lunedì 7 luglio 2014

Ohran Pamuk, "Il museo dell'innocenza" ed. 2009

                                                         premio Nobel
                                                         Voci da mondi diversi. Medio Oriente
                                                         il libro ritrovato

       

Orhan Pamuk, “Il museo dell’innocenza”
Ed. Einaudi, trad. Barbara La Rosa Salim, pagg. 575, Euro 24,00

Titolo originale: Masumiyet Müzesi

    A volte ce ne stavamo seduti in silenzio, senza fare nulla. A volte zio Tarik, annoiato da un programma televisivo, si metteva a leggere il giornale. A volte ascoltavamo attenti il clacson di una macchina che percorreva la discesa. A volte, quando pioveva, ascoltavamo il ticchettio della pioggia sui vetri senza proferire verbo. A volte dicevamo soltanto: “Fa caldo oggi!”. A volte zia Nesibe si dimenticava di aver appoggiato la sigaretta sul posacenere e ne accendeva una in cucina. A volte fissavo inosservato la mano di Füsun per quindici, venti secondi e ne rimanevo estasiato. A volte…..


   Raramente un romanzo è così fedele al suo titolo: leggere “Il museo dell’innocenza”, il primo libro scritto da Orhan Pamuk dopo il conferimento del Premio Nobel nel 2006, è come varcare la soglia di un museo; voltiamo le pagine ed è come se ci aggirassimo per sale in cui ammiriamo oggetti esposti nelle teche, chinandoci un poco per leggere la dicitura delle targhette esplicative. E, proprio come un museo ricostruisce un mondo, salvandolo dall’oblio per fissarlo nella memoria, distillando gli istanti nello scorrere del Tempo, così il romanzo di Pamuk ci restituisce la storia d’amore tra il trentenne Kemal e la diciottenne Füsun- ogni singolo dettaglio della vicenda, per quanto possa essere ripetitivo o apparire insignificante, impreziosito dalla luce soffusa del ricordo- e, nello stesso tempo, ricrea la vita di una città, Istanbul, negli anni ‘70.                    
il museo dell'innocenza di Pamuk
     Le date sono importanti in qualunque museo: in questo la prima è del 26 aprile 1975 e l’ultima sarà di nove anni e quattro mesi dopo. La prima è la data del giorno in cui Kemal entra nel negozio in cui Füsun lavora come commessa e l’ultima è di quello in cui Kemal e Füsun partono per l’Europa: non sciupiamo nulla dicendo che è anche la data del giorno quando tutto finisce, e che terminasse in dramma lo avvertivamo fin dall’inizio. La pura e semplice storia di quest’amore è banale.
Prima puntata: Kemal è in procinto di fidanzarsi con Sibel quando conosce Füsun e se ne innamora. Ricco, attraente, con una laurea presa in America, Kemal è il tipico ragazzo ‘d’oro’ viziato, egocentrico ed egoista a cui la vita non ha mai negato niente e che è incapace di negarsi alcunché. Füsun è giovane  e bella, più sensuale e provocante di Sibel, forse è una finta ingenua e comunque ‘ci sta’. Kemal si incontra con lei in un appartamento di sua madre ogni giorno, per quarantacinque giorni, facendo l’amore con furia e passione.
Seconda puntata: Kemal si fidanza ufficialmente con Sibel, durante una festa sfarzosa all’Hilton, dove pure Füsun è invitata. Dopo di che Füsun scompare. Inizia il mal d’amore di Kemal. Più tardi, parlando con Füsun, Kemal definirà l’amore come il sentimento che prova quando la vede e, all’obiezione di lei, “Ma allora quando non mi vedi non è più amore?”, risponde: “Quando non ti vedo il mio amore si trasforma in un’ossessione, una sorta di malattia.”  E la storia d’amore si trasforma nella storia di un’ossessione, con Kemal che vaga in cerca di Füsun per la città, tracciando una mappa e segnando con vari colori le strade da evitare per non soffrire di ricordi, molto, troppo spesso ubriaco, trascinando con sé nella spirale dell’infelicità e dell’ebbrezza costante anche la povera Sibel che non sa o non vuole sapere, che si gioca la reputazione andando a vivere con lui senza essere sposati.
Terza puntata: Sibel tronca il fidanzamento; Kemal ritrova Füsun- sposata, anzi fatta sposare per convenienza, ed inizia il folle periodo di una frequentazione quasi quotidiana a tre e poi a cinque, quando Kemal va in visita (‘a sedersi’, come si dice in Turchia) dai genitori di Füsun presso cui la coppia abita. Per sette anni, dieci mesi e tre giorni, durante 409 settimane, Kemal va a cena “dai Füsun” 1593 volte.
   Ho riportato le cifre apposta, per dare al lettore un metro della meticolosità ammalata con cui Kemal ha conservato nella memoria ogni traccia del suo amore. A questo punto non sa ancora che, dopo aver visitato 5723 musei, avrebbe dedicato un museo a Füsun, eppure inizia ad accumulare oggetti che le appartengono, rubacchiando in casa sua fazzoletti o mollette, soprammobili o saliere. In seguito allargherà il campo della collezione, perché Füsun non è più solo Füsun, è la città in cui si sono amati, è nella nave su cui si sono posati i suoi occhi sul Bosforo, nella bottiglietta di gassosa, nei cartelloni pubblicitari, nel pacchetto di sigarette, negli spettacoli televisivi, negli orari del coprifuoco dopo il golpe, in una miriade di articoli e di immagini che finiscono per ricomporsi, come in un caleidoscopio, dentro il Museo dell’Innocenza che è un poco come il Giardino dell’Eden prima della caduta.

     Tuttavia, anche se dovrebbe esserci Füsun al centro della memoria, è invece di Kemal che Kemal parla sempre, personaggio narcisista, spesso irritante, che chiude il racconto dicendo, “Ho avuto una vita felice”, senza chiedersi a quanti l’abbia resa infelice, e che- con una pirandelliana svolta narrativa- chiede allo scrittore Orhan Pamuk (che già avevamo visto ballare con Füsun durante la festa di fidanzamento di Kemal) di scrivere il libro che stiamo leggendo. Cosicché c’è una stregante sovrapposizione delle due voci- dapprima Pamuk mette in chiaro di aver scelto la prima persona narrante in vece di Kemal; poi, da quando Orhan Pamuk e Kemal incominciano a incontrarsi spesso e a bere raki insieme, il lettore inizia a confondersi, domandandosi chi sia chi, fino a quando- chini entrambi su una foto di Füsun- ci paiono il capitano de “Il compagno segreto” di Conrad e il suo doppio che confabulano al buio.
     Nelle ultime pagine c’è una piantina per arrivare facilmente al museo, insieme ad un facsimile di biglietto per l’ingresso: sarà un percorso lento, a tratti noioso, a volte ci verrà la tentazione di saltare qualche sala e trascurare qualche reliquia che ci pare di avere già visto. Eppure ne usciremo con la sensazione che abbiamo guardato la vita, che è una collezione di istanti felici. Una collezione di oggetti che ricordano momenti di pienezza.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


   


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