pura invenzione, che Emma Manente è esistita tanto quanto Priebke che è morto nel 2013, due anni dopo di lei, che il disagio, la diffidenza, la ‘distanza’ tra altoatesini e italiani ha la sua ragione di essere.
Un libro bello, un tassello di storia, da leggere.



la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it

Sabine Gruber

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