lunedì 14 luglio 2014

Nadine Gordimer, "Beethoven era per un sedicesimo nero" ed. 2008

                                                      premio Nobel
                                                     Voci da mondi diversi. Africa
il libro ritrovato


Nadine Gordimer, “Beethoven era per un sedicesimo nero”
Ed. Feltrinelli, trad. Grazia Gatti, pagg. 180, Euro 16,00
Titolo originale: Beethoven was one-sixteenth black and other stories 


    La volta seguente un uomo rispose sì, sono Hayford Leiden. Lei diede il proprio nome, moglie del tal dei tali, in tono calmo e cordiale, avrebbe potuto essere una telefonata per cercare di vendergli qualcosa. Poteva passare a trovarlo, per una breve visita? La sorpresa (o la mancanza di comprensione: cosa vuole questa donna) fu ben celata; di sicuro era abituato, nel suo lavoro, a strani incontri. Per tutta la settimana seguente era impegnato, ma se poteva venire a Londra, diciamo, venerdì prossimo…sì, si ricordava il suo uomo, l’aveva incontrato anni prima.


      Se veramente il genere letterario del racconto è il più difficile, non ci stupisce che sia una scrittrice nata nel 1923 e con una gloriosa carriera alle spalle ad averci regalato uno straordinario libro di racconti, quasi volesse raggiungere con questo il culmine della sua scrittura.
Se il rischio della brevità di un racconto è quello di lasciare insoddisfatto il lettore, forse un paio di queste tredici storie non ci appagano del tutto- le altre sono dei capolavori di condensazione, con personaggi che balzano fuori dalle pagine e si impongono alla memoria. Così il Frederick Morris del racconto che dà il titolo alla raccolta, in cerca di figli illegittimi del bisnonno: dopo tutto era impossibile che, durante i lunghi soggiorni a Kimberley in cerca di diamanti, non avesse avuto compagnia femminile. E “un tempo c’erano neri che volevano essere bianchi. Ora ci sono bianchi che vogliono essere neri.”. Oppure la protagonista di “Una donna frivola”: ma era veramente così superficiale la nonna che teneva in un baule degli abiti con lustrini e delle maschere, lei che era fuggita dalla Germania nazista? Oppure era la maniera per sopravvivere, per mantenere la voglia di vivere?
      E’ un tema che ricorre sovente, questo del confronto con la morte, nei racconti della Gordimer. E ci pare importante, ci sembra una prova ulteriore della maturità della scrittrice, sia la voglia di parlare di morte perché la morte fa parte della vita, sia la serenità con cui il tema viene trattato. In una delle storie l’aereo su cui si trova un uomo che viaggia spesso per lavoro deve fare un atterraggio di emergenza. L’uomo è seduto vicino ad una donna che, nel momento di peggiore turbolenza, gli dice che è certa che l’aereo non precipiterà. Perché c’è lei a bordo e lei ha cercato di uccidersi parecchie volte, senza mai riuscirci.
In “Allesverloren” non è tanto la paura della morte che viene esplorata, quanto quella del lutto, la solitudine di chi si sente abbandonato. Per vincere questa solitudine una moglie cerca di recuperare i frammenti che non conosce della vita del marito defunto e incontra l’uomo con cui il marito aveva avuto una relazione in un periodo di crisi. Non vuole chiedergli niente di personale- ma è soddisfatta della visita, quando se ne va? Tutto è racchiuso nel nome in afrikaan del vino che aveva comperato, Allesverloren, tutto perduto: “si conosce chi si conosceva. Non si può conoscere l’altro, nessun altro.”
   Non potendo parlare di tutti i racconti, qualcosa deve essere detto delle ultime tre storie, tre analisi di rapporti di coppia sulla traccia di tre sensi- la vista, l’udito e l’olfatto. In tutte e tre l’uomo e la donna attraversano un momento di crisi: nella prima lui e lei sono esuli ungheresi, lei impara presto la lingua e fa carriera, lui resta chiuso nel suo mondo magiaro, lei finisce per chiedere il divorzio; nella seconda i protagonisti sono due musicisti, ma solo l’uomo è un grande artista. La donna vive nella sua ombra e capisce il variare del suo amore dal suono che l’archetto trae dal violoncello. Nell’ultima, infine, è l’odore dell’uomo che rivela alla moglie (e al cane, prima ancora che a lei) il tradimento di lui.

    Non c’è niente di nuovo, a ben guardare, nelle trame dei racconti di Nadine Gordimer. Ma c’è una conoscenza dell’anima, una capacità di dire nel non dire, una essenzialità in quelle frasi che a volte sono spezzate e a volte suggeriscono un monologo interiore, una sobrietà di scrittura, che rendono uniche le sue storie.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


Nessun commento:

Posta un commento